Torino: bar e bistrot, "boom" dei piccoli ristoratori

Torino: bar e bistrot, "boom" dei piccoli ristoratori

Nei primi nove mesi del 2014 hanno aperto due punti di ristoro al giorno in provincia di Torino. In tutto 576, due terzi dei quali concentrati in città, il resto nell'hinterland.

DateFormat

9 febbraio 2015

 

Piccoli ristoratori crescono e sfidano la crisi: nei primi nove mesi del 2014 hanno aperto due punti di ristoro al giorno in provincia di Torino. In tutto 576, due terzi dei quali concentrati in città, il resto nell'hinterland. Si tratta di piccoli esercizi che vendono cibo compresa la pizza al taglio o i negozi specializzati in pasta, pizza e altri mono-specialità alimentari spesso d'asporto. Una tendenza che si riscontra anche a Roma e Milano. L'altra faccia di questa medaglia però è meno rosea: "Nonostante il comparto alimentare regga bene l'impatto della crisi il saldo complessivo è negativo perché si chiudono più ristoranti e bar di quanti se ne aprono: nel giro di 2 anni chiude il 27% dei nuovi esercizi", si legge in uno studio FipeConfcommercio. Giovani ed inesperti Ma chi sono questi nuovi imprenditori della ristorazione? "Sono in maggioranza giovani e circa il 40 per cento ha meno di 35 anni", spiega Maria Luisa Coppa, presidente dell'Ascom di Torino: "Sono loro i protagonisti di questo boom con la loro capacità di intercettare i cambiamenti in corso nel modo di consumare il cibo da parte dei giovani". Dino De Santis, presidente di Confartigianato di Torino, si dice convinto che «vanno meglio i bar-pasticcerie con caffetterie e produzione artigianale e anche i take away perché hanno una struttura leggera rispetto al tradizionale ristorante».Ma evidentemente creatività e fantasia non bastano per affrontare il mercato e la concorrenza. De Santis sottolinea la necessità di un «supporto organizzativo, soprattutto fiscale, per ridurre il tasso di rotazione». Senza dimenticare che "ciò che ci spinge a non crescere è ancora una volta la tassazione". Per Coppa, però, è necessario intervenire prima perché "molto spesso mancano le competenze come dimostra l'alta mortalità che si registra sul mercato"». Un modo per dire che non basta aver fatto l'alberghiero e corsi di cucina per reggere la sfida: "Purtroppo - spiega la presidente Ascom -può sembrare molto facile cucinare e servire cibo e invece è uno tra i mestieri più difficili". Si spiega così lo sforzo di Ascom di spingere sulla formazione non solo rispetto alla cucina ma «alla gestione quotidiana dell'attività dove cerchiamo di ragionare sul costo del piatto che non è fatto solo dalla materia prima ma anche dai costi fissi: luce, gas, affitto e via dicendo". 

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca