Patto del Capranica: le ragioni delle imprese del territorio

Patto del Capranica: le ragioni delle imprese del territorio

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10 maggio 2010

Il Manifesto delle Imprese del Territorio

La lezione fondamentale della “grande crisi” sta nella necessità di una forte rivalutazione delle buone ragioni dell’economia reale e del lavoro. Anche nel nostro Paese e soprattutto nel nostro Paese, queste buone ragioni coincidono largamente con le ragioni di quel sistema di piccole e medie imprese e di impresa diffusa, che così profondamente connota i processi di sviluppo territoriale. Dare risposta a questa esigenza significa costruire opportunità di crescita, di sviluppo, di coesione sociale e territoriale. Dare risposta a questa esigenza è una responsabilità condivisa: delle istituzioni e della politica, delle forze economiche e sociali. Ed è una responsabilità che avvertiamo anzitutto come nostra: di chi pone al centro della propria missione di rappresentanza la relazione stretta tra imprese e territori. Il Manifesto vuole dunque essere il contributo responsabile di un’Italia produttiva che non si arrende alla paura, consapevole delle difficoltà, nuove e pregresse, che occorre affrontare e superare per crescere di più e meglio, per costruire sviluppo e coesione sociale e territoriale.

 

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E’ il contributo del “popolo del fare impresa” che ha ormai preso le misure del nuovo scenario competitivo. Lo ha fatto “cambiando pelle” con ristrutturazioni profonde, silenziose ed anche dolorose. Lo ha fatto dimostrandosi capace di andare oltre l’economia delle “reti corte”; compiendo la transizione dal “lavorare per produrre” (simboleggiato dalla catena del valore con al centro il prodotto) al “produrre per competere” (simboleggiato dalla ragnatela del valore con al centro il consumatore/cliente); aprendosi alla contaminazione tra la produzione ed il mondo dei servizi, dell’artigianato, del commercio, delle reti, del turismo, dell’esperienza e della creatività. Lo ha fatto cercando di coniugare insieme competizione ed efficienza da un lato, e prossimità e coesione sociale dall’altro. Senza soggiacere né all’euforia della “new economy”, né alle suggestioni delle privatizzazioni senza liberalizzazioni e del primato della finanza. E chiedendo, invece, più credito per l’impresa e per l’economia reale. Chiedendo al sistema bancario più apertura e lungimiranza; più collaborazione e più prossimità territoriale.

Questo è il “popolo del fare impresa” a cui tutti – e non solo noi che particolarmente lo rappresentiamo – oggi riconoscono una crescente capacità di giocare un ruolo prezioso nel futuro del Paese, tanto sul piano dello sviluppo economico, quanto sul piano della dinamica sociale. Un ruolo nutrito dall’impegno al rischio, al lavoro duro, al merito, alla legittimazione del territorio e delle sue eccellenze, ed aperto ai grandi temi della modernità: efficienza ed innovazione continuata, internazionalizzazione e terziarizzazione.

Piccole e medie imprese ed impresa diffusa sono, dunque, tutt’altro che anomalia o contraddizione, eccezione o marginalità rispetto alla modernità. In Italia come in Europa. L’Europa lo ha riconosciuto con lo Small Business Act, fatto proprio anche dal nostro Paese. Ha cioè riconosciuto la necessità di politiche dedicate alle PMI come condizione fondamentale per la loro crescita e, in questo modo, per il loro contributo ad un realistico perseguimento degli obiettivi di Lisbona, per come riletto – proprio alla luce della “lezione” della crisi e delle prospettive del dopo-crisi – attraverso le proposte di Europa 2020. Ma il “pensare anzitutto al piccolo” dello Small Business Act non è né un anacronistico ripiegamento su orizzonti localistici rispetto allo scenario difficile ed inquieto della globalizzazione, né l’evocazione di politiche da “riserva indiana”. E’ invece l’impegno a far sì che, ad ogni livello della scala dimensionale, le imprese possano ricercare maggiore efficienza e crescere. Crescere singolarmente ed attraverso aggregazioni di gruppo e di rete, relazioni di distretto e di filiera. Senza “riserve indiane”: né per le PMI, né per i “campioni nazionali”.

Questi i principi, i valori ispiratori di buone politiche per le PMI italiane: la tutela rigorosa della legalità e della sicurezza e l’efficienza della giustizia contro ogni forma di criminalità e come fondamentale pre-requisito di crescita e di sviluppo; il pluralismo imprenditoriale – cioè la vitale compresenza di imprese piccole, medie e grandi - come esito e come condizione strutturale di democrazia economica; l’apertura dei mercati e l’attenzione alle ragioni dei consumatori fondate su una concorrenza a parità di regole; l’impegno per lo sviluppo territoriale e per una maggiore competitività dell’intero sistema-Paese. Sono i principi, i valori di un’Italia che – a volte quasi nonostante tutto – mantiene fortissima la voglia di fare impresa. E’ l’Italia dell’economia reale, che intende affrontare sino in fondo il problema del rafforzamento della produttività. Facendo la propria parte e sollecitando l’avanzamento concreto dell’agenda delle riforme.

Le riforme istituzionali necessarie per il migliore funzionamento del circuito della decisione politica ed amministrativa. Le riforme economiche e sociali necessarie per un’Italia più ambiziosa: per un’Italia che voglia costruirsi un futuro più prospero e più giusto. I capitoli dell’agenda delle riforme sono, peraltro, notissimi. Qui ed oggi, ci preme soprattutto ribadire, sul piano del metodo, l’importanza, ai fini del concreto avanzamento di questa agenda, della ricerca della maggiore convergenza tra le istituzioni, le forze politiche, le forze economiche e sociali. E, sul piano del merito, l’importanza – nel quadro del federalismo istituzionale e fiscale che verrà – della qualità della collaborazione, e di più della cooperazione, tra funzione pubblica ed iniziativa organizzata dei privati, anche ai fini di una decisa semplificazione del sistema amministrativo e della riduzione degli oneri burocratici. Così come della collaborazione, e di più della cooperazione, tra impresa e lavoro. Sono infatti queste virtuose “complicità” – tra pubblico e privato, tra impresa e lavoro – ad essere determinanti, oggi e nel futuro prossimo venturo, per la definizione di una piattaforma delle regole che sospinga, nel nostro Paese, merito e talento, innovazione e produttività, crescita e mobilità sociale, competitività e coesione territoriale.

Regole per il controllo rigoroso degli andamenti della finanza pubblica e per la riduzione del debito, ma anche per un sistema di tempi di pagamento più “europei”. Regole per un federalismo che sia occasione di maggiore produttività della funzione pubblica e della spesa pubblica, e di riduzione della pressione fiscale complessiva in parallelo al contrasto e recupero di evasione ed elusione. Regole per un federalismo pro-competitivo e responsabilmente solidale, e che sia così occasione di maggiore crescita e sviluppo per l’intero Paese, a partire dal Mezzogiorno. Regole per il completamento del circuito della flexicurity attraverso la riforma degli ammortizzatori sociali e la qualità dei processi di formazione continua, e per una sicurezza sociale responsabilmente e saldamente fondata sul lavoro, su più lavoro, e che, in questo modo, divenga più inclusiva e finanziariamente più sostenibile. Regole per la valorizzazione del merito e del talento: nella scuola e nell’Università come nel mercato del lavoro. Regole per una piena integrazione tra politica industriale e politica per i servizi, costruita sulla centralità dell’innovazione e degli investimenti infrastrutturali, sulla valorizzazione dell’identità italiana e sul ruolo propulsivo della risorsa-turismo, sulla riduzione del costo dell’energia e sulle nuove opportunità della green-economy.

Fare avanzare il cantiere delle riforme, condividere ed applicare queste regole è – ancora una volta – una responsabilità condivisa. E che richiede, in particolare, la volontà e la capacità di sottrarre le scelte alla logica della massimizzazione dei ritorni a breve, alla “dittatura del breve termine”. Per quel che più direttamente ci riguarda, significa anche andare oltre un modello di rappresentanza degli interessi delle imprese troppo frammentato: per classi dimensionali, per logiche settoriali, per anacronistiche appartenenze politiche originarie. Significa, in positivo, ricomporre questa frammentazione per fare anzitutto valere il contributo delle imprese del territorio alla coesione ed alla vitalità collettiva dell’Italia.

Da tempo, lavoriamo insieme. Ed è stato un lavoro concreto ed importante. Sappiamo, però, che occorre fare di più e meglio. Di più e meglio per dare voce comune, identità e visibilità, capacità di rappresentanza e di rappresentazione alle imprese del territorio, al “popolo del fare impresa”. E’ questa, oggi, la nostra fondamentale assunzione di responsabilità. Per questo, oggi, pensiamo che sia necessario aprire una nuova fase. Una fase in cui il nostro lavorare insieme assuma forme organizzativamente più stabili e strutturate, acquisisca contenuti programmaticamente più impegnativi, si misuri con obiettivi più ambiziosi. Quelli necessari per un’Italia che, tutta insieme, voglia crescere di più e meglio. Per questo, oggi, nasce Rete Imprese Italia.

Questa è, in definitiva, la nostra ambizione: modernizzare la rappresentanza delle imprese per modernizzare l’economia e la società italiana. Vogliamo farlo in nome delle buone ragioni dell’economia reale e del lavoro del nostro Paese. Possiamo farlo, perché realmente rappresentiamo larga parte di questa economia reale. Dobbiamo farlo, perché l’Italia tutta – a partire dalle imprese che rappresentiamo – merita un futuro migliore.

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Il messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

testo del messaggio del presidente napolitano

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Storia del “Patto del Capranica”

Il “patto del Capranica” nasce il 30 ottobre del 2006 con una manifestazione unitaria (svoltasi a Roma nell’ex cinema Capranica) promossa da Casartigiani, CNA, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti in risposta ad alcune scelte operate, con la legge finanziaria, dal Governo Prodi. Scelte che si traducevano in un inasprimento della pressione fiscale e contributiva a carico delle Pmi e delle imprese dei servizi. Da allora in avanti, si è sviluppato, tra queste cinque Organizzazioni, un processo di coordinamento informale, che ha portato ad esprimersi, con documenti e portavoce unitari, in tutte le principali sedi di confronto: dai tavoli di concertazione a Palazzo Chigi alle audizioni in sede parlamentare. Una nuova rappresentanza, unitaria, del mondo delle Pmi del nostro Paese che non annulla ovviamente storia ed identità delle Confederazioni che vi partecipano. Ma proprio la “lezione” fondamentale della crisi – cioè la rivalutazione delle ragioni dell’economia reale e, con essa, il riconoscimento crescente del ruolo centrale delle Pmi e delle imprese dell’artigianato, del commercio, dei servizi e del turismo come asse portante del sistema produttivo del nostro Paese – ha spinto le cinque Organizzazioni a fare un decisivo passo in avanti. Di strutturare, cioè, in maniera organizzativamente più compiuta questo coordinamento e, soprattutto, di farlo agire in maniera programmaticamente più impegnativa e propositiva. Per dare, nel sistema della concertazione, più voce e visibilità all’Italia dell’impresa diffusa che, anche in tempi di crisi, non intende tirare i remi in barca e che, soprattutto, è una risorsa fondamentale per rimettere in moto crescita e sviluppo, coesione sociale e coesione territoriale. Per questo, riconoscere le ragioni di questa Italia produttiva è una questione di responsabilità: nei confronti delle imprese e dei lavoratori, ma anche nei confronti degli interessi generali del Paese. E la scelta di aprire una nuova fase nella storia del “patto del Capranica” vuole essere proprio la testimonianza di un’Italia che vuole far valere di più e meglio le ragioni di queste imprese - piccole, medie e grandi - e che vuole contribuire alla costruzione di un Paese migliore e più ambizioso.

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La rappresentanza potenziale di R.eTe.–Imprese Italia

Logo R.E.TE: Imprese Italia

Le 5 organizzazioni di categoria che costituiscono R.eTe.–Imprese Italia sono rappresentative delle imprese presenti nei settori del commercio, del turismo, dei servizi e delle piccole imprese del manifatturiero e delle costruzioni. Si tratta di oltre 4,2 milioni di unità produttive che impiegano, 14,5 milioni di addetti, di cui 9 milioni sono lavoratori dipendenti (tab. 1).

L’area della rappresentanza potenziale copre il 94,7% del tessuto produttivo privato, al netto dell’agricoltura e dei servizi di intermediazione monetaria e finanziaria. Le imprese artigiane sono più di 1,4 milioni e occupano più di 3 milioni di addetti.

Le imprese di R.eTe.–Imprese Italia producono circa il 60% del valore aggiunto italiano e impiegano il 58,5% di tutti gli occupati del Paese (tab. 2).

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Nota metodologica di stima delle imprese, del valore aggiunto e degli occupati
Per quanto riguarda la numerosità delle imprese (Fonti Istat e Movimprese), sono state considerate tutte le imprese del terziario di mercato ad esclusione di quelle operanti nel settore J (Ateco 2002) dell’intermediazione monetaria e finanziaria. Per l’industria (manifattura e costruzioni) le imprese considerate nella rappresentanza potenziale sono quelle con meno di 50 addetti.

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