Intervento conclusivo 2° Forum dei Giovani Imprenditori

Intervento conclusivo 2° Forum dei Giovani Imprenditori

Venezia, 19 settembre 2009

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19 settembre 2009

Cari Amici,
in queste giornate, abbiamo parlato di crescita e di innovazione, di giovani e di futuro. Ed anch’io di questo vi parlerò.

Ma, proprio pensando ai giovani ed al futuro del Paese, credo che sia giusto rendere preliminarmente omaggio alla memoria dei giovani militari italiani uccisi, giovedì, in Afghanistan.

Giovani italiani caduti nell’adempimento del loro dovere ed al servizio di un’Italia costruttrice di pace.

Rendiamo onore al loro impegno ed alla loro memoria; manifestiamo il nostro cordoglio ed il nostro affetto alle loro famiglie; esprimiamo tutta la nostra solidarietà alle Forze Armate del Paese.

Lo facciamo con un minuto di silenzio, di raccoglimento, di preghiera.

* * *

Ai Giovani Imprenditori di Confcommercio ed al loro Presidente, Paolo Galimberti, va il mio ringraziamento per queste due intense giornate di lavoro, dedicate ad esplorare le relazioni forti tra processi di innovazione e crescita economica e sociale.

Ed il mio ringraziamento va, ancora, a tutti gli autorevoli relatori dei mondi della ricerca scientifica e dell’impresa, delle forze sociali, della politica e delle istituzioni, che hanno accettato l’invito a portare il loro contributo all’approfondimento ed alla discussione.

Abbiamo vissuto – e stiamo ancora vivendo – tempi difficili. Per molti aspetti, la “grande crisi” ed anche il dopo-crisi sono – per far ricorso ad un’efficace espressione del Ministro Tremonti – “terra incognita”.

Ma, per fortuna, disponiamo - nell’attraversamento di tempi difficili e della “terra incognita” – di alcune robuste certezze. Certezze non incrinate, ma rafforzate dalla lezione della crisi.

E, nel novero di queste certezze confermate, rientra senz’altro il ruolo dell’innovazione – tecnologica ed organizzativa – come lievito potente, come vero e proprio propellente della crescita e dello sviluppo.

E’ una certezza che deriva dalla storia economica della globalizzazione degli ultimi vent’anni, in cui hanno corso di più proprio le economie che hanno più puntato sull’innovazione, sul capitale umano, sul talento.

Vale la pena di ricordarlo, di sottolinearlo oggi, proprio oggi. Nel momento in cui, cioè, appare sufficientemente chiaro che non solo la “grande depressione” è stata scongiurata, ma che anche la crisi sta decelerando e che si fa più vicino il tempo della ripartenza.

Vi è, tuttavia, una questione che occorre avere ben presente e che costituirà il problema fondamentale dei prossimi anni: seppure, nel 2010, si potrà considerare tecnicamente conclusa la fase di recessione, ciò non significherà che, negli anni a venire, potremo beneficiare di uno scenario di crescita stabile e robusta.

Al contrario, permarranno, nello scenario globale, incertezze e rischi di ricaduta – in particolare, per le scorie dei titoli tossici ancora presenti nel sistema finanziario – e la crescita sarà complessivamente debole.

Debole, perché non vi sarà l’effetto doping dei consumi a debito; debole, perché la crisi ha fiaccato i fondamentali di molte economie; debole, perché lento e difficile sarà il riassorbimento della disoccupazione; debole, perché i debiti pubblici, cresciuti per la necessaria mobilitazione delle politiche di bilancio a contrasto della crisi, andranno progressivamente ridotti.

Del resto, per l’Italia, che intanto si confronta con un autunno ancora difficile, le previsioni di crescita per il prossimo anno si collocano, al più, intorno ad un modesto mezzo punto percentuale.

E, con una dinamica della crescita così contenuta, già recuperare le pur non esaltanti posizioni di partenza non sarà facile e richiederà tempo.

Quanto ai consumi, il rischio è che occorra aspettare il 2011 per tornare al livello pro-capite del 2000.

Dunque, è uno scenario previsionale duro, severo.

Rispetto al quale, però, sarebbe esiziale reagire con riedizioni di declinismo e di sconsolato pessimismo.

Dobbiamo, invece, fare molto, sapendo che possiamo fare molto. Con quell’unità di intenti e di azione tra le forze sociali, le forze politiche, le generazioni, che costituisce la parte migliore della nostra storia repubblicana. Con quell’unità che ha consentito di affrontare e superare crisi ed emergenze.

Ecco – voglio dirlo così – fare molto e farlo insieme sarebbe davvero il modo migliore per festeggiare, nel 2011, i 150 anni dell’Unità d’Italia.

Fare molto è possibile. Perché l’Italia ha mostrato di avere alcuni buoni fondamentali, che hanno reso meno violento l’impatto contro l’ostacolo della crisi: la maggiore solidità di un sistema bancario tradizionalmente più prudente, ma a cui chiediamo di essere anche più lungimirante; il risparmio delle famiglie; la flessibilità delle piccole e medie imprese; il sistema di sicurezza sociale, opportunamente potenziato a contrasto della crisi.

Fare molto è possibile. Perché alla crisi si è risposto – dati i problemi strutturali della nostra finanza pubblica – con una politica economica e di bilancio “sobria”, ma giustamente attenta ai fondamentali: con ammortizzatori sociali più inclusivi e volti, per quanto possibile, ad incentivare la continuità dei rapporti di lavoro; con misure per favorire l’accesso al credito e con il recente accordo sulla moratoria dei debiti delle imprese nei confronti del sistema bancario.

Fare molto è possibile. Perché sono aperti i “cantieri” di importanti riforme. Le riforme necessarie per recuperare deficit di produttività e di competitività di lungo corso e per tornare a crescere di più e meglio.

Ricordo, tra l’altro, l’avvio del processo di costruzione di un federalismo fiscale responsabile, cioè capace di coniugare insieme solidarietà, produttività della spesa pubblica e controllo della pressione fiscale complessiva.

Ricordo, ancora, la riforma dell’architettura della contrattazione, con la scelta di valorizzarne il secondo livello, specializzandolo come sede per la più puntuale connessione tra incrementi di produttività ed aumenti salariali.

Sono due esempi – federalismo fiscale e nuova contrattazione - che, ovviamente, non ricordo casualmente.

Lo faccio, invece, perché mi sembra che essi indichino con chiarezza la strada lungo la quale procedere speditamente, se davvero si intendono affrontare le questioni reali che hanno animato la discussione economica e politica nel corso dell’estate.

Anzitutto, la questione del Mezzogiorno come grande sfida nazionale. Sfida da affrontare e da vincere per cogliere l’opportunità di costruire più crescita, più sviluppo, più coesione sociale per tutto il nostro Paese.

Per come io la vedo, è stato giusto chiedere al Mezzogiorno di confrontarsi con la prospettiva della costruzione del federalismo fiscale. Ma al Mezzogiorno che a questa sfida non si sottrae, credo anche che dobbiamo l’impegno a riaprire in Europa un confronto determinato sul nodo della fiscalità di vantaggio.

Al riguardo, considero dunque importante l’annuncio – fatto dal Ministro Scajola in occasione della Fiera del Levante di Bari – dell’approfondimento in corso circa strumenti di fiscalità di vantaggio per il turismo al Sud.

E penso, inoltre, che, anziché discutere di “gabbie salariali”, sarebbe utile, ora, concentrarsi sul decollo del nuovo modello di contrattazione, facendo tutto il possibile per incentivarlo attraverso misure di robusta detassazione dei premi di risultato e degli incrementi salariali contrattati al secondo livello.

Misure che vanno nella direzione giusta e necessaria. Quella, cioè, della riduzione della pressione fiscale complessiva e, in particolare, di quella che grava sui redditi da lavoro.

In questo contesto, andrebbero operate – lo ribadiamo – anche scelte di detassazione delle tredicesime.

Non ci sono scorciatoie, infatti: più crescita e più reddito richiedono più produttività ed un minore carico fiscale.

Insomma, concentriamoci sui cantieri aperti e facciamo rapidamente avanzare i lavori in corso.

Perché, allora, parlare oggi, proprio oggi, di innovazione e crescita?

Perché non possiamo accontentarci di uno scenario di crescita frazionale e possiamo e dobbiamo, invece, costruire un’Italia più ambiziosa e che investa sul futuro - cioè anzitutto sui talenti e sull’innovazione – per sospingere produttività e crescita.

Anche in questo caso, profittando, tra l’altro, di alcuni cantieri già aperti e, in particolare, di quanto si sta facendo nella funzione pubblica, nella scuola e nell’università per promuovere merito e responsabilità, innovazione e produttività.

Per questo bisogna proseguire nelle riforme della pubblica amministrazione, della scuola dell’università, perché una pubblica amministrazione in cui agisca una solida cultura della responsabilità, in cui cioè si valutino efficacemente prestazioni e risultati e si premi chi lo merita, è un’infrastruttura essenziale per la competitività del Paese ed è determinante per la qualità e la produttività della spesa pubblica.

Bisogna proseguire, perché l’innovazione tecnologica ed organizzativa della pubblica amministrazione induce innovazione nell’intero Paese, data la complessità e la ricchezza delle relazioni della funzione pubblica con ciascun cittadino e ciascuna impresa.

Bisogna proseguire, perché innovare nella pubblica amministrazione significa semplificare la vita dei cittadini e delle imprese, renderne più produttivo l’impegno lavorativo, ridurre i costi della “tassa” della burocrazia. Quella tassa che, alle imprese italiane, costa almeno 1 punto di Pil.

Bisogna proseguire, perché la qualità della cooperazione tra funzione pubblica ed iniziativa dei privati è fondamentale per accelerare crescita e sviluppo.

Ricordo dunque con piacere che, con il Ministro Brunetta, abbiamo già siglato un protocollo d’intesa per valorizzare il ruolo delle imprese dei servizi secondo il modello delle “reti amiche”, cioè dell’integrazione di reti private con i servizi della pubblica amministrazione.

Ed ancora ricordo che, con lo stesso Ministro, abbiamo condiviso, quest’anno, l’istituzione, nell’ambito della prima edizione del Premio Nazionale per l’Innovazione, del Premio per i Servizi, di cui Confcommercio-Imprese per l’Italia ha curato l’organizzazione.

E, infine, colgo l’opportunità di questo forum per annunciare che, con il Ministro Gelmini, sigleremo a breve un accordo-quadro, la cui finalità è quella di promuovere la cultura dell’economia dei servizi nel mondo della scuola, dell’università e della ricerca e di favorire il rapporto tra questo mondo ed il mondo del lavoro e dell’impresa.

Scuola, università e ricerca sono, infatti, incubatori fondamentali di innovazione. Tutta la letteratura comparativa internazionale ci dice che la nostra scuola, la nostra università, la nostra ricerca hanno la necessità di forti miglioramenti dei loro risultati e possono conseguirli.

Ma le stesse comparazioni internazionali evidenziano che il problema di fondo non è tanto la quantità della spesa pubblica ad esse dedicate, anche se, con specifico riferimento alla ricerca, qualche sforzo in più andrebbe fatto, sia sul versante pubblico che su quello privato.

Il punto è, piuttosto ed ancora una volta, la produttività della spesa, l’utilizzo efficiente delle risorse disponibili, attraverso un’organizzazione complessiva della scuola, dell’università e della ricerca.

La qualità va riconosciuta, valutata e premiata. E’ questo il miglior antidoto ad ogni poco lusinghiero piazzamento della scuola, dell’università e della ricerca italiane nelle classificazioni internazionali.

Scuola, università, ricerca sono, allora, un terreno per riforme intorno alle quali realizzare, tra le forze politiche e sociali, collaborazione e convergenza.

Perché – come titolava l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato, domenica, sul Corriere della Sera – “su quei banchi ci siamo tutti”. C’è tutto il Paese ed il suo futuro.

Insomma – come ha scritto Irene Tinagli e come è emerso anche dal suo intervento di ieri – “il compito di un paese moderno e avanzato non è supportare i cittadini soltanto nelle loro debolezze e fragilità, ma anche nelle loro ambizioni e potenzialità”.

L’ambizione della qualità: questo, forse, potrebbe allora essere il titolo generale del programma di lavoro per l’Italia che vogliamo.

Un’Italia che scelga la strada dell’innovazione e dell’impegno per una maggiore produttività nella funzione pubblica ed in ogni settore della sua economia.

Alla sfida della produttività, all’impegno per una maggiore produttività, l’economia italiana dei servizi non si è mai sottratta.

Ha fatto i conti con uno storico processo di apertura dei mercati e di costruzione di maggiore concorrenza. Lo ha affrontato, anche a prezzo di notevoli costi sociali.

Noi – che questa economia rappresentiamo – non crediamo che la risposta stia nell’arretramento delle ragioni della concorrenza, ma nell’avanzamento di politiche attive dedicate alle imprese dei servizi ed alle piccole e medie imprese.

E’ un principio generale, agevolmente declinabile anche sul terreno specifico delle politiche per l’innovazione.

Occorrono regole – ed anche ragionevoli risorse – che riconoscano le forme e le modalità di innovazione tipiche dei servizi e delle piccole e medie imprese.

Del resto, già oggi, il valore aggiunto dei servizi è superiore al 71% del Pil del nostro Paese. Del resto, già oggi, i servizi di mercato – quelli che noi rappresentiamo – contribuiscono alla formazione del Pil e dell’occupazione per ben più del 40%. Del resto, le piccole e medie imprese sono la struttura portante del sistema produttivo del nostro Paese.

Anche a noi è caro – semplicemente perché siamo imprenditori di buon senso – il sistema manifatturiero del Paese. Ma pensiamo che una monocultura industrialista sia sbagliata, e finanche controproducente per la stessa manifattura.

La storia di successo delle nostre “multinazionali tascabili” – cioè delle medie imprese che sorreggono l’export italiano – è, infatti, la storia di un fecondo scambio ed intreccio tra industria e servizi.

Lo ripeterò, dunque, ancora una volta. Non abbiamo nulla contro “Industria 2015”, etichetta che ricomprende le principali politiche italiane a sostegno dell’innovazione del suo sistema produttivo. Però, “nomen omen”.

E pensiamo, allora, che sia giunto il momento di mettere in campo un analogo progetto “Servizi 2020” come strumento per cogliere tutte le opportunità di innovazione, di produttività e di crescita aggiuntive che l’economia dei servizi può esprimere.

Nei servizi alle persone ed alle imprese, nei trasporti e nella logistica, nel commercio e nel turismo.

Basti pensare, ad esempio, all’impatto di un’innovazione – tecnologica ed organizzativa - diffusamente applicata ai nostri giacimenti culturali ed al turismo, alla logistica del commercio, alla filiera agroalimentare, all’integrazione tra urbanistica ed urbanistica commerciale.

Molte esperienze sono in corso e certo le buone pratiche non difettano. Vanno sostenute e, soprattutto, ne va organizzata ed incentivata la replicabilità.

Vogliamo cogliere l’obiettivo giustamente ambizioso del raddoppio del contributo del turismo alla formazione del Pil del Paese ?

Sosteniamone robustamente, allora, la spinta all’innovazione, e magari affrontiamo anche il nodo della riduzione delle aliquote Iva.

Ecco quello che chiediamo: valorizziamo il potenziale straordinario di creatività e di innovazione dei servizi.

Lo chiediamo all’Italia ed all’Europa. Un’Europa per cui il 2009 non è stato solo l’anno della “grande crisi”, ma anche l’”Anno della Creatività e dell’Innovazione”.

Un’Europa, ancora, che, nel 2009, ha promosso la prima Settimana europea delle PMI sulla scorta dello Small Business Act , ossia dell’atto d’indirizzo comunitario con cui è stata riconosciuta la necessità, di politiche dedicate alle PMI, nel quadro del rilancio della strategia di Lisbona e di un realistico perseguimento del suo obiettivo fondamentale. Quello, cioè, di fare dell’economia europea l’economia fondata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo.

Un’Europa, infine, che, nel 2009, vede il rinnovo dei suoi Organi politici.

All’Europa ed ai suoi rinnovati Organi politici, chiediamo, allora, di dare coerente seguito all’attenzione alla creatività, all’innovazione, alle PMI in termini di politiche di bilancio e di specifici programmi operativi.

Così come fin d’ora chiediamo al Governo italiano di utilizzare il veicolo della “Legge annuale per le PMI” – previsto nel contesto della Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri di prossima emanazione, che costituisce l’esito del confronto svoltosi nel nostro Paese, presso il Ministero dello sviluppo economico, sui contenuti dello Small Business Act – per sviluppare i contenuti di una politica per l’innovazione dedicata alle piccole ed alle medie imprese.

Costruiremo, così, nuove opportunità: per l’oggi e per il domani e, in particolare, per i giovani imprenditori dell’oggi e del domani.

Così ha detto il Presidente Obama, parlando agli studenti in occasione dell’apertura dell’anno scolastico: “Vi occorreranno la creatività e l’ingegno che vengono coltivati in tutti i corsi di studio per fondare nuove imprese, che creeranno posti di lavoro e faranno fiorire l’economia”.

E’ una richiesta di responsabilità e di impegno. E’ l’indicazione di molte opportunità. E’ un messaggio di fiducia.

Facciamolo anche noi. Chiediamo ai nostri giovani responsabilità ed impegno. Offriamo loro le opportunità di una buona istruzione e di un’Italia aperta all’innovazione.

Sarà un’iniezione di fiducia per tutto il Paese, che ci aiuterà ad uscire dalla crisi prima e meglio.

Ecco, sono queste le cose semplici, ma importanti, che volevo dirvi. Volevo dirle anzitutto a voi, giovani imprenditori di Confcommercio. Perché, in questi anni, anzitutto in voi ho sempre ritrovato senso di responsabilità e volontà d’impegno. Dunque, grazie: grazie a te, caro Paolo; grazie a tutti i giovani imprenditori di Confcommercio.

Perché il confronto con la vostra responsabilità ed il vostro impegno, di cui questo forum è una concreta testimonianza, è certamente stato – in questo mio quadriennio di Presidenza – un’esperienza preziosa, sfidante e motivante.

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