Intervento agli Stati Generali Confcommercio a Napoli

Intervento agli Stati Generali Confcommercio a Napoli

Napoli, 22 novembre 2011

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24 novembre 2011

Cari Amici,
anzitutto grazie per avere accolto l’invito ad essere protagonisti di questa tappa territoriale degli Stati Generali dell’Economia dei Servizi, promossi da Confcommercio-Imprese per l’Italia.

Tappa dedicata a mettere a fuoco ragioni e condizioni di un Mezzogiorno che cresca di più e meglio per un’Italia che, tutta insieme, cresca di più e meglio.

Oggi, affrontiamo, dunque, uno snodo cruciale per il futuro del nostro Paese.

Perché è indubbio che questo sia, a centocinquant’anni dall’Unità, il frangente storico con cui l’Italia deve misurarsi: la necessità assoluta di tornare a crescere, in un quadro di solida disciplina del bilancio pubblico.

Necessità assoluta, perché dal ritorno alla crescita dipende tanto la fiducia degli italiani, quanto la ricostruzione della fiducia internazionale nei confronti dell’Italia.

Necessità assoluta, perché senza crescita, senza più crescita, è a rischio tanto la coesione sociale, territoriale e generazionale, quanto la sostenibilità del debito pubblico.

Per rispondere a questa necessità, occorre, anzitutto, una politica che sappia fare prevalere gli interessi generali del Paese e, in questo modo, le ragioni del suo futuro e dei suoi giovani.

E’ questa la missione  affidata al nuovo Esecutivo, guidato dal Senatore Mario Monti. 

E’ una missione che richiede, sul piano del metodo, il più ampio contributo delle forze politiche e sociali ed una condivisa responsabilità repubblicana.

E’ una missione che richiede, sul piano del merito, scelte coraggiose ed ambiziose.

Quelle scelte che occorrono per rimettere in moto l’Italia, affrontando e risolvendo i nodi notissimi e di lungo corso di una competitività difficile e divenuta difficilissima, di una crescita lenta e divenuta lentissima.

Per parte nostra, queste scelte le abbiamo sollecitate, ancora di recente, con “Anzitutto l’Italia”, il documento programmatico dei nostri Stati Generali dell’Economia dei Servizi.

Sappiamo, infatti, che occorreranno ancora sacrifici.

Ma chiediamo che questi sacrifici siano ripagati con il “dividendo” delle scelte necessarie per il futuro dell’Italia.

Sono le scelte necessarie per controllare e ridurre la spesa pubblica, e per contrastare e recuperare evasione ed elusione. Ponendo così le basi per una progressiva riduzione di un livello di pressione fiscale divenuto ormai intollerabile.

Sono le scelte necessarie per rilanciare privatizzazioni, liberalizzazioni e semplificazioni. Agendo così tanto per la riduzione del debito pubblico, quanto per la “liberazione” delle energie del lavoro e delle imprese italiane.

Sono le scelte necessarie per reperire risorse destinate agli investimenti infrastrutturali ed al capitale sociale ed umano. Operando così per un’Italia che sia in grado di competere ad armi pari in ogni mercato.

Sono le scelte necessarie per riformare politica ed istituzioni. Rinnovando così l’etica pubblica e riguadagnando il rispetto e la fiducia dei cittadini.

Sono scelte note e, spesso, anche   condivise tra le forze politiche e sociali.

All’attuazione di queste scelte, ci siamo impegnati anche in sede europea.

E’ un impegno che va onorato.

E, onorandolo, possiamo fare del vincolo europeo un’opportunità di cambiamento e di miglioramento.

E’ giusto, infatti, ricordare le caratteristiche globali della crisi, e le incertezze ed i ritardi con cui l’Unione europea ha affrontato la crisi dei debiti sovrani e dell’euro.

Ma – come ha sottolineato Mario Draghi in uno dei suoi ultimi interventi da Governatore – “la salvezza e il rilancio dell’economia italiana possono venire solo dagli italiani”.

E’ questo, peraltro, anche il modo corretto di intendere una giusta cooperazione europea che chiede a ciascuno di fare la propria parte: tutta e sino in fondo.

E’ questa, ancora, la condizione politica per rinnovare il protagonismo dell’Italia in Europa e per fare avanzare il processo di costruzione politica di un’Unione europea con una forte dimensione mediterranea.

Occorre, allora, responsabilità repubblicana: il riconoscimento, cioè, del primato del “bene comune” dell’Italia.

Un riconoscimento che deve tradursi nella più tempestiva attuazione di  politiche e di riforme, il cui tenace filo unitario sia la connessione strettissima tra risanamento della finanza pubblica e spinta alla crescita.

E’ questa la governabilità ambiziosa di cui l’Italia ha necessità ed urgenza e che noi chiediamo.

Offrendo, al contempo, il nostro contributo di analisi e di proposta per mobilitare le energie del lavoro e delle imprese, a partire da quella economia dei servizi che particolarmente rappresentiamo.

Questa economia può infatti  essere -    in Europa, in Italia e nel nostro Mezzogiorno - uno straordinario motore di produttività, di crescita, di occupazione.

Ad esempio, nel turismo: facendo fruttare, per via di innovazione e di aggregazioni imprenditoriali di rete, il patrimonio dell’identità italiana e, con essa, del nostro Mezzogiorno.

Ancora ad esempio, nel commercio: lavorando sul nesso strettissimo tra riqualificazione dei tessuti urbani e vitale compresenza di piccole, medie e grandi superfici di vendita.

Pigiamo, dunque, il pedale dell’innovazione, tecnologica ed organizzativa, e procediamo a semplificazioni e liberalizzazioni ancora necessarie, a partire dai servizi pubblici locali, dalle professioni e dal trasporto ferroviario.

Rafforziamo, anche attraverso selezionati investimenti infrastrutturali, la competitività del sistema dei trasporti e della logistica.

Riduciamo i costi della provvista energetica e perseguiamo efficienza e risparmio energetico.

E cerchiamo di fare dell’Italia una società più attiva.

In cui, cioè, più occupazione -  ed anzitutto l’occupazione dei giovani, delle donne  e nel Mezzogiorno – sia condizione di una sicurezza sociale più inclusiva e finanziariamente sostenibile.

Costruire questa società attiva significa contenere spesa previdenziale e   riformare strutturalmente il sistema degli ammortizzatori sociali. 

Costruire questa società attiva significa ridurre la troppo marcata segmentazione  del mercato del lavoro tra l’area dei contratti flessibili e a termine, e l’area dei contratti a tempo indeterminato, anche attenuando la rigidità di questi ultimi.

Costruire questa società attiva significa, ancora, promozione del merito e della responsabilità nella scuola e nell’Università, e puntuale collegamento tra scuola, Università e mondo delle imprese e del lavoro.

Non tutto può essere fatto a costo zero.

Ma, anche in tempi difficili, le risorse possono e devono essere trovate.

E’ qui che si esprime la capacità di selezionare ed individuare priorità, andando oltre la tecnica dei tagli lineari  e praticando una sorta di “chirurgia ricostruttiva” della spesa pubblica.

Si tratta, dunque, non soltanto di spendere meno, ma anche di spendere meglio.

E’ un’esigenza che emerge fortissima da un critico consuntivo storico delle politiche di intervento per il Mezzogiorno.

Al punto tale che, ad esempio, il Senatore Nicola Rossi ha ipotizzato una Commissione parlamentare sull’uso dei fondi europei negli ultimi 15 anni anche per individuare le responsabilità in “una vicenda – così ha scritto – in cui lo spreco di risorse pubbliche è stato tale da far impallidire quanto avvenne durante la ricostruzione seguita al terremoto irpino del 1980”.

Del resto, basta pensare a quanto, ancora di recente, ha segnalato il Rapporto Svimez: tra il 2001 ed il 2010, il PIL del Mezzogiorno si è ridotto dello 0,3% a fronte di una crescita del 3,5% del Centro-Nord.

Il Presidente Monti, nelle sue dichiarazioni programmatiche alle Camere, ha così giustamente ricordato: “Il nostro Paese rimane caratterizzato da profonde disparità territoriali. Il lungo periodo di bassa crescita e la crisi le hanno accentuate. Esiste una questione meridionale: infrastrutture, disoccupazione, innovazione rispetto della legalità”.

Occorre, allora, un decisivo cambio di passo per porre fine alla “storia infinita” della questione meridionale.

Nella consapevolezza che più crescita significa, anzitutto nel Mezzogiorno, contrasto della criminalità e della corruzione, e più sicurezza e legalità.

E’ una nostra fondamentale richiesta.

E’ un nostro fondamentale impegno.

Il nostro protocollo d’intesa con il Ministero dell’Interno ed il rigoroso codice etico di Confcommercio-Sicilia ne sono esempio e concreta riprova.

Serve rigore: contro il racket delle estorsioni e dell’usura e contro la criminalità organizzata; contro la criminalità diffusa e contro il cancro della corruzione: una “tassa immorale ed occulta”, stimata dalla Corte dei Conti nell’ordine di 50/60 miliardi di euro all’anno.

Su questo terreno, va costantemente rafforzato l’impegno nostro e di tutte le forze politiche e sociali.

Vanno sviluppate tutte le azioni di collaborazione con le istituzioni e, certo, non possono essere lesinate le risorse necessarie per la più efficace azione delle forze dell’ordine e della magistratura.

Vanno affinate norme ed organizzazione, a partire dall’organizzazione della giustizia civile.

Vanno affrontate, con severità e determinazione, anche le patologie dell’abusivismo e della contraffazione.

Alterano mercato e concorrenza, alimentano economia sommersa e lavoro nero.

Più crescita attraverso più legalità, dunque.

Rinnovando politica, istituzioni e pubbliche amministrazioni sulla base – per dirla con parole recenti di Sabino Cassese –  di “un severo minimo di regole valide per tutti”.

Regole che fondino una robusta cultura dei diritti e dei doveri per battere in breccia la cultura dei privilegi e delle rendite, dei favori e delle relazioni privilegiate.

Più crescita attraverso più efficienza della pubblica amministrazione  e più produttività della spesa pubblica, allora.

Perché, ad esempio, nel Mezzogiorno, qualità e quantità dei servizi pubblici sono fortemente ridotte rispetto al Centro-Nord.

Indagini di Banca d’Italia hanno però documentato come, a fronte di tale divario, si registri in generale “una quantità di risorse spese a livello locale relativamente uniforme”.

Le cronache confermano, purtroppo, questa conclusione: troppe inefficienze, improduttività e sprechi si traducono , in tutto il Paese ed anche nel Mezzogiorno,  nella dissipazione di circa 80 miliardi di euro all’anno.

Troppe cattedrali nel deserto e troppe opere incompiute.

Non possiamo più permettercelo.

Lo dobbiamo, anzitutto, alla crescita ed allo sviluppo del Mezzogiorno.

Spendere bene significa, allora, attuare meccanismi di premialità e sanzione delle scelte politiche ed amministrative.

E’ un principio di responsabilità.

Tanto più essenziale, poi, nella prospettiva della costruzione di un federalismo della responsabilità, che supporti la richiesta di una fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno.

Spendere bene significa, ancora, capacità di selezionare e perseguire pochi e fondamentali obiettivi strategici.

Privilegiando, nell’utilizzo dei fondi europei e del loro cofinanziamento, la costruzione di condizioni di contesto che concorrano alla maggiore produttività delle imprese e del lavoro, e meccanismi automatici di incentivazione fiscale di investimenti ed occupazione.

E’ un punto essenziale del cosiddetto programma “Eurosud”.

Il programma straordinario per lo sviluppo del Mezzogiorno, cioè, che costituisce parte essenziale delle riforme per la crescita.

Ad esse, l’Italia si è impegnata in sede europea. Alla loro  puntuale e tempestiva attuazione operativa, è ora tenuta.

Nel contesto di questo programma ed in coerenza con gli obiettivi di crescita  e di coesione di Europa 2020, la revisione strategica dei fondi comunitari per il periodo 2007-2013 dovrebbe assumere come prioritari obiettivi di sviluppo dell’istruzione e della banda larga, delle reti di trasporto e ferroviarie, dell’occupazione.

E’ un buon punto di partenza.

Per iniziare a  rispondere alla condizione insostenibile di un Sud in cui lavora meno di un giovane su tre.

Per cominciare a fare fronte ad un fabbisogno di investimenti in infrastrutture di trasporto e di sistemi logistici nell’ordine di 60 miliardi di euro.

Per far fruttare per via di innovazione tecnologica ed organizzativa – come prima ricordavo – patrimonio identitario ed eccellenze del Mezzogiorno nel turismo e nell’export.

“Siamo pieni – ha recentemente scritto Giuliano Amato – di carenze e di acciacchi, ma vivaddio abbiamo la fortuna di vivere in un Paese che davvero dispone di carte fra le più preziose in un mondo globalizzato in cui quasi tutti potranno replicare quasi tutto”.

“Ciò che non potranno replicare però – prosegue Amato – è tanto il patrimonio naturale e culturale italiano, quanto l’insieme delle qualità italiane che quel patrimonio lo sanno aggiornare e poi offrire sia in Italia che ovunque nel mondo”.

Di questo patrimonio, il Mezzogiorno è tanta, tantissima parte.

Facciamo leva su questo patrimonio.

E’ essenziale per un’Italia che ha uno dei più elevati debiti pubblici del mondo in rapporto al PIL, ma ha anche la fortuna di detenere il primo patrimonio storico-culturale del mondo.

Abbiamo, ad esempio, il primato mondiale dei siti Unesco: 45.

Ma uno studio recente ci dice che, fatto 100 l’indice di valorizzazione dei siti  italiani, quello dei siti spagnoli è 130, quello dei siti francesi è 190, quello dei siti cinesi è addirittura di 270.

Bisogna, allora, invertire la rotta.

Bisogna reagire ai crolli annunciati di Pompei ed all’incuria dei templi di Selinunte, in Sicilia.

Perché davvero non vorremmo più leggere notizie come quella della scoperta, a Pozzuoli, di un mausoleo romano.

Scoperto e sepolto, però, in una discarica abusiva, da 58 tonnellate di rifiuti speciali !

Invertire la rotta e reagire significa, anche in questi casi, realizzare un salto di qualità nell’azione delle pubbliche amministrazioni e nella collaborazione tra pubblico e privato.

Per spendere, organizzare e promuovere meglio. Per investire anche qualcosa di più, se è necessario.

E, in tanti casi, per reperire le risorse necessarie, “basterebbe” – lo dico tra virgolette – una robusta sforbiciata ai costi della politica!  

E ancora vi sono, nel Mezzogiorno, le molte opportunità dei processi di riqualificazione urbana e di un maggiore apporto allo sviluppo della produzione italiana di energia da fonte rinnovabili.

Particolarmente oggi, va poi rafforzata  la collaborazione tra banche ed imprese.

Ci ritroviamo insieme sulle ragioni della crescita del Paese. Possiamo e dobbiamo ritrovarci insieme, quotidianamente e concretamente.

Per agevolare l’accesso al credito, valorizzando il ruolo dei consorzi fidi e del Fondo centrale di garanzia, ed insistendo per correttivi ai parametri di Basilea 3.

Per sospingere costituzione e sviluppo delle reti d’impresa, e patrimonializzazione delle imprese.

Per la modernizzazione del sistema dei pagamenti, sostenuta dalla riduzione dei costi a carico delle imprese sul versante degli strumenti elettronici di pagamento ed incasso.

Ecco, ho fin qui cercato di tratteggiare alcuni aspetti dell’agenda per la crescita e lo sviluppo del Mezzogiorno e, in questo modo, per la crescita e lo sviluppo dell’Italia tutta.

Nell’affidare l’incarico al Presidente Monti, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha così osservato:

“E’ giunto il momento della prova, il momento del massimo senso di responsabilità. Non è tempo di rivalse faziose né di sterili recriminazioni”.

E’ invece tempo – osserviamo noi – di una “buona politica”: lucidamente consapevole delle emergenze, ma tenacemente ed ambiziosamente convinta del fatto che l’Italia resta un grande Paese e che, con il contributo di tutti gli italiani di buona volontà ed anzitutto dei suoi giovani, ce la farà.

Ce la farà – concludo – se anzitutto si saprà costantemente, coerentemente e concretamente riconoscere che è anzitutto dalla mobilitazione delle energie delle imprese e del lavoro del Mezzogiorno che passa la produttività, la crescita e l’occupazione aggiuntiva di cui tutto il Paese ha bisogno.

A centocinquant’anni dall’Unità, il Mezzogiorno resta, dunque, una grande questione nazionale.

Affrontarla e risolverla, significa operare per il “bene comune” dell’Italia.

 

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