Spread, fondamentali economici e (poca) Europa

Spread, fondamentali economici e (poca) Europa

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30 maggio 2013

Mariano Bella-Silvio Di Sanzo, Ufficio Studi Confcommercio-Imprese per l'Italia
maggio 2013

Non ci si può arrendere all'idea che i maggiori rendimenti richiesti sui nostri titoli del debito dipendano (quasi) esclusivamente dal "rischio euro". La maggior parte dello spread dipende da variabili economiche.
Si può ammettere la presenza di un "rischio euro" che influenza in modo asimmetrico ma comunque rilevante i rendimenti dei titoli pubblici di una serie di paesi europei, tra i quali c'è senz'altro l'Italia. Con questa espressione vogliamo indicare un eccesso di rendimento richiesto dagli investitori rispetto alle normali condizioni di mercato dovuto all'incertezza sul futuro dell'euro e alla sfiducia nella capacità dei governi dell'Eurozona di gestire la crisi.
Utilizzando un set di dati con frequenza mensile per il periodo Aprile1994-Marzo2012, si è stimato il livello degli spread tra Italia e Germania nei titoli di stato decennali compatibile con i fondamentali economici1. Per tale scopo, si è fatto ricorso ad un semplice modello di regressione lineare, utilizzando come variabile dipendente lo spread tra Italia e Germania nei rendimenti dei titoli di stato decennali e come variabili esplicative i divari tra Italia e Germania nei livelli dei debiti pubblici (in % dei rispettivi Pil), nella crescita del Pil (in termini reali) e nei tassi di inflazione.
La nostra semplice equazione di regressione è del tipo spread vs. spread. Tutte le variabili sono misurate come distanza tra i valori osservati per il nostro paese e i valori osservati sulle omologhe variabili della Germania. A nostro avviso questa struttura è più immediata, sotto il profilo intuitivo, di altre specificazioni pure utilizzate per spiegare lo stesso fenomeno2.
Le stime, presentate in tab. 1, evidenziano che gli spread nominali, quelli comunemente osservati e discussi quotidianamente, dipendono:

Tab. 1 - Determinanti dello spread: aprile 1994-marzo 2012 (numero osservazioni=216)

variabile dipendente: spread (benchmark: Germania) valori dei coefficienti
costante 0.49 ***
spread (debito pubblico su Pil) 5.35 ***
spread (tasso d'inflazione tendenziale) 0.77 ***
spread (tasso di variazione del Pil reale) -1.20 **
Nota: (**) e (***) denotano, rispettivamente, la significatività statistica al livello di probabilità del 5% e dell'1%.

 

1) positivamente dalle differenze nei rapporti debito/Pil: maggiore è lo scarto di questo rapporto rispetto al parametro della Germania maggiore è lo spread; l'aumento di un punto percentuale assoluto tra i rapporti debito/Pil produce un incremento degli spread di 5,4 punti base (ad esempio se il rapporto debito/Pil in Italia passasse dal 125% al 126% e contestualmente in Germania rimanesse costante all'85%, a parità di altre condizioni lo spread sui rendimenti decennali salirebbe di 5,4 punti);

2) positivamente dalle differenze nei tassi d'inflazione: questo effetto è del tutto comprensibile: gli investitori, come un qualsiasi risparmiatore, investono per ottenere un rendimento reale, cioè valutato in termini di effettivo potere d'acquisto derivante dall'investimento; una differenza di un punto percentuale tra l'inflazione in Italia e in Germania dovrebbe riflettersi in una qualche differenza nei rendimenti pretesi dagli investitori sui titoli dei due paesi3; 100 punti base nell'incremento della differenza tra i tassi d'inflazione, si traducono in 70 punti base di incremento negli spread;

3) negativamente dalle differenze nei tassi di variazione del Pil: questa variabile dà conto in qualche misura della sostenibilità relativa (tra paesi) dei debiti di ciascuno stato sovrano; se la crescita italiana è inferiore a quella tedesca la sostenibilità relativa diminuisce e quindi lo spread sale; in un modello più accurato e con un approccio attento anche al ruolo della posizione netta sull'estero - cioè i capitali all'estero di proprietà dei residenti di un altro paese - probabilmente il saldo delle partite correnti avrebbe meglio rivestito il ruolo qui giocato dal Pil.

Dai risultati emerge anche che l'annullamento degli spread economici tra Italia e Germania implicherebbe comunque il mantenimento di cinquanta punti base a sfavore dell'Italia in termini di maggiori costi relativi del finanziamento (la costante della regressione).

Sulla base dei coefficienti ottenuti, con riferimento al periodo luglio 2011-marzo 2012, il 61% circa dello spread osservato è spiegato dai fondamentali economici. Comunque, una frazione rilevante dello spread, circa il 40%, non è spiegata dai fondamentali economici ma dal "rischio euro".
L'idea che larga parte degli spread tra i rendimenti dei titoli decennali italiani e tedeschi non sia spiegabile attraverso variabili strettamente economiche4 è verosimile ma pericolosa, in ragione dell'uso deresponsabilizzante che se ne potrebbe fare: se non dipende da noi, ma dal sentiment dei mercati, è inutile applicarsi a porre rimedio a qualsiasi deficit di perfomance rilevato per l'Italia, perchè direttamente o indirettamente potrebbe essere ascritto a questo "rischio euro".
Crediamo sia più corretto sostenere che, seppure larga parte degli spread non dipenda dai fondamentali, larghissima parte di essi è spiegata da variabili economiche. Ciò implica che abbiamo più lavoro da fare rispetto ai nostri partner europei e cioè accanto all'agenda "Europa", che potrebbe curare la malattia da sfiducia generalizzata, c'è da affrontare un'agenda "Italia". Posta al centro di quest'ultima, la crescita economica resta la migliore cura anche per gli spread.

______________________

  1. I dati mensili sulla variazione del Pil sono ottenuti per pura interpolazione dei dati trimestrali realmente osservati. La regressione su dati mensili valorizza l'informazione in alta frequenza relativa tanto agli spread quanto ai tassi d'inflazione. Per valutare la robustezza delle stime ottenute con i dati mensili, si è effettuata una regressione utilizzando un set di dati con frequenza annuale, quindi osservati.  Dai risultati ottenuti emergono conclusioni molto simili a quelle ottenute con i dati mensili presentati in questa nota. essi sono confermati anche da un'analisi di regressione su dati panel, in cui la stessa struttura dell'equazione qui presentata è applicata per spiegare gli spread sia dell'Italia che di Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia, sempre tenendo come benchmark la Germania.
  2. Cer (2012), LO SPREAD PROSSIMO VENTURO, Rapporto Cer, Aggiornamenti, Ottobre; Confindustria (2012), Spread: l'Italia paga oltre 300 punti più del dovuto. Unico rimedio: uno scudo impugnato dalla BCE, Nota Numero 2012-5, 19 Luglio.
  3. E' opportuno sottolineare come il tasso d'inflazione rilevante per l'investitore è quello "atteso" e non quello osservato, perché l'investimento ha una durata proiettata sul futuro; data l'indisponibilità di dati omogenei su questa variabile e stanti gli obiettivi puramente descrittivi di questa nota, abbiamo ritenuto accettabile di utilizzare l'inflazione osservata, la quale, tra l'altro, in un periodo sufficientemente lungo come quello analizzato, non può differire sistematicamente dalle aspettative.
  4. Per esempio, Di Cesare A., G. Grande, M. Manna e M. Taboga (2012). Recent estimates of sovereign risk premia for euro-area countries, Banca d'Italia, Occasional papers (Questioni di Economia e Finanza), 128.

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