Una riflessione sull'etica della responsabilità

Una riflessione sull'etica della responsabilità

Assisi, 29 marzo 2007

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29 marzo 2007
Considero davvero un privilegio questa opportunità di incontro – in una sede unica ed irripetibile come il Sacro Convento di S

Considero davvero un privilegio questa opportunità di incontro – in una sede unica ed irripetibile come il Sacro Convento di San Francesco d'Assisi, in occasione degli ottocento anni dalla conversione del Santo e dei sessant'anni della Confcommercio di Assisi - tra l'Ufficio di Presidenza della Confederazione, gli amici della Confcommercio dell'Umbria, le Autorità religiose e civili.

Un'opportunità e un privilegio di cui, dunque, voglio anzitutto ringraziare tutti coloro che l'hanno resa possibile a partire dal Custode del Sacro Convento, Padre Vincenzo Coli, da Sua Eccellenza il Vescovo di Assisi, Monsignor Domenico Sorrentino, dagli amici Presidenti Mencaroni e Nizzi.

Grazie inoltre, per avere voluto essere oggi qui con noi, al Presidente della Giunta Regionale, Maria Rita Lorenzetti, al Sindaco di Perugia, Renato Locchi, al Sindaco di Assisi, Claudio Ricci, all'Assessore al commercio del Comune di Assisi, Franco Brunozzi, al Presidente della Camera di Commercio di Perugia, Alviero Moretti, al Presidente della Camera di Commercio di Terni, Mario Ruozi Berretta, al Presidente di Unioncamere Umbria, Adriano Garofoli.

Perché considero questo incontro un privilegio?

Semplicemente e straordinariamente, perché esso avviene in un luogo eccezionalmente ricco di storia e di spiritualità. In un luogo che è certamente un simbolo delle radici cristiane dell'identità europea.

E' un tema – quello delle radici cristiane dell'identità europea – di straordinaria attualità e rilanciato negli scorsi giorni, in concomitanza con i cinquant'anni dal Trattato di Roma, dal Pontefice, Benedetto XVI, attraverso questo interrogativo: "Se i governi vogliono avvicinarsi ai cittadini, come potrebbero escludere un elemento essenziale dell'identità europea quale è il cristianesimo?".

Nell'interrogativo posto da Benedetto XVI e nella posizione di tutti coloro che lo condividono, non c'è nessun integralismo. C'è, al contrario, la consapevolezza di tutta la complessità etica e culturale del farsi storico dell'identità europea e dello specifico e fondamentale contributo del cristianesimo al riconoscimento e al rispetto della dignità dell'essere umano come fondamento della civiltà europea.

Ma soprattutto sarebbe sbagliato – io penso – leggere l'esigenza del richiamo alle radici cristiane dell'Europa come il tentativo, con lo sguardo rivolto all'indietro sulla storia millenaria dell'Europa, di affermare un'egemonia.

Invece, dire oggi del cristianesimo nella storia d'Europa significa guardare in maniera problematica al futuro dell'Europa, suggerendo un percorso possibile  per portare a compimento quel processo di costruzione di un'unitaria Europa allargata, che è stato giustamente considerato come il più grande tentativo, nel mondo contemporaneo, di governo democratico della globalizzazione.

Cosa c'è infatti, dietro il fallimento del progetto di Costituzione europea, se non l'appannamento di valori profondi ed ispiratori del progetto europeo – pace ed equità, sviluppo e dignità delle persone – logorati dal primato delle tecnocrazie e da un'attenzione troppo esclusiva alle ragioni immediatamente economiche dell'Europa unita?

Insomma, parlare di identità e di valori è oggi fondamentale per rilanciare la missione dell'Europa unita nel mondo contemporaneo. Per rendere chiaro ai cittadini ed ai popoli europei che i grandi obiettivi dell'Europa economica e sociale sono parti di un disegno più complessivo.

Sono aspetti della responsabilità europea: del modo in cui, cioè, la civiltà europea del terzo millennio vuole portare il suo contributo alla costruzione di un futuro migliore per un mondo in cui è divenuto intollerabile lo "scandalo" della contraddizione tra i progressi della scienza, della tecnica e dell'economia e tanti, troppi drammatici divari di civiltà e di benessere, così come lo "scandalo" della guerra e della minaccia globale del terrorismo.

Ben venga, allora, l'auspicio formulato dal Presidente Prodi in occasione dell'incontro di Berlino: "L'Europa ritrovi un po' di follia creativa".

La "follia" dei valori, dei suoi valori e del loro confronto con le sfide del mondo contemporaneo; la "follia" di un progetto politico fondato sull'etica della responsabilità individuale e collettiva.

Per noi – per noi che siamo operatori economici e che rappresentiamo operatori economici -  cosa può voler dire, oggi, un'etica della responsabilità?

Significa la consapevolezza del fatto che la nostra azione di costruttori di prosperità si misura su un orizzonte ampio. Un orizzonte più ampio del benessere nostro e delle nostre famiglie, del benessere dei nostri collaboratori e delle famiglie dei nostri collaboratori.

E' – vorrei dire – l'orizzonte della capacità di contribuire al benessere delle nostre comunità, avvertendo sempre l'inquietudine, la tensione a far sì che esse, a loro volta, agiscano come rete di promotori di pace e di sviluppo, di civiltà e di integrazione.

Insomma, è l'orizzonte della responsabilità sociale dell'attività d'impresa. Un orizzonte che non denega il profitto, ma che chiede all'impresa e agli imprenditori di confrontarsi anche con un vero e proprio bilancio sociale del proprio operato. Così – giusto per fare qualche esempio – con l'attenzione ai diversamente abili come con l'integrazione multiculturale e multietnica, con l'attenzione all'ambiente come con la partecipazione ed il sostegno al volontariato sociale.

E' un tema nuovo e moderno. Ma è, al contempo, un tema che a me sembra profondamente radicato nella storia di quel tessuto di piccole e medie imprese – protagoniste dei processi di sviluppo territoriale – che è stato il motore di larga parte dei cambiamenti dell'economia e della società italiana.

Imprese, almeno in origine, in larga parte familiari e che comunque, pur crescendo ed evolvendo, hanno sempre mantenuta viva una consapevole attenzione alle relazioni umane e alle proprie comunità territoriali di riferimento.

"Oggi più che mai – così si legge nella Centesimus Annus di Papa Giovanni Paolo II – lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno".

Ed è appunto la costruzione di queste comunità di lavoro a chiamare in causa il ruolo necessario e positivo delle capacità di iniziativa e di imprenditorialità.

Piccole e medie imprese e processi di sviluppo territoriale – e del resto qui, in Umbria, è storia nota – sono un tratto caratteristico, positivamente caratteristico del modello italiano di crescita e di sviluppo.

Proprio per questo, allora, io penso che, nel nostro Paese, potrebbe risultare particolarmente feconda di risultati un'applicazione diffusa della cosiddetta sussidiarietà orizzontale.

La pratica, cioè, di un modello di relazioni cooperative tra pubblico e privato, in cui si chiede alla sfera pubblica di fare magari meno, ma meglio e, al contempo, si consente all'iniziativa organizzata dei privati, ai corpi intermedi, alle autonomie funzionali di assumere responsabilità collettive, di ordine più generale. Così – sempre per fare qualche esempio – sul terreno della sicurezza sociale, come su quello della formazione e della valorizzazione delle risorse umane.

Sussidiarietà e responsabilità sociale divengono quindi spazi di azione e di intervento importanti e qualificanti anche per le associazioni di impresa. Sono, oggi, il banco di prova della capacità nostra di coniugare il giusto compito di rappresentanza e tutela delle imprese associate con gli interessi generali del Paese. Rafforzano i valori di riferimento della nostra identità e della nostra missione. Dicono della necessità di una concertazione tra pubblico e privato che sia alta e concreta, fondata sul comune riconoscimento dell'obiettivo dello sviluppo come risultato di una crescita secondo equità.

Ogni imprenditore è – vorrei dire per vocazione – un inguaribile ottimista. Affronta le difficoltà e rischia. E non lo farebbe, se non fosse convinto del fatto che le difficoltà possono essere superate e che il rischio merita di essere premiato.

Ecco, noi che non crediamo nel declino dell'Italia e dell'Europa nel mondo contemporaneo, pensiamo che l'Italia e l'Europa anche di questo – e forse soprattutto di questo – oggi avrebbero bisogno.

Avrebbero bisogno di un responsabile ottimismo, alimentato dalla consapevolezza della propria storia e dei valori che in questa storia si sono espressi, consentendo di affrontare e superare crisi anche gravissime.

Parte ineludibile di questa storia e di questi valori è l'identità cristiana. Essa, ieri come oggi, contribuisce a definire il modello sociale europeo, consapevole delle ragioni del mercato, ma anche delle sue imperfezioni e dei suoi limiti.

Ancora una citazione, allora, dalla Centesimus Annus: "…la Chiesa offre, come indispensabile orientamento ideale, la propria dottrina sociale, che…riconosce la positività del mercato e dell'impresa, ma indica, nello stesso tempo, la necessità che questi siano orientati verso il bene comune".

L'importante è, però, che nessuna identità sia quietamente appagata di se stessa. L'importante è che identità e valori siano inquieti e attenti alle ragioni degli altri. Pronti a misurarsi con la storia e le sue contraddizioni.

Così come – per ansia di fede e di rinnovamento della Chiesa – scelse di fare il figlio di un ricco mercante che si spogliò dei suoi beni e delle sue vesti.

Fu uno "scandalo". Ma è uno "scandalo" che, ancora oggi, ottocento anni dopo, parla al cuore e alla mente degli uomini di buona volontà.

Parla ad un'Europa che – entro i suoi confini ed oltre – si confronta con antiche e nuove povertà e ricerca i modi di uno sviluppo sostenibile.

Parla ad un'Europa che non può rinunciare ad un nuovo equilibrio tra economia e società. Senza il quale rischia davvero – ricorro ancora alle parole di Benedetto XVI – "il congedo dalla storia".

Per me, per noi ricordare e riflettere su tutto ciò ad Assisi, in questo Sacro Convento, che è parte così importante della storia d'Europa, è davvero un'occasione preziosa.

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