Una nota sulle spese obbligate

Una nota sulle spese obbligate

La nota in sintesi

Negli ultimi quaranta anni, la quota di consumi assorbita dalle cosiddette spese obbligate (bollette, affitti, servizi bancari e assicurativi, carburanti, ecc.) è quasi raddoppiata passando dal 23,3% sul totale dei consumi del 1970 a poco meno del 40% del 2010.

Tra le spese fisse, le maggiori quote, in valore, sono destinate all’abitazione (57,4%) e ad assicurazioni e trasporti (25%).

Nello stesso periodo, la quota di consumi “liberi” delle famiglie – quelli cioè per beni e servizi commercializzabili – si è ridotta passando, nel complesso, dal 76,7% al 61,2% con una forte contrazione per gli alimentari la cui quota si è più che dimezzata (dal 36,1% del 1970 al 15,1% del 2010).

Quanto alle dinamiche dei prezzi, i consumi obbligati hanno mostrato, nell’arco dei quaranta anni considerati, un’inflazione mediamente superiore al 60% rispetto a quella delle spese libere.

Gli over 65 che vivono da soli destinano ai “consumi di base” – cioè spese fisse più quelle per l’alimentazione domestica – oltre i tre quarti della spesa media mensile.

Sul totale dei consumi liberi, le coppie senza figli spendono più di un terzo per ai servizi (viaggi, pasti fuori casa, spettacoli, benessere personale, ecc.); per le famiglie numerose con 3 o più figli, invece, quasi i tre quarti delle spese libere se ne vanno per l’acquisto di beni, soprattutto alimentari.

***

1. La modesta ripresa dei consumi nel corso del 2010 (+1%) non ha consentito che un frazionale recupero dei livelli di spesa reale perduti nel biennio 2008-2009 (-3%).

La riduzione degli occupati e l’incremento della cassa integrazione hanno ridotto il reddito da lavoro, che resta una voce fondamentale nella determinazione del reddito disponibile delle famiglie consumatrici. Anche la riduzione del reddito d’impresa ha contributo a delineare il profilo decrescente del reddito disponibile: quest’ultimo, secondo le stime, manifesterebbe, nel 2011, la quarta contrazione consecutiva in termini reali. Così, il reddito reale pro capite degli italiani, tra il 2007 e il 2011, è calato del 7,1% (-4,8% aggregato rispetto a una popolazione cresciuta complessivamente del 2,3%). Questo periodo rappresenta, quindi, l’episodio peggiore della storia economica italiana in termini di riduzione del reddito, superando complessivamente la crisi del biennio 1993-1994 quando il reddito si ridusse di 4,2 punti percentuali in aggregato, a fronte di una popolazione residente sostanzialmente stabile.

Il richiamo alla dinamica dei redditi è necessario per chiarire che la riduzione della spesa reale per consumi è conseguenza della ridotta disponibilità di risorse da parte delle famiglie. Infatti, queste ultime hanno reagito bene alla crisi dei redditi innalzando la propensione al consumo, fenomeno che, data l’importanza degli stessi consumi nell’attivare produzione domestica, ha contenuto all’interno di limiti accettabili, seppure molto gravi, la riduzione del prodotto lordo.

In prospettiva, la scarsa crescita che contraddistingue ormai strutturalmente il Paese e le politiche potenzialmente restrittive contenute nei recenti provvedimenti di aggiustamento dei conti pubblici, rappresenteranno ulteriori elementi di freno al processo di formazione del reddito disponibile. In questo contesto, tutta la dinamica dei consumi è affidata al prosieguo del trend di incremento della propensione al consumo, ormai prossima al 92% del reddito.

Vi sono forti rischi che questo processo si interrompa in mancanza di un consolidamento della fiducia degli operatori, a partire dalle stesse famiglie.

***

2. In questo scenario, la composizione dei consumi, nella tradizionale distinzione tra spese obbligate e spese commercializzabili[1], gioca un ruolo sia nel definire il quadro di benessere economico fruito dalle famiglie sia nel delineare le traiettorie di sviluppo della spesa. È evidente che l’espansione delle spese obbligate non genera la medesima soddisfazione per i consumatori che si otterrebbe da un eventuale incremento delle spese libere. I consumi obbligati impattano negativamente sulla fiducia delle famiglie.

È opportuno premettere che qualsiasi tassonomia dei consumi è arbitraria. Classificare i carburanti come spesa obbligata potrebbe ad esempio essere contestato sulla base della considerazione che è sufficiente non possedere un’automobile per liberarsene, aumentando quindi la possibilità di investire in consumi non obbligati. Ma è possibile, in condizioni normali – in senso statistico – vivere senza un’auto? Mentre la scelta dell’auto è libera, sarà necessario e inevitabile acquistare il carburante. Lo stesso esempio si applica alle assicurazioni o al conto in banca.

Fig. 1 – Composizione dei consumi in valore

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Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

A nostro avviso, sono obbligate tutte quelle spese che devono essere fatte da una famiglia media in condizioni di minima inclusione sociale che si approvvigiona presso mercati non concorrenziali, opachi, soggetti a limitazioni delle informazioni a disposizione dei consumatori oppure presso i quali l’azione delle pubbliche amministrazioni contribuisce in modo determinante a stabilirne il prezzo (come nel caso dei carburanti) o le tariffe.

Tenendo presente le limitazioni, e con le necessarie cautele derivanti dagli inevitabili difetti nelle classificazioni, si può affermare che anche nel 2010 le spese obbligate o incomprimibili sono cresciute in livello assoluto e in proporzione (tab. 1).

Lo sguardo ai trend di lungo periodo dice che le spese incomprimibili sono passate da una quota del 23,3% sul totale dei consumi nel 1970 a circa il 40% nel 2010 (fig. 1).

Posto a 100 il totale delle spese obbligate, la quota più consistente è destinata all’abitazione (57,4%), circa il 25% alle assicurazioni ed ai trasporti, l’8,4% alla sanità e quasi il 10% alla spesa per servizi finanziari e per la protezione sociale (voce “altro”).

Tab. 1a – Consumi delle famiglie: spese obbligate e commercializzabili

Valori a prezzi correnti (milioni di euro)

  1970 1980 1990 2000 2007 2008 2009 2010
Obbligati 4.835 33.163 123.607 255.284 346.581 363.929 355.409 365.773
abitazione 2.760 16.680 64.579 134.173 188.401 199.368 203.926 210.046
sanità 288 2.073 9.553 24.373 28.303 29.244 29.750 30.591
assicurazioni e trasporti 1.260 9.375 29.192 67.213 90.865 92.217 84.693 89.371
altro (*) 527 5.035 20.283 29.526 39.012 43.101 37.040 35.765
Commercializzabili 15.940 89.271 281.237 471.921 570.994 573.768 563.660 575.737
beni 13.011 73.002 216.635 339.463 396.482 395.150 384.997 391.440
di cui alimentari (**) 7.497 33.142 80.937 115.253 140.902 143.352 141.766 142.499
servizi 2.929 16.269 64.602 132.458 174.513 178.618 178.662 184.298
SPESA SUL TERRITORIO 20.775 122.434 404.844 727.205 917.575 937.697 919.069 941.510
(*) comprende: protezione sociale; servizi finanziari; altri servizi n.a.c.; (**) incluse bevande alcoliche e non alcoliche.
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

Tab. 1b – Consumi delle famiglie: spese obbligate e commercializzabili

Composizione %

  1970 1980 1990 2000 2007 2008 2009 2010
Obbligati 23,3 27,1 30,5 35,1 37,8 38,8 38,7 38,8
abitazione 13,3 13,6 16,0 18,5 20,5 21,3 22,2 22,3
sanità 1,4 1,7 2,4 3,4 3,1 3,1 3,2 3,2
assicurazioni e trasporti 6,1 7,7 7,2 9,2 9,9 9,8 9,2 9,5
altro (*) 2,5 4,1 5,0 4,1 4,3 4,6 4,0 3,8
Commercializzabili 76,7 72,9 69,5 64,9 62,2 61,2 61,3 61,2
beni 62,6 59,6 53,5 46,7 43,2 42,1 41,9 41,6
di cui alimentari (**) 36,1 27,1 20,0 15,8 15,4 15,3 15,4 15,1
servizi 14,1 13,3 16,0 18,2 19,0 19,0 19,4 19,6
SPESA SUL TERRITORIO 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
(*) comprende: protezione sociale; servizi finanziari; altri servizi n.a.c.; (**) incluse bevande alcoliche e non alcoliche.
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

A scanso di equivoci, vale la pena di segnalare che il processo di terziarizzazione dell’economia e dei consumi, all’interno delle spese libere, è solo in parte e fisiologicamente responsabile della compressione della quota destinata ai beni commercializzabili, che in quaranta anni passa dal 62,6% al 41,6% (meno 21 punti percentuali, peraltro tutti ceduti dagli alimentari e dalle bevande, cioè dall’alimentazione domestica). Infatti, i servizi commercializzabili conquistano solo il 5,5% in quota: il resto va tutto alle spese obbligate, che crescono dunque di 15,5 punti percentuali.

Cosa spiega questo fenomeno? In parte l’evoluzione della struttura socio-demografica. La popolazione si aggrega in nuclei sempre più piccoli: il numero medio dei componenti di una famiglia è passato da 3,3 del 1971 a 2,4 del 2010, con una riduzione del 27,3%. Questo implica che le economie di scala nel consumo domestico vengono sempre meno sfruttate: le spese per l’affitto o per la luce evidentemente crescono in termini pro capite, e quindi in aggregato, se la famiglia si riduce di dimensioni, data una certa popolazione.

La ragione prevalente risiede però nella dinamica dei prezzi: quella relativa ai beni e ai servizi obbligati appare decisamente più accentuata rispetto a quella mostrata dalle spese libere (tab. 2).

Tab. 2 – Dinamica dei prezzi

variazioni % medie annue

  1971-80 1981-90 1991-2000 2001-2010 2010 2010
(1970=100)
Obbligati 15,7 10,8 5,3 2,8 1,9 2.663
abitazione 14,6 11,8 6,4 3,9 2,0 3.246
sanità 11,4 10,7 4,0 0,1 -0,1 1.224
assicurazioni e trasporti 17,0 9,3 4,8 2,6 5,5 2.406
altro (*) 19,6 9,6 3,0 0,7 -4,9 2.165
Commercializzabili 14,5 9,7 3,5 2,0 1,1 1.675
beni 14,2 9,0 3,2 1,9 0,9 1.480
di cui alimentari (**) 14,1 8,6 3,0 2,4 0,2 1.451
servizi 15,8 12,3 4,3 2,3 1,5 2.638
SPESA SUL TERRITORIO 14,8 10,0 4,1 2,3 1,4 1.939
(*) (**) cfr. tab. 1.
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

Ponendo uguale a 100 l’indice di prezzo nel 1970, si riscontra che i consumi obbligati hanno mostrato un’inflazione mediamente superiore del 60% rispetto a quella dei commercializzabili (2.663/1.675). Se nel 1970 per comprare un paniere di beni e servizi obbligati si spendevano 100 euro oggi, a parità di quantità e di qualità, se ne spendono 2.600. Lo scarto nell’evoluzione dei prezzi tra beni e servizi obbligati rispetto alle spese libere è rappresentato graficamente in fig. 2.

Fig. 2 – Dinamica dei prezzi (1970=100)

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Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

Un’evidenza particolarmente importante si desume ancora dalla tab. 2. La differenza tra le dinamiche dei prezzi dei consumi obbligati rispetto ai commercializzabili si è accentuata dagli anni ’90: forse il processo di liberalizzazione in alcuni settori non ha funzionato come era nelle attese. Giova ricordare che l’Antitrust non perde occasione per segnalare la necessità e l’urgenza di cospicue iniezioni di maggiore concorrenza in alcuni settori dell’economia. Anche quest’anno nella relazione annuale al Parlamento, il Presidente Catricalà ha sottolineato la preoccupazione che “le liberalizzazioni sono uscite dalle priorità dell’agenda della politica, con l’effetto non solo di non favorire la ripresa economica, ma di mettere a rischio la stessa vitalità del sistema”, individuando, tra le priorità per introdurre assetti di mercato realmente competitivi, gli ambiti riguardanti i trasporti ferroviari, le gestioni autostradali e aeroportuali, i servizi bancari e assicurativi. Non è certo la prima volta che l’Autorità fornisce questi specifici suggerimenti.

Desta, dunque, qualche perplessità che in assenza di altri provvedimenti di liberalizzazioni, il Governo abbia pensato di introdurre nel D.L. n. 98/2011, convertito in Legge n. 111/2011, recante “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” all’articolo 35 (disposizioni in materia di salvaguardia delle risorse ittiche, semplificazioni in materia di impianti di telecomunicazioni e interventi di riduzione del costo dell’energia) una modifica in via sperimentale alla disciplina degli orari dei negozi nei comuni turistici e nelle città d’arte. Al di là degli incerti profili di merito costituzionale (la materia compete alle regioni) e di metodo (totale assenza di concertazione), il provvedimento risulta fuori centro perché colpisce in pieno un ambito già totalmente liberalizzato (il commercio), mentre manca completamente di incidere sui settori segnalati dall’Antitrust che, non casualmente, risultano fondativi del processo di crescita accelerata dei prezzi delle spese obbligate, con gli immediati riverberi in termini di compressione delle spese commercializzabili e quindi del benessere dei cittadini[2].

Fig. 3 – Dinamica dei consumi in termini reali (1970=100)

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Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat

L’inflazione più esigua, sia nel complesso dei quaranta anni esaminati sia per ciascun sottoperiodo considerato, riguarda gli alimentari e le bevande: nel corso del tempo, per ogni punto percentuale di aumento di prezzo osservato sui prodotti alimentari, sui consumi obbligati si è riscontrato un aumento dell’1,84% circa; una distanza che non può essere ascritta al caso per un periodo di tempo così lungo. Evidentemente è la struttura più o meno concorrenziale che determina questi fenomeni, producendo un travaso di risorse dalle filiere liberalizzate, in primis il commercio, alle filiere che nascono e si sviluppano in contesti scarsamente concorrenziali.

Tab. 3 – Dinamica dei consumi in termini reali

variazioni % medie annue

  1971-80 1981-90 1991-2000 2001-10
Obbligati 4,8 3,0 2,1 0,8
abitazione 4,5 2,4 1,1 0,7
sanità 9,4 5,2 5,6 2,2
assicurazioni e trasporti 4,5 2,5 3,7 0,3
altro (*) 4,8 4,9 0,8 1,2
Commercializzabili 3,8 2,2 1,8 0,0
beni 4,0 2,3 1,3 -0,4
di cui alimentari (**) 1,7 0,7 0,6 -0,3
servizi 2,5 2,2 3,0 1,1
SPESA SUL TERRITORIO 4,0 2,5 1,8 0,3
(*) (**) cfr. tab. 1.
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

Guardando all’ultima colonna di tab. 2, potrebbe sorgere il dubbio che i servizi commercializzabili abbiano avuto un’inflazione prossima a quella delle spese obbligate. In realtà, il risultato complessivo si determina nei primi due decenni, gli anni settanta e gli anni ottanta. Ma a quei tempi, alcuni servizi che oggi sono commercializzabili e che quindi sono stati considerati tali per tutto il periodo di analisi – al fine di rendere possibile una comparazione mantenendo costanti nel tempo i beni e i servizi all’interno delle categorie – in realtà erano obbligati: si pensi al settore delle comunicazioni e, in particolare, alla telefonia.

Questo conferma che, dove le liberalizzazioni hanno sostanzialmente funzionato, il tasso di crescita dei prezzi ha rallentato sensibilmente, come appunto nel caso dei servizi che abbiamo identificato oggi come commercializzabili, i quali presentano, dagli anni novanta in poi, un’inflazione in linea con la media e comunque molto inferiore a quella delle spese obbligate.

Analizzando la dinamica dei consumi a prezzi costanti (tab. 3), si evince come il differenziale di crescita tra i due aggregati nel lungo periodo, favorevole ai consumi obbligati, permanga nel tempo e risulti di significativa intensità. Anche in questo caso i più penalizzati sono risultati i consumi di beni, che scontano mediamente una dinamica più contenuta. Alla base della crescita dei consumi obbligati in termini reali c’è il già citato fattore socio-demografico.

3. I dati che emergono sulla base delle indicazioni della Contabilità nazionale sono espressione della spesa effettuata sul territorio nazionale (senza tenere conto della residenza dei soggetti che spendono) e non tengono conto delle specificità delle stesse determinate dalle abitudini e dai fattori demografici.

Tab. 4 – Confronto CN vs. Indagine sulla spesa delle famiglie (2009)

valori correnti in euro

  CONTABILITÀ NAZIONALE INDAGINE CONSUMI
  spesa sul territorio mensile per famiglia spesa media mensile
Obbligati 1.203 1.172
abitazione 691 819
Sanità 101 88
assicurazioni e trasporti 287 239
altro (*) 125 25
Commercializzabili 1.909 1.270
beni 1.304 943
di cui alimentari (**) 480 461
servizi 605 327
SPESA MEDIA MENSILE 3.112 2.442
composizione %
Obbligati 38,7 48,0
abitazione 22,2 33,5
sanità 3,2 3,6
assicurazioni e trasporti 9,2 9,8
altro (*) 4,0 1,0
Commercializzabili 61,3 52,0
beni 41,9 38,6
di cui alimentari (**) 15,4 18,9
servizi 19,4 13,4
SPESA MEDIA MENSILE 100,0 100,0
(*) (**) cfr. tab. 1.
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

Per valutare, sia pure in modo non esaustivo, l’incidenza delle diverse aree del consumo, ponendo particolare attenzione alle principali caratteristiche socio-economico-demografiche (SED) delle famiglie italiane, sono state utilizzate le informazioni provenienti dall’indagine effettuata annualmente dall’Istat su “I consumi delle famiglie”, che analizza la spesa media mensile sostenuta nei diversi capitoli di spesa, in base alle caratteristiche della persona di riferimento[3].

Le quote di spesa desumibili dall’indagine differiscono da quelle dei conti nazionali per le ragioni citate in nota 3. È soprattutto l’auto-valutazione dell’affitto figurativo a generarle (tab. 4). In ogni caso, l’indagine sulla spesa delle famiglie fornisce insostituibili e affidabili indicazioni sulla relazione tra caratteristiche SED delle famiglie e comportamenti di spesa.

Tab. 5 – Spesa media mensile per alcune tipologie familiari – anno 2009

composizione %

  Persona sola con 65 anni o più Coppia senza figli con p.r. (a) con meno di 35 anni Coppia con 3 e più figli TOTALE
Obbligati 56,7 42,6 42,8 48,0
abitazione 47,1 27,6 27,1 33,5
sanità 4,5 2,8 3,4 3,6
assicurazioni e trasporti 4,2 10,5 11,4 9,8
altro (*) 0,9 1,7 0,9 1,0
Commercializzabili 43,3 57,4 57,2 52,0
beni 34,2 35,1 41,9 38,6
di cui alimentari (**) 21,0 14,4 21,3 18,9
servizi 9,1 22,3 15,3 13,4
SPESA MEDIA MENSILE 100,0 100,0 100,0 100,0
(a) p.r.= persona di riferimento; (*) (**) cfr. tab. 1.
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat (Indagine sui consumi delle famiglie).

Aggregando le singole voci della spesa media mensile secondo lo schema indicato in precedenza, quindi coerente, per quanto possibile, con la classificazione dei conti nazionali, risulta che sono gli anziani soli a destinare la quota più consistente della spesa mensile totale (56,7%) alle spese obbligate (tab. 5). In particolare, oltre il 47% della spesa è destinato alla gestione della casa (compresi gli affitti figurativi). Sommando le spese per l’alimentazione domestica alle spese obbligate si può affermare che una persona di 65 anni o più che vive sola spende il 77,7% per consumi di base. Meno di un quarto può essere destinato alla fruizione del tempo libero o comunque a spese libere.

La frazione di spese incomprimibili per le coppie giovani senza figli e per le famiglie numerose è più contenuta (pari rispettivamente al 42,6% e 42,8%), con un incidenza decisamente più consistente della voce trasporti ed assicurazioni (superiore al 10%). Comparando la voce assicurazioni e trasporti tra queste tipologie di famiglia e la spesa della persona anziana che vive sola, si chiarisce meglio come l’età e il fatto di vivere soli riducano in modo consistente le reali opportunità di mobilità, per qualsiasi scopo, presumibilmente soprattutto per scopi di svago.

Il confronto tra coppie senza figli e famiglie numerose fornisce anche adeguate indicazioni sul fatto che la presenza di figli incrementa l’acquisto di beni e comprime quello di servizi commercializzabili (dal 22,3% al 15,3%). Le coppie giovani senza figli sono caratterizzate da maggiore flessibilità nell’organizzazione familiare che consente evidentemente una migliore fruizione del tempo, al di là del livello assoluto di reddito disponibile: quindi, in proporzione, maggiore possibilità di viaggiare, consumare pasti fuori casa, fruire di servizi ricreativi e culturali o per la cura della persona. Questa suggestione è confermata dalla minore incidenza che riveste la spesa per l’alimentazione domestica rispetto alla spesa totale (14,4% contro il 21,3% delle famiglie numerose).

Tab. 6 – Spesa media mensile per alcune condizioni e posizioni professionali

anno 2009 – composizione %

  OCCUPATI NON OCCUPATI TOTALE
  INDIPENDENTI DIPENDENTI    
  Imprenditori e liberi professionisti Operai e assimilati Ritirati dal lavoro  
Obbligati 45,1 44,9 52,6 48,0
abitazione 30,6 29,2 38,9 33,5
sanità 2,9 2,9 4,6 3,6
assicurazioni e trasporti 9,9 11,8 8,3 9,8
altro (*) 1,7 1,0 0,9 1,0
Commercializzabili 54,9 55,1 47,4 52,0
beni 37,6 41,6 36,9 38,6
di cui alimentari (**) 15,0 20,3 20,5 18,9
servizi 17,3 13,5 10,5 13,4
SPESA MEDIA MENSILE 100,0 100,0 100,0 100,0
(*) (**) cfr. tab. 1.
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat (Indagine consumi delle famiglie).

Gli anziani soli e le famiglie numerose destinano una quota maggiore all’acquisto di beni, in particolare generi alimentari, che rappresentano rispettivamente il 61% ed il 51% della spesa di beni commercializzabili (61%=21/34,2 per gli anziani soli e 51%=21,3/41,9 per le famiglie numerose).

Ulteriori evidenze emergono dall’analisi della spesa per famiglia secondo la condizione e la posizione professionale. La quota di spese obbligate risulta elevata (intorno al 45%) sia per le famiglie con persona di riferimento imprenditore o libero professionista, sia lavoratore alle dipendenze con la qualifica di operaio, mentre nelle famiglie in cui la persona di riferimento risulta non occupata, ed in particolare ritirata dal lavoro, la quota di spese vincolate sale al 52,6% (tab. 6). Emerge dunque che, al di là degli importanti effetti di reddito, cioè a differenti livelli di reddito corrispondono differenti livelli quali-quantitativi di consumo, è l’essere o meno partecipe al mercato del lavoro che fa la differenza. Fuori dal mercato del lavoro, le spese obbligate incidono molto di più e i servizi commercializzabili si comprimono al minimo. Ne risentono direttamente i livelli di benessere economico.

Le spese obbligate rappresentano un forte vincolo nelle decisioni di consumo delle famiglie (assorbendo mediamente circa la metà delle risorse destinate alla spesa per consumi), riducendo la quota di consumi scelti sulla base dei desideri individuali.

Nella determinazione della struttura di quella parte di consumi che rimangono alle famiglie, al netto delle spese incomprimibili, non è solo il reddito ad influire (che incide semmai sul livello e sulla qualità della spesa), ma anche fattori di natura sociale, demografica (età e composizione familiare) e culturale. Le variabili di tipo demografico hanno un potere più connotante della tipologia professionale: operaio o quadro, al di là del reddito percepito, è una distinzione che, in termini di struttura di spesa, incide meno del fatto di avere figli o no.

Partecipare o meno al mercato del lavoro determina la frazione di consumi obbligati. Chi vi partecipa ne destina meno del 50%, chi non vi partecipa spende molto più della metà del reddito destinato ai consumi. Vivere soli essendo anziani riduce drasticamente le possibilità di esercitare scelte effettive sulla propria allocazione della spesa. Tra alimentari e consumi obbligati si superano i tre quarti del budget.

Dunque non è solo il reddito a determinare la struttura della spesa. Se si vuole migliorare il benessere economico dei cittadini appare indispensabile incidere anche attraverso politiche sociali – per la terza e soprattutto per la quarta età, per la famiglia, per la non autosufficienza – al fine di provvedere servizi e strumenti per migliorare la compatibilità tra tempo di lavoro e tempo libero, per la gestione dei figli, per migliorare le reali possibilità degli anziani di accedere a consumi effettivamente inclusivi, comprensivi di un minimo di servizi di mobilità e di svago.


[1] Tra le spese obbligate abbiamo incluso: gli affitti, la manutenzione ordinaria e straordinaria della casa, l’acqua e gli altri servizi per l'abitazione, l’energia elettrica, il gas ed gli altri combustibili, la sanità, le spese d'esercizio dei mezzi di trasporto inclusi i carburanti, le spese di assistenza, le assicurazioni, i servizi finanziari, gli altri servizi n.a.c.
Nei consumi commercializzabili tra i beni rientrano: gli alimentari, le bevande, i tabacchi, l’abbigliamento, le calzature, i mobili, gli elettrodomestici bianchi e bruni, l’acquisto di mezzi di trasporto, i telefoni, l’ICT, gli altri beni durevoli per la ricreazione e la cultura, gli altri articoli ricreativi, fiori, piante ed animali, i giornali, libri ed articoli di cancelleria, gli apparecchi, articoli e prodotti per la cura della persona, gli effetti personali. Nei servizi rientrano: i servizi di trasporto, i servizi postali, i servizi di telefonia, i servizi ricreativi e culturali, le vacanze tutto compreso, i pubblici esercizi, i servizi alberghieri ed alloggiativi, i barbieri, parrucchieri e saloni e altri servizi per la persona, l’istruzione.
Occorre sottolineare che nell’analisi dell’Indagine sui Consumi delle famiglie (parag. 3), le assicurazioni essendo disaggregate, sono state incluse nella voce servizi commercializzabili per la parte assicurazioni vita e malattie, mentre quelle dei mezzi di trasporto nei consumi obbligati.
[2] La mancanza di una strategia di liberalizzazione e la conseguente natura estemporanea del provvedimento in parola si dovrebbero desumere anche dalla scarsa coerenza tra il titolo dell’art. 35 e il contenuto della norma relativa agli orari di apertura dei negozi.
[3] Esistono divergenze fra l’indagine sulla spesa delle famiglie e i consumi delle famiglie secondo i conti nazionali, riconducibili all’universo di riferimento e a differenze di concetti e definizioni.
La popolazione sottostante l’indagine sui consumi delle famiglie è la popolazione residente, mentre quella utilizzata per le stime dei consumi interni della contabilità nazionale è quella presente sul territorio nazionale. L’indagine fa, inoltre, riferimento alle famiglie, mentre la contabilità nazionale stima la spesa per consumo sia delle famiglie sia delle convivenze, vale a dire le spese di coloro che vivono nelle istituzioni (conventi, convitti, carceri, eccetera).
Le differenze possono essere raggruppate in tre differenti tipologie:
1. diverso trattamento per voci considerate in entrambi i concetti di spesa per consumo: è questo soprattutto il caso della stima dei fitti imputati, che nell’indagine sui consumi delle famiglie è affidata all’autovalutazione da parte del proprietario;
2. tipologie di spesa previste dall’indagine sui consumi delle famiglie ma non dallo schema dei conti nazionali: ad esempio, la compravendita fra famiglie di mezzi di trasporto usati, le spese per manutenzione straordinaria dell’abitazione, i rimborsi delle assicurazioni e le vincite nei concorsi pronostici (in questi due ultimi casi la stima delle spese delle famiglie è effettuata in maniera indipendente dall’indagine e riguarda, rispettivamente, la quantificazione del servizio assicurativo consumato dalle famiglie e il saldo tra vincite e pagamenti);
3. il caso dei redditi in natura (ad esempio i ticket restaurant, non rilevati dall’indagine), oggetto di stima indipendente.

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