Relazione del Presidente Sangalli all'Assemblea Generale 2023

Relazione del Presidente Sangalli all'Assemblea Generale 2023

Signor Presidente del Senato, Signori Ministri e Signori Rappresentanti del Governo, Onorevoli Parlamentari, Autorità, Gentili Ospiti, care amiche e cari amici della Confcommercio, buongiorno e benvenuti.

Il nostro grazie, al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per il messaggio inviatoci.

Il nostro cordoglio, per le vittime dell’alluvione che ha colpito la Romagna.

Il nostro impegno, al fianco di donne e uomini che ancora una volta stanno dando concreta testimonianza di coraggio e speranza.

È emblematica la storia del libraio di Lugo, che ha perso tutto nell’alluvione ma è riuscito a vendere i suoi libri più che in una giornata normale: la solidarietà alimenta la speranza.

Diamo atto al Governo di aver risposto con tempestività. Le moratorie siano territorialmente inclusive, i ristori siano adeguati e tengano conto anche del mancato ricavo a prescindere dal danno diretto.

Anche noi vogliamo fare la nostra parte. Penso al Protocollo con la Protezione Civile, alle risorse messe in campo dalla nostra Fondazione Orlando, alle iniziative dedicate alle aree interne e alla montagna, perché le emergenze si affrontano sempre a “monte”.

Grazie ai rappresentanti delle istituzioni, ai presidenti di regione, ai sindaci.

Grazie ai volontari, ai tanti giovani che si sono generosamente spesi nelle azioni di soccorso e nella voglia di ricostruire l’Emilia-Romagna, la Toscana e le Marche: sono l’Italia di cui siamo orgogliosi.

Perché c’è un tempo per l’emergenza, c’è un tempo per la solidarietà e c’è un tempo per la ripartenza.

E per molte imprese, in particolare dei nostri settori, questo tempo è già arrivato.

Resta la considerazione di fondo: i profondi cambiamenti climatici che richiamano transizione ecologica e sviluppo sostenibile.

Ce lo ricorda la “Laudato Si’”: “Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti”.

Servono, allora, programmazione e azione per la cura e la manutenzione di un Paese fragile.

Servono programmazione e azione per attivare oltre 20 miliardi di euro per la messa in sicurezza del territorio.

Guardate, cari amici, c’è un termine che riassume questa stagione economica e sociale complicata.

È “permacrisi”.

Un neologismo, invero di conio non recente, con cui si è ormai soliti riassumere le incertezze, le emergenze e le sfide dei tempi che stiamo vivendo.

Incertezze, emergenze, sfide: a livello europeo, ci dicono, anzitutto ed ancora una volta, dell’importanza di una comune politica – estera, di difesa, energetica – e della revisione della politica agricola.   

Così come è necessaria un’attenta politica commerciale dell’Unione che tenga conto delle nuove catene del valore.

Incertezze, emergenze, sfide: ci dicono, ancora una volta, dell’importanza di una riforma strutturale del Patto europeo di stabilità e crescita.

Un “nuovo” Patto che sappia davvero tenere insieme miglioramento delle finanze pubbliche, riforme ed investimenti, in particolare alla luce delle transizioni energetica e digitale.

Incertezze, emergenze, sfide: ci dicono, ancora, dell’esigenza di contrastare l’inflazione non solo attraverso politiche monetarie, ma anche con una strategia europea per la competitività, insieme ad una stabile capacità fiscale di finanziamento dei servizi pubblici di dimensione europea.

Ma, proprio nello scenario della “permacrisi”, i risultati dell’economia italiana battono costantemente al rialzo, nell’ultimo triennio, tutte le previsioni.

Oggi, il nostro livello del PIL è superiore del 2,5 per cento rispetto a quello del quarto trimestre del 2019.

Insomma, abbiamo più che recuperato i livelli pre-pandemici, facendo meglio delle altre maggiori economie europee e addirittura degli Stati Uniti.

Restano, però, ancora indietro i consumi che, nella media dello scorso anno, risultano inferiori di circa venti miliardi di euro rispetto al 2019. Proprio i consumi rallentano – a partire da quelli alimentari – per quell’inflazione che continua a mordere.

Inflazione, che erode il potere d’acquisto, sia dei redditi correnti, sia della ricchezza detenuta in forma liquida.

Abbiamo mostrato una straordinaria capacità di adattamento e di reazione, da parte di imprese, lavoro e reti di sicurezza sociale.

È il risultato della collaborazione tra buone politiche pubbliche ed iniziativa privata. Collaborazione che ha funzionato anche sul versante dell’occupazione.

La crescita degli occupati nel 2022, rispetto a due anni prima, è stata di quasi un milione e 800mila unità. E per il 76,4 per cento è merito delle nostre imprese.

E i nostri settori, lo ricordo una volta ancora, sono stati i più colpiti da crisi su crisi, ma non si sono mai arresi.

E allora voglio ringraziare tutti voi amici della Confcommercio.

Vi ringrazio per quello che avete fatto, per quello che state facendo e quello che continuerete a fare accanto ai nostri imprenditori, con coraggio e responsabilità, senza lasciare indietro nessuno!

L’Eurostat conferma che il tasso di occupazione italiano non è mai stato così alto. Restiamo però distanti di quasi 10 punti dalla media europea. Diventano 14 per le donne e oltre 15 per i giovani.

C’è spazio, dunque, per nuova occupazione.

Del resto, il terziario di mercato sta vivendo una persistente carenza di personale.

Nel turismo e nel commercio, mancano, ad esempio, rispetto al 2022, circa 480 mila lavoratori. E per oltre il 40 per cento, vi è un concreto rischio che la domanda non possa essere soddisfatta, soprattutto per la mancanza di competenze.

Occorre, allora, intervenire per colmare la distanza tra formazione ed esigenze delle imprese, così come per programmare adeguati flussi di lavoratori immigrati.

Sul recente decreto lavoro, il nostro giudizio è positivo.

Penso all’ulteriore intervento di riduzione del cuneo contributivo sui redditi da lavoro dipendente ed al maggiore tetto di detassazione per i premi aziendali.

Occorre proseguire con determinazione su questa strada. Andrà però chiarito come confermare, nel 2024, i tagli del cuneo fin qui operati.

E per quel che riguarda l’assegno di inclusione ed il supporto per la formazione e il lavoro, consideriamo giusto l’obiettivo di promuovere un sistema di sicurezza sociale più saldamente fondato sul lavoro.

E sono, ad esempio, importanti gli incentivi per l’assunzione dei “Neet” che restano la vera emergenza del Paese. Sono quei giovani che non lavorano e che non sono inseriti in percorsi di studio o formazione.

A cent’anni dalla sua nascita, valgono ancora le parole di Don Milani, quando diceva che se si perdono i più fragili “la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.

Ancora, per l’assegno di inclusione e per il sostegno alla formazione ed al lavoro, sarà cruciale la dimensione “attiva” degli interventi.    

“Politiche attive”, dunque, per migliorare la quantità e la qualità dell’occupazione.

C’è poi bisogno di buona flessibilità. Le misure del Decreto sui contratti a termine e di prestazione occasionale sono utili per le imprese e anche per contrastare il lavoro irregolare. Si vada avanti.

E vengo al tema del contratto.

Lo diciamo subito: la detassazione degli aumenti contrattuali sarebbe utile per il buon esito delle trattative in corso, a partire da quella per il contratto nazionale del Terziario.

Vogliamo ribadire che la dinamica dei salari va sempre considerata nel quadro di un comune impegno per la produttività e la crescita.

Del resto, la risposta più efficace alla questione del salario minimo sta proprio nella valorizzazione erga omnes dei trattamenti economici e degli istituti del welfare contrattuale previsti dai contratti collettivi stipulati da chi realmente rappresenta il mondo del lavoro e il mondo delle imprese.

Non ci piace alimentare polemiche, ma gli argomenti infondati vanno confutati: la nostra contrattazione collettiva ha da sempre garantito trattamenti economici complessivi adeguati e proporzionati.

Pensiamo invece al dumping contrattuale, che va contrastato ovunque, con serietà e determinazione!        

Quanto ai progetti di riforma pensionistica, gli scenari demografici e di finanza pubblica dicono che non ci sono alternative ad una flessibilità coerente con i principi contributivi, accompagnata dalla valorizzazione della previdenza complementare.

Tra luci ed ombre, il 2023 si presenta con la previsione di un PIL programmatico in crescita dell’1 per cento. A nostro avviso, tale valutazione andrebbe corretta al rialzo di almeno due decimi di punto.

È una crescita, diremmo, “di transizione”, tra la brillante reazione post-pandemica e il 2024 come momento di nuovo impulso allo sviluppo, basato sulla messa a terra del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, dentro un rinnovato quadro di regole europee.

Non mancano difficoltà.

Penso al rientro lento dell’inflazione, alla volatilità dei prezzi delle materie prime, agli esigui spazi fiscali per sostenere la crescita, alla questione PNRR, all’incertezza presso famiglie e imprese.

La nostra preoccupazione coincide con quella che traspare dal DEF: bisogna evitare il ritorno alla dinamica piatta del prodotto e della produttività, che ha contraddistinto in negativo l’economia italiana nei venti anni precedenti la pandemia.

Ed è chiaro il segnale del rallentamento degli investimenti privati, tanto nell’anno in corso quanto nel prossimo, mentre crescono quelli pubblici.

Non è una stima rassicurante, perché rischia di essere smentita la logica su cui si regge il PNRR: gli investimenti pubblici e quelli privati devono essere complementari.

Va allora contrastata la “filiera del ritardo”: serve efficienza nella governance e nelle pubbliche amministrazioni. Serve semplificare le procedure e, ove necessario, attivare i poteri sostitutivi.

Bene l’integrazione del PNRR con i programmi della politica di coesione, ferma restando la loro addizionalità.

E a partire dal Mezzogiorno, queste scelte sono cruciali.

Il recupero dell’attività economica, dopo la pandemia, sembra, infatti, aver favorito soprattutto il Nord del Paese, con incrementi produttivi nel Mezzogiorno sistematicamente inferiori a quelli delle regioni settentrionali.

Nell’anno in corso il Nord crescerebbe dell’1,4 per cento, mentre il Sud solo di mezzo punto percentuale.

È di nuovo il Sud a perdere unità standard di lavoro: nel 2023 non si saranno recuperati i livelli di quasi trent’anni prima. Pesa la crisi demografica.

Si ampliano i divari territoriali.

E non si può chiedere al solo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di modificare repentinamente questo stato di cose.

Ma, lasciatemelo dire, investimenti e riforme possono aprire la strada a un processo di convergenza, o almeno, e fin da subito, potrebbero arginare la tendenza alla divergenza.

Se non riparte bene il Sud, non riparte bene il Paese!

Più in generale, rivisitazioni e aggiornamenti del PNRR dovrebbero contribuire alla crescita potenziale del PIL italiano in linea con le dinamiche medie che caratterizzano l’Eurozona.

Buona amministrazione, orientamento al risultato, valutazione.

Sono queste le sfide.

Sono sfide anche in materia di Codice degli appalti.  Del resto, semplificazione e legalità possono e devono essere due facce della stessa medaglia.

Sul tema degli appalti, va salvaguardata la funzione delle imprese della ristorazione collettiva che svolgono un ruolo sociale anche nei confronti delle fasce più deboli della popolazione.

Abbiamo bisogno di un Paese che funzioni meglio, in modo più semplice e nel rispetto della legalità: dobbiamo liberare le buone energie del lavoro e delle imprese!   

Dobbiamo lavorare per la maggiore produttività del terziario di mercato, perché questo significa assicurare la crescita complessiva del sistema Paese.

Per questo, nel Piano Transizione 4.0 vanno rafforzate le aliquote per i crediti d’imposta e va definito un più ampio ventaglio di spese ammissibili, così da supportare l’innovazione nel terziario.

Quanto al contrasto al caro-prezzi dell’energia, servono adeguati crediti d’imposta e la riforma strutturale degli oneri generali di sistema.

L’aggiornamento del Piano Nazionale alla luce di REPower EU significa investimenti in efficienza energetica e reti di trasmissione, in tecnologie green e digitali, nell’autoproduzione diffusa di energia rinnovabile.

Andranno inoltre sostenute le comunità energetiche.

Il tutto ferma restando l’esigenza di differenziare il nostro approvvigionamento energetico e di metterlo in sicurezza.

Pensiamo, ancora, agli investimenti del PNRR necessari per la filiera del recupero e del riciclo, che costituisce, ancora oggi, una criticità in molte regioni del Paese.

E c’è poi l’esigenza di rivedere, come preannunciato, l’intera materia degli incentivi edilizi, in modo da conciliare efficienza energetica e antisismica con la spinta alla crescita e con la sostenibilità della finanza pubblica.

Non possiamo però dimenticare che tante nostre imprese della filiera dell’edilizia si trovano ancora ad affrontare i crediti incagliati.

Richiamiamo poi l’esigenza di una soluzione strutturale della questione del payback sui dispositivi medici: mette a repentaglio l’intera filiera delle PMI fornitrici e le stesse prestazioni del servizio sanitario.         

Quanto al credito è necessario intervenire sulle garanzie, anche in considerazione della crescita dei tassi d’interesse.

Resta importante il Fondo Centrale di garanzia, ma occorre integrare gli interventi sia di livello europeo, che quelli dei consorzi fidi.

C’è il tema della moneta elettronica.

Siamo da sempre a favore!

Ma bisogna abbassare i costi del Pos!

Una maggiore trasparenza delle commissioni sarebbe utile.

Occorre poi sostenere le imprese che operano con l’estero.

Il grado di apertura al commercio estero del nostro Paese resta tra i più alti al mondo e contribuisce ad una parte importante della crescita sia attraverso l’export delle nostre eccellenze, sia grazie all’accesso a fonti sicure e affidabili di import.

Caro Ministro Urso, il disegno di legge per il Made in Italy sia una preziosa occasione per valorizzare il sense of Italy, decisivo per servizi e turismo, e per rilanciare l’azione di contrasto di abusivismo e contraffazione.

Ancora, va riconosciuto in modo concreto il ruolo strategico del sistema dei trasporti e della logistica. E questo alla luce delle nuove priorità ed emergenze geopolitiche, compreso il grande tema dell’accessibilità del Paese, dal Brennero fino al Ponte sullo Stretto di Messina.

Senza dimenticare il Piano del Mare, con le opportunità offerte dalla “blue economy”, che rappresenta un valore aggiunto diretto superiore ai 50 miliardi di euro.

E come non fare riferimento, a questo riguardo, alla questione del demanio ad uso turistico, ricreativo e della nautica.

Pensiamo alla mappatura delle concessioni, al giusto indennizzo, alla valorizzazione delle tante imprese, come i balneari, che hanno investito e contribuito alla qualità turistica del Paese.

Una realtà così importante non può essere lasciata senza certezze sul proprio futuro!

Va ripensato anche il modello della ristorazione in concessione, i cui costi non sono più sostenibili.

E vengo al tema del fisco.

Innanzitutto condividiamo l’ambizione del disegno di legge delega di una riforma complessiva del nostro sistema fiscale.

Una riforma volta a sostenere la crescita attraverso la riduzione del carico impositivo, il contrasto di evasione ed elusione, la semplificazione degli adempimenti, la certezza del diritto.

Perché non è più tempo di “manutenzioni ordinarie”!

Si apre, dunque, un cantiere di lavoro complesso e occorre proseguire il confronto con le parti sociali.

Certo, il sistema fiscale deve essere coerente con le regole europee ed internazionali.  In questo quadro va considerata la stessa web tax.

E qui non capiamo perché un piccolo commerciante debba pagare le tasse, tutte e subito, mentre questo non succede per le grandi piattaforme globali!

Sul versante dei redditi d’impresa, giuste le scelte – tanto in materia di IRPEF, quanto in materia di IRES – che intendono favorire il reinvestimento degli utili in azienda.

Quanto all’IRPEF, ci sembra necessario costruire una no tax area senza disparità e definire un chiaro sistema di detrazioni e di deduzioni per conciliare imposta piatta e principio di progressività.

Va poi ricordato che la bilateralità e il welfare di matrice contrattuale meritano maggiore attenzione anche dal punto di vista fiscale, considerato il loro contributo alla stessa sicurezza sociale.

Un’annotazione più specifica. Emerge la possibilità dell’introduzione della cedolare secca anche per le locazioni commerciali.

Bene.

Ma vogliamo essere chiari: se si riduce il costo per i proprietari vanno anche tagliati i costi degli affitti!

Per la sostenibilità finanziaria del processo di riforma, si rafforza la necessità di un esame accurato delle agevolazioni.

Quanto all’IRAP, la delega ne conferma il percorso di graduale superamento. Lo chiediamo da tempo, anche in chiave di valorizzazione del contributo reso alla crescita e all’occupazione dal mondo del lavoro autonomo e professionale.

È certo difficile sostituire l’IRAP, che oggi assicura una parte del finanziamento del fabbisogno sanitario.

Occorre un adeguato approfondimento, perché c’è il rischio che a pagare siano le imprese più dinamiche ed efficienti.

Vengo al tema dell’IVA. Quante volte ne abbiamo parlato in queste nostre assemblee!

Bene la razionalizzazione, ma essa non dovrà mai, mai tradursi in un incremento della tassazione indiretta su beni e servizi.

Quanto ai principi di fiscalità green e con particolare riferimento all’accisa sui prodotti energetici e sull’energia elettrica, va ribadita l’esigenza di un approccio che tenga insieme sostenibilità ambientale, economica e sociale.

La riforma dovrebbe prioritariamente puntare a ridurre i differenziali esistenti tra i livelli minimi di tassazione stabiliti a livello europeo e quelli praticati nel nostro Paese.

Sarà poi, necessario preservare misure indispensabili per la competitività delle nostre imprese dei trasporti, da quella per il gasolio commerciale a quella sui regimi di esenzione per il trasporto marittimo.

C’è bisogno, in estrema sintesi, di recuperare la fiducia, semplificando gli adempimenti, favorendo gli strumenti volontari come il concordato preventivo, riordinando la normativa in un Codice unico tributario e valorizzando gli strumenti informatici, fondamentali per il contrasto e il recupero di evasione ed elusione.

Quanto agli Indici sintetici di affidabilità fiscale, se ne salvaguardi il metodo anche per l’accesso al concordato biennale preventivo.

Condividiamo il richiamo di Banca d’Italia alla “necessità che la delega trovi le opportune coperture”.

Infine, ma certamente non da ultimo, c’è il tema dei tributi regionali. Una questione che va oltre la delega, nella prospettiva di un federalismo fiscale che dovrebbe “concorrere” alla crescita economica del Paese.

Da parte nostra siamo da sempre a favore delle autonomie: locali, funzionali e sociali. Valorizzando le autonomie, si fa sistema, e si possono, e si devono, ridurre divari territoriali e sociali.

Certo, il cammino dell’autonomia differenziata richiede un ampio dibattito, sia in Parlamento che con le forze sociali, e va risolto il nodo dei livelli essenziali delle prestazioni, degli strumenti perequativi, delle coperture finanziarie.

Insomma, crediamo che, in materia di autonomia differenziata e di riforme istituzionali in genere, si possa e si debba discutere e decidere con l’equilibrio richiamato da Piero Calamandrei: la Costituzione dev’essere presbite e capace di vedere lontano.

L’ho accennato prima, il dibattito sulle riforme dovrebbe tener conto anche della “sussidiarietà orizzontale” prevista dall’articolo 118 della nostra Carta Costituzionale.

Pensiamo alla funzione dei corpi intermedi, che, anche nel tempo difficile della pandemia, hanno contribuito alla tenuta e alla coesione sociale del nostro Paese. E in questo ambito, hanno svolto un ruolo prezioso di sintesi istituzionale della rappresentanza le stesse Camere di commercio.

Autonomie e sussidiarietà richiamano la nostra identità e il nostro futuro come Confcommercio.

Abbiamo maturato da tempo una idea della rappresentanza economica che non solo è “dentro” i territori e le città, ma è più in generale dei territori, delle città, delle comunità.

Per questo, è per noi strategica la “questione urbana”.

E non solo in riferimento ai progetti del PNRR e agli interventi settoriali.

L’ambizione è quella di una visione complessiva in grado di interpretare le specificità sociali ed economiche delle nostre città.

Vanno cioè tenute insieme rigenerazione urbana dell’ambiente costruito e degli spazi pubblici con la rivitalizzazione dei servizi di prossimità e con la valorizzazione del modello italiano di pluralismo distributivo.

È l’unico antidoto alla desertificazione commerciale dei centri storici e delle periferie, così come delle aree interne e montane. Queste aree meritano una particolare attenzione, si pensi anche a Zone Economiche Montane.

Noi crediamo nel valore economico e sociale dei servizi di prossimità e della piccola impresa. Perché pensare al piccolo non significa pensare in piccolo, non significa chiedere politiche da riserva indiana, ma al contrario significa farsi carico delle città e dei territori come bene comune.

Significa pensare alla qualità dei servizi e alla funzione sociale che svolgono tante delle nostre imprese.

Nelle città e nei territori, il settore turistico gioca un ruolo decisivo.

Richiede una risposta mirata e di filiera alle esigenze di innovazione e sostenibilità, dai pubblici esercizi agli alberghi.

Occorrono, poi, regole, per definire in modo univoco le attività turistiche, e strumenti informativi per l’emersione del “turismo sommerso”.

Per gli “affitti brevi” vale sempre il principio: stesso mercato, stesse regole.

Le città e i territori, infatti, sono disegnati dalle nostre attività economiche, dal commercio su area pubblica alla ristorazione, dai negozi storici alle imprese della cultura.

Città e territori, sono lo scenario dove proprio la cultura genera reddito, occupazione, impresa.

Vogliamo dirlo così: una produzione culturale libera deve poter stare sul mercato, senza dipendere solo dal finanziamento pubblico, che è pur necessario alla sua missione.

Missione richiamata dall’articolo 9 della Costituzione, che resta di estrema attualità.

Guardate cari amici, in questa relazione ho citato tante volte la Costituzione.

Hanno aperto la nostra assemblea le parole del Presidente Sergio Mattarella.

Vorrei chiudere con quelle del primo Presidente della Repubblica, Enrico De Nicola.

Diceva De Nicola: “il mondo è dei pazienti; e noi sapremo, con sforzo vigile, curare le nostre ferite, risanare i nostri mali, ricostruire le nostre fortune”.

Con la pazienza che una grande storia collettiva consente, con tutto lo sforzo di cui siamo capaci, con la passione che ci contraddistingue, il nostro impegno e la nostra responsabilità restano quelli di: curare, risanare, ricostruire.

Care amiche e cari amici della Confcommercio, per curare, per risanare, per ricostruire, servono le persone.

Bisogna mettere al centro le persone.

E la Confcommercio ha le persone al centro.

Le persone che ci lavorano, quelle che vi dedicano tempo e passione, quelle che ci hanno scelto, persino quelle che non pensano a noi mentre noi pensiamo a loro.

Le persone che tra mille incertezze, costruiscono le famiglie, base della nostra società.

Le persone che, anche quando la partecipazione pare affievolita, costruiscono le comunità locali e si spendono per il bene comune.

Le persone che, nonostante tutti gli impedimenti, costruiscono le imprese, creando buona crescita e buona occupazione.

Le persone che, senza aspettarsi nulla in cambio, costruiscono le associazioni e assicurano la tenuta e la coesione sociale del Paese.

Le persone, che anche nelle stagioni più complicate, costruiscono la speranza e il nostro futuro.

Le persone che curano, risanano, ricostruiscono un Paese migliore.

Ancora una volta, insieme.

Perché Confcommercio c’è. Per noi, per tutti.

Viva la Confcommercio.

Viva l’Italia.

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