Intervento del Presidente Sangalli "Sviluppo Turistico: quali infrastrutture"

Intervento del Presidente Sangalli "Sviluppo Turistico: quali infrastrutture"

Bit, 23 febbraio 2007

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26 febbraio 2007

Autorità, cari amici ed amiche, signore e signori, ringrazio tutti voi per la vostra presenza, e  il mio amico Adalberto Corsi per il suo impegno che ha visto come risultato questo nuovo polo fieristico, nel quale la Bit viene ospitata per la prima volta. Ringrazio anche e soprattutto il Vicepresidente Vicario di Confcommercio e Presidente di Conftruismo Bernabò Bocca per l'organizzazione di questo convegno che focalizza l'attenzione su uno dei temi che reputo davvero strategici per la crescita del nostro Paese: il ruolo delle infrastrutture.

Nel corso dei lavori analizzeremo qual è la dotazione infrastrutturale del nostro Paese rispetto ai principali competitors europei.

Non vorrei rovinarvi la sorpresa, ma i dati forniti dall'Isnart, e che vedremo fra poco sintetizzati efficacemente in un video, ci mostrano una realtà sicuramente non rassicurante, specialmente se raffrontata con Paesi come la Francia o la Spagna.

È una realtà con  la quale gli operatori del terziario e in particolare quelle imprese che Confturismo rappresenta, oltre 200.000, devono fare i conti quotidianamente.

La situazione infrastrutturale del Paese deve essere affrontata da chi ha le chiavi della cabina di regia a livello nazionale, ma anche e soprattutto dagli interlocutori istituzionali e dagli amministratori locali.

Perché senza una seria politica di intervento sulle infrastrutture  è difficile pensare che il turismo italiano possa avere quella spinta propulsiva di cui ha bisogno per competere a livello internazionale e per poter viaggiare a lungo, e senza vuoti d'aria, ad alta quota.

D'altronde vale, riportata per il turismo, la formula che Confcommercio, e non da oggi, reputa necessario applicare per non perdere il treno della ripresa economica.

Riforme strutturali  e riduzione della pressione fiscale, taglio della spesa pubblica improduttiva da riconvertire in  investimenti in settori strategici e vere liberalizzazioni. Sono questi gli elementi di una equazione che può essere risolta solo attribuendo a ciascuno di essi non un valore ipotetico, e procedendo poi per tentativi, ma combinando gli elementi secondo criteri logici che non lasciano spazio all'improvvisazione.

Perché anche se siamo confortati da previsioni di crescita del Pil  del 2% per il 2007, non dobbiamo pensare che il più sia fatto. Perché la "ripresina" italiana è in realtà per molta parte trainata dall'export e poco dalla domanda interna.

Una domanda ancora debole per il peso della pressione fiscale, sulla quale – nonostante i 37 miliardi di maggiori entrate registrate nel 2006 rispetto al 2005 – non sembra esserci la volontà di intervenire, come invece sarebbe doveroso fare, senza più rimandare alle calende greche.

E non si possono più rimandare alle calende greche – e anche per questo ci auguriamo che si risolva velocemente la crisi politica di questi giorni – gli investimenti di cui il nostro Paese ha bisogno per dotarsi di quelle infrastrutture e di quei servizi  senza i quali il turismo italiano, nonostante il trend positivo del 2006,  rischia di non riuscire a recuperare appieno il terreno perso pur disponendo di un patrimonio "naturale" inestimabile in termini di offerta: la cultura, l'arte, l'enogastronomia, il mare, la montagna, la natura e il paesaggio, e non ultima, l'innata ospitalità e la professionalità degli imprenditori. 

Perché l'attrattiva turistica di un paese funziona se riesce a coniugare due aspetti apparentemente lontani fra di loro: l'accoglienza del territorio, intesa come accessibilità, efficienza, capacità di accogliere ma anche di "lasciare un segno" positivo da parte di tutti i soggetti coinvolti; e dall'altra la promozione, a livello internazionale e su larga scala,  di un'immagine ed un'offerta in grado di attirare i flussi dei nuovi paesi che si affacciano sul mercato e di interpretare le nuove esigenze dei viaggiatori di oggi.

Non a caso "l'Italia lascia il segno" è proprio lo slogan saggiamente scelto per il lancio del logo per la promozione dell'immagine del nostro Paese e del portale che sarà gestito dall'Enit.

Non ho dubbi d'altronde sul fatto che l'Enit – guidato dal manager che più di ogni altro sa coniugare capacità gestionali con un'esperienza internazionale ineguagliabile – contribuirà in misura determinante a rilanciare ancor di più questa ripresa del turismo italiano.

Ci aspettiamo, e lo chiediamo a gran voce, che in questo sforzo collettivo, nell'agenda delle priorità siano inseriti, oltre ai provvedimenti atti ad aumentare la competitività del sistema,  anche misure che facilitino l'accesso di turisti dai paesi emergenti.

Ma l'immagine dell'Italia si coltiva anche, come dicevo prima, sul territorio, nell'impatto che il turista ha durante il soggiorno, o attraverso le possibilità di scelta che gli vengono offerte.

E la riflessione che sottopongo a tutti voi è quella di considerare quanto, realmente, i servizi infrastrutturali, siano essi prevalentemente pubblici o in mano a privati, nazionali o locali, giochino un ruolo fondamentale.

Smettiamo quindi di ragionare in termini di grandi opere e pensiamo che queste opere, grandi o piccole che siano, debbano essere soprattutto opere necessarie. Per questo è importante che si sgombri il campo da impostazioni ideologiche – tifosi del cemento contro paladini della purezza ambientale – e si proceda con una pianificazione ed una realizzazione tarata su criteri di efficienza e sostenibilità.

Ed è altrettanto importante che privatizzazioni e liberalizzazioni siano occasioni di produzione di valore per tutti gli attori economici e  sociali.

Grazie

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