Web Tax, focus sulla tassazione del digitale

Web Tax, focus sulla tassazione del digitale

Focus sull'imposta sui servizi digitali delle imprese che raggiungono una certa somma di ricavi, con l'obiettivo di contrastare l’elusione e l'evasione fiscale che talvolta si verificano in questo tipo di transazioni.

DateFormat

1 febbraio 2021

La guida dedicata alla web tax, la tassazione delle aziende multinazionali che operano sul web, spiega nel dettaglio che cos’è e cosa prevede, qual è la differenza con la digital tax e le modalità in cui si applica in Europa. Inoltre indicheremo il periodo in cui sarà in vigore l’imposta, il periodo di decorrenza e i soggetti implicati nella tassazione.
 

Indice degli argomenti


Che cosa è

La web tax è un’imposta che nasce per assoggettare a tassazione il fatturato prodotto da imprese non residenti nel territorio nazionale che, operando in rete attraverso prestazioni di servizi immateriali, producono ricavi in Italia senza pagare imposte sui relativi redditi, in quanto privi di stabile organizzazione.

L’industria digitale, infatti, non avendo frontiere, genera fatturato senza la presenza fisica in un determinato Stato e questo distorce gli equilibri, sia fiscali che concorrenziali, rispetto all’industria tradizionale.

Il nuovo regime della web tax non è correlato ad alcun decreto attuativo e si applica a decorrere dal 1° gennaio 2020. Una novità introdotta dalla Legge di Bilancio 2020 che ha rilanciato, con alcune modifiche, la web tax introdotta dall’articolo 1, comma 35, della legge di Bilancio 2019.

La nuova disciplina, tuttavia, attraverso una norma di chiusura, prevede l’abrogazione dell’imposta vigente a decorrere dalla data di entrata in vigore delle disposizioni derivanti da accordi internazionali sulla tassazione nel mondo del digitale.

L’imposta si applica ai ricavi derivanti dalla fornitura di determinati servizi digitali, da parte di imprese sia italiane che estere. Di seguito i servizi sottoposti a tassazione:

• trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall'utilizzo di un'interfaccia digitale;

• veicolazione su un'interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia;

• messa a disposizione di un'interfaccia digitale multilaterale, che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi.

Per “interfaccia digitale” s’intende qualsiasi software, compresi i siti web o parte di essi, e le applicazioni, anche mobili, accessibili agli utenti attraverso cui sono prestati i servizi digitali dai soggetti passivi dell’imposta.
 

Che cosa prevede

La tassa si applica sui ricavi realizzati dai soggetti passivi d’imposta nel corso dell'anno solare. Per soggetti passivi sono da intendersi le imprese che, durante l’anno solare precedente al sorgere dell’imposta, singolarmente o a livello di gruppo, hanno:

  • realizzato un totale di ricavi di almeno 750.000.000 euro derivanti da servizi digitali;
  • percepito almeno 5.500.000 euro nel territorio dello Stato.

I ricavi sono tassati al lordo dei costi e al netto dell'IVA e di altre imposte indirette.


Aliquota

L’aliquota è pari al 3% ed è applicata al valore dei ricavi derivanti dalla prestazione di servizi digitali.
 

Periodo d’imposta di tassazione

Il periodo d'imposta coincide con l'anno solare. Ai fini della sussistenza dell’imposta, la presenza o meno sul territorio di utenti tassabili viene individuata con la localizzazione attraverso l’indirizzo IP, ovvero l’indirizzo di protocollo internet del dispositivo su cui avviene la transazione digitale o in riferimento ad altro sistema di geolocalizzazione del predetto dispositivo.
 

Adempimenti

Il versamento dell'imposta dovuta deve essere effettuato entro il 16 febbraio dell'anno solare successivo a quello di riferimento.

Entro il 31 marzo dello stesso anno, i soggetti passivi devono, inoltre, presentare una dichiarazione annuale sull'ammontare dei servizi tassabili forniti.

Tuttavia, per l’anno 2021, è stato prorogato al 16 marzo, il termine per il versamento dell’imposta dovuta per le operazioni imponibili nell’anno 2020, e al 30 aprile quello previsto per la presentazione della relativa dichiarazione.

Per quanto riguarda tutti i gruppi societari, è prevista la nomina di una singola società del gruppo per l’assolvimento degli obblighi relativi all’applicazione dell’imposta.

I soggetti passivi dell’imposta provvedono, invece, all’adempimento degli obblighi fiscali mediante il proprio codice fiscale, rilasciato dall’amministrazione finanziaria italiana. I soggetti non residenti, che non siano in possesso del codice fiscale, devono richiederne l'attribuzione all'Agenzia delle Entrate.

I soggetti passivi stabiliti in uno Stato non collaborativo e privi di una stabile organizzazione in Italia, al fine di adempiere agli obblighi in questione, devono nominare un rappresentante fiscale in Italia.

Il pagamento si deve effettuare attraverso il modello F24 utilizzando i codici tributo forniti dall'Agenzia delle Entrate.

I soggetti non residenti che non possono effettuare il pagamento tramite modello F24 perché non in possesso di un conto corrente presso sportelli di banche o poste italiani (oppure attraverso l'istituto della compensazione), possono procedere al pagamento dell'imposta effettuando un bonifico in EURO a favore del Bilancio dello Stato al Capo 8 - Capitolo 1006 con codice IBAN IT43W0100003245348008100600).
Come causale del bonifico andranno indicati:

  • codice fiscale;
  • codice tributo;
  • anno di riferimento.

Di seguito, oppure sul sito dell'Agenzia delle Entrate, nello specifico nella sezione "Modelli", sono disponibili le istruzioni e la modulistica per la corretta trasmissione delle informazioni sull'imposta dei servizi digitali.

 

Modello DST - Digital Services Tax            Istruzioni per la compilazione
 

 

Web Tax Transitoria

Il primo tentativo di legislazione della web tax risale alla Legge di Stabilità del 2014. Un tentativo legislativo dimostratosi fallimentare per l’opposizione della Commissione Europea, che contestò la mancanza di libera circolazione di servizi e beni all’interno dell’Unione Europea. La proposta legislativa, infatti, imponeva alle multinazionali del web che i servizi pubblicitari potevano essere acquistati solamente dai soggetti con partita IVA italiana e, di fatto, escludeva dal mercato tutti gli operatori che non erano in possesso di una partita IVA italiana.

Pochi anni dopo, con l’introduzione dell'art. 1-bis del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, (convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 giugno 2017, n. 96), che introduceva una particolare procedura di cooperazione e collaborazione rafforzata, per una seconda volta, si tentò di disciplinare la materia.

Parliamo di quella che fu definita web tax transitoria, una sorta di collaborazione forzata con le grandi imprese che, tramite una determinata procedura, avrebbero potuto richiedere una valutazione all’Agenzia delle Entrate sulla sussistenza o meno dei requisiti per essere tassate. Come se, ad esempio, Amazon chiedesse allo Stato italiano di verificare se avesse i requisiti per essere tassata. Una procedura facoltativa, che avrebbe permesso, ai soggetti non residenti in Italia, una previsione anticipata degli importi dovuti per l’attività svolta sul territorio italiano.

Inoltre avrebbe consentito di individuare i profitti tassabili nel nostro Stato che, allora come del resto anche oggi, non erano tassabili a seguito della difficoltà di stabilire il possesso di una stabile organizzazione nel territorio dello stato italiano degli stessi contribuenti. In questo modo le multinazionali avrebbero, poi, potuto definire i debiti precedenti attraverso il sistema di accertamento con adesione, in cui avrebbero beneficiato di un abbattimento delle sanzioni del 50%.
 

Chi è escluso dalla tassazione

La norma prevede espressamente che non sono tassabili i ricavi derivanti dai servizi sopra citati, forniti a soggetti che si considerano controllati, controllanti o controllati dallo stesso soggetto controllante in base alle disposizioni del Codice Civile. Non si considerano, invece, "servizi digitali" e, pertanto, sono esclusi dalla tassazione:

• la fornitura diretta di beni e servizi, effettuata in seno ad un servizio di intermediazione digitale;

• la fornitura di beni o servizi ordinati attraverso il sito web del fornitore nei casi in cui il fornitore non faccia da intermediario;

• la messa a disposizione di un'interfaccia digitale volta esclusivamente a fornire, agli utenti dell'interfaccia, contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento;

• la messa a disposizione di un'interfaccia digitale utilizzata per gestire taluni servizi bancari e finanziari;

• la cessione di dati da parte dei soggetti che forniscono i predetti servizi bancari e finanziari;

• lo svolgimento delle attività di organizzazione e gestione di piattaforme telematiche per lo scambio dell'energia elettrica, del gas, dei certificati ambientali e dei carburanti.
 

Quali sono le imprese interessate

La web tax colpisce le imprese, o anche i singoli soggetti che fanno attività d’impresa che, nel corso dell’anno solare precedente a quello di imposizione, conseguono un ammontare complessivo dei ricavi (conseguiti in tutto il mondo) di almeno 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni euro realizzati nel territorio italiano per prestazione di servizi digitali.

Sono parametri definiti per coinvolgere principalmente solo i player del web, escludendo le imprese italiane, già in forte svantaggio per le imposte dirette, come ad esempio l’IRES.
 

Google, Facebook, Amazon e non solo

Nell’era dell’economia digitale sono quattro i colossi del web che con i loro profitti contribuiscono per miliardi di dollari ed euro all’attività economica mondiale: Google, Facebook, Apple, Amazon. Nell’estate dello scorso anno i Ceo dei titani tecnologici sono stati convocati dal Congresso degli Stati Uniti in un’audizione che precisasse la loro posizione sulle leggi antitrust. Un incontro basato su un’indagine durata oltre un anno, in cui Tim Cook di Apple, Mark Zuckerberg di Facebook, Sundar Pichai di Google e Jeff Bezos di Amazon hanno dovuto dare delle risposte chiare alle domande avanzate dai deputati americani. Risultato dell’incontro è stato un rapporto di oltre 400 pagine, stilato da democratici esperti in materia, della sottocommissione antitrust alla Camera dei deputati statunitense. Nella relazione vengono evidenziati molti esempi di come le Big Tech abbiano accresciuto il loro potere in diversi ambiti, utilizzando il monopolio che detengono sul mercato a loro vantaggio.
 

Web Tax e Digital Tax

Sentiamo parlare di web tax ma anche di digital tax: quali sono le differenze?
La digital tax, introdotta con la Legge di Bilancio 2019, in seguito modificata con la Manovra 2020, è un'imposta sui servizi digitali (ISD), nonché la versione italiana della web tax, tanto discussa tra l'Unione Europea e l'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). In breve è la risposta "personalizzata"dell'Italia ad una legge che ancora non è giunta ad una condivisione di tutti i soggetti coinvolti, ma che ha trovato seguito anche in altri Stati dell'UE nel tentativo di regolamentare la situazione della fiscalità digitale.

Non solo l'Italia, infatti, ma anche la Francia, l'Ungheria, la Germania, la Spagna e la Gran Bretagna hanno adottato la digital tax in attesa che si giunga ad un accordo globale ed efficiente riguardo la web tax. La difficoltà nel regolamentare ed adeguare la fiscalità digitale tra i vari Stati con un sistema di tassazione univoco sorge da alcune particolari differenze. Una tra tante la variabilità della base imponibile su cui deve essere applicata la tassa, che riduce l'autonomia di azione dei governi; oppure l'incidenza sull'economia statale delle aziende digitali presenti sul mercato in ambito di fiscalità digitale.

In attesa che si giunga ad una web tax europea, l'Italia ha rilasciato la sua digital tax sui servizi digitali con istruzioni operative, ufficializzate dall'Agenzia delle Entrate nel provvedimento del 15 gennaio 2021, a seguito della proroga della scadenza prevista dal decreto legge n. 3/2021.
 

Digital tax in Europa

Nell'era dell'economia digitale, si sta predisponendo in Europa un nuovo sistema di tassazione per le imprese che operano in rete. L'obiettivo è quello di garantire equità fiscale e concorrenza leale tra industria online e industria tradizionale.

In particolare, nel 2017, la Commissione europea ha presentato due proposte legislative per la tassazione del digitale:

  • la prima è volta a riformare le norme relative all'imposta sulle società in modo che gli utili siano registrati e tassati là dove le imprese hanno una forte interazione con gli utenti attraverso canali digitali;
  • la seconda, invece, risponde alla richiesta di vari Stati membri di introdurre un'imposta temporanea da applicare alle principali attività digitali che attualmente sfuggono a qualsiasi tipo di imposizione fiscale nell'UE.

In sede OCSE, già si sta svolgendo un articolato lavoro, che coinvolge 135 paesi, finalizzato all’introduzione di una imposta come la Web Tax, con cui si vuole far fronte all’erosione della base imponibile nazionale e allo spostamento dei profitti.

Tuttavia, se non si arriverà ad una conclusione dei negoziati entro il primo semestre 2021, la Commissione Europea è pronta a presentare una proposta per una Digital Tax Europea.

Nel frattempo, diversi Stati europei stanno introducendo una propria tassa sui servizi digitali.

In particolare, l'Ungheria ha introdotto una tassa sui ricavi pubblicitari già nel 2015 con un'aliquota del 5,3%, aumentata al 7,5% nel 2017.

Nel 2019, l'Austria ha pubblicato un disegno di legge che introduce una Web Tax del 5% sui ricavi pubblicitari digitali.

Anche la Spagna ha approvato un disegno di legge che prevede la tassazione, nella misura del 3%, sulle entrate delle grandi imprese tecnologiche.

Sulla stessa linea si attesta la proposta della Germania, con una tassazione al 3% sui profitti delle grandi compagnie tecnologiche.

La Repubblica Ceca ha previsto, invece, una web tax del 7%, sui ricavi realizzati dalla pubblicità web dei grandi gruppi e dalla vendita di dati personali.

La Francia ha adottato, nel luglio 2019, la web tax con aliquota al 3% sui ricavi prodotti dalle grandi società che gestiscono piattaforme digitali o attività pubblicitarie online, anche se la stessa imposta è stata sospesa per tutto il 2020.

L’Italia, in attesa del raggiungimento di un accordo in sede internazionale, ha deciso comunque di adottare una propria imposta nazionale, simile a quella francese, con decorrenza dal 1° gennaio 2020.

Covid e digital tax: qual è il rapporto?

Il raggiungimento di un equilibrio nell’ambito di una fiscalità digitale, elaborata nel rispetto degli standard nazionali e internazionali, è uno degli obiettivi primari che l’OCSE spesso ha sostenuto. Motivo per cui la web tax, come l’OCSE continua a dichiarare, è un passo avanti inevitabile per adeguarsi alla digitalizzazione dei tempi, nonché una mossa fondamentale per evitare danni permanenti conseguenti alla crisi economico-finanziaria provocata dall’emergenza Coronavirus.

Agli esordi del 2020, infatti, lo scatenarsi della pandemia che ha provocato il lockdown di moltissimi Paesi nel mondo, ha creato le circostanze per un utilizzo sempre più frequente dei mezzi digitali come ausilio imprescindibile. La scoperta, in alcuni casi, e la conferma in altri, che l’acquisto online favorisce la praticità di abitudini quotidiane, sono rassicurazioni del fatto che basta un semplice click per non privarsi di nulla. Una consapevolezza che ha accresciuto, non poco, la necessità di una regolamentata tassazione flessibile. La stessa tassazione che riuscirebbe a produrre ossigeno alla fiscalità digitale in senso lato.

È chiaro, dunque, che in un tale panorama la web tax è divenuta per l’OCSE una vera e propria priorità, per garantire che anche le multinazionali e i Player del web facciano la propria parte nel lavoro di ripresa finanziaria dell’economia dei rispettivi Paesi. Non è sicuramente un obiettivo semplice da raggiungere, dal momento che sono diversi gli ostacoli da superare prima di trovare una soluzione accettabile in ambito europeo e internazionale. I vari ritardi nell’elaborazione di una web tax condivisa sono da individuare nei seguenti punti:

  • equiparare, o meglio adattare, la web tax alle problematiche che riscontrano le piccole e medie imprese, colpite in modo particolare dalla crisi Coronavirus;
  • risanamento delle finanze pubbliche grazie al contributo delle aziende, in modo tale da riattivare il traffico economico della fiscalità digitale europea;
  • lo stato di emergenza ancora in atto continua a far aumentare l’utilizzo dei servizi digitali e, dunque, ad accrescerne il potere;
  • incentivi immediati per la ripresa delle attività che maggiormente sono state colpite dalla pandemia.
     

Il ruolo di Confcommercio

Si espone, di seguito, la dichiarazione di Vincenzo De Luca, Responsabile del settore Fisco Confcommercio, sulla necessità di introdurre un'equa tassazione dell'economia digitale a livello OCSE.

"In un contesto economico in cui la liberalizzazione degli scambi è stata implementata e in cui il progresso tecnologico ha annullato le distanze fisiche, rilevanza fondamentale è assunta dal riparto del potere impositivo tra gli Stati in cui ciascuna impresa opera localizzando una o più attività.

La digitalizzazione dell’economia, infatti, sul piano della produttività e della crescita economica ha permesso una maggiore efficienza dei processi produttivi e un incremento degli scambi informativi tra clienti e fornitori.

Tuttavia, l’impatto della digitalizzazione ha comportato un mutamento dei profitti delle imprese - i cui ricavi diventano mobili non essendo più collegabili ai mercati sui quali l’impresa è attiva - con un significativo impatto sulla fiscalità degli Stati in cui sono realizzati.

Pertanto, in considerazione di un sistema produttivo che ha smesso di funzionare nei modi consueti, risultano obsoleti sia i tradizionali sistemi di tassazione sia i meccanismi per evitare la doppia imposizione dei redditi delle imprese multinazionali.

Sotto questo profilo, anche i tentativi di prevedere “Web Tax” nazionali o europee, transitoriamente destinate a colpire i ricavi derivanti da particolari operazioni condotte sul mercato digitale - senza un coordinamento comune e la condivisione di un più ampio disegno di armonizzazione delle legislazioni fiscali - rischiano di fallire, come è successo di recente in sede europea.

L’avvento della “new economy" e l’implementazione dei processi di digitalizzazione hanno permesso alle imprese di aggiudicarsi anche mercati esteri senza la necessità di collocarvi una sede fissa di affari, mediante l’impiego di metodi del tutto innovativi (e per lo più immateriali) che hanno fortemente abbattuto le barriere all’entrata dei mercati.

Tuttavia, al repentino cambiamento dei modelli di business delle imprese non ha fatto seguito un altrettanto radicale cambiamento dei sistemi di tassazione, che continuano ad essere ancorati ad una obsoleta idea di impresa.

Ciò posto, è evidente quanto sia indispensabile che gli sforzi dei Governi convergano verso un’azione comune tesa ad evitare che l’eccessiva frammentazione presente a livello ordinamentale crei la possibilità per i contribuenti di scegliere quello più conveniente, indirizzando i profitti nei Paesi a fiscalità privilegiata a svantaggio delle casse erariali dei singoli Stati, nonché a detrimento delle piccole e medie imprese.

Pertanto, diventa sempre più urgente che si elabori, a livello OCSE, una equa forma di imposizione delle imprese digitali, al fine di evitare che sorgano aree economiche deregolamentate e, dunque, defiscalizzate, in cui vengano prodotti redditi che riescono a sfuggire a qualsiasi forma di tassazione".

 

a cura di
Alice Coccia

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca