Il lavoro "giovane" non abita in Italia
Il lavoro "giovane" non abita in Italia
Analisi dell'Ufficio Studi sull'universo giovanile e il lavoro tra il 2000 e il 2019. In calo occupati e numero di imprese, mentre aumenta l’emigrazione. Sangalli: "Favorire le imprese giovanili rende più robusta e duratura la crescita".
C’è stato un mondo prima del Covid e ce ne sarà uno dopo, con dati economici e analisi sociologiche che assumono connotati completamente diversi influenzati in maniera decisiva dagli effetti della pandemia. In Italia però c’è una situazione, che già prima dell’avvento del coronavirus, presentava delle negatività quasi "storiche": la disoccupazione e la marginalizzazione delle giovani generazioni. L’Ufficio Studi Confcommercio ha fatto un'analisi sul tema prendendo in considerazione il periodo che va dal 2000 al 2019: "Le giovani generazioni in Italia prima della pandemia”.
Tra il 2000 e il 2019 i giovani occupati nella fascia d’età 15-34 anni sono diminuiti di 2 milioni e mezzo e, nello stesso periodo, è aumentata la quota di giovani che non lavorano e non cercano un’occupazione (dal 40% al 50%); ma anche per chi l’impiego ce l’ha, le cose non vanno meglio: tra il 2004-2019, si riducono di oltre un quarto i giovani lavoratori dipendenti (-26,6%) e risultano più che dimezzati gli indipendenti (-51,4%); dato quest’ultimo che, letto insieme alla sparizione di 156mila imprese giovanili e alla “scomparsa” di 345mila giovani espatriati negli ultimi 10 anni, fa capire bene quanto pesino nel nostro Paese gli ostacoli per i giovani all’iniziativa imprenditoriale; un quadro sconfortante confermato, purtroppo anche dall’analisi comparativa con altri Paesi: negli ultimi 20 anni in Germania i giovani occupati sono diminuiti 10 volte di meno (-235mila contro 2,5 mln). Insomma, è evidente che la questione demografica e quella giovanile rischiano di indirizzare il Paese verso un sempre più marcato declino e non è un caso che ogni anno, in Italia, ci sono 245mila ricerche di lavoro insoddisfatte da parte delle imprese.
Dal Pnrr possibilità di rilancio
Ad un quadro così problematico una risposta efficace potrà venire dall’attuazione di quanto è previsto nel PNRR, che ha come priorità trasversali le donne, i giovani ed il Sud, ma per rilanciare l’imprenditoria giovanile e, in generale, l’occupazione delle giovani generazioni sicuramente occorrono meno tasse e burocrazia e politiche più orientate a ridurre i gap di contesto: microcriminalità, logistica, formazione del capitale umano.
Sangalli: "Favorire le imprese giovanili rende più robusta e duratura la crescita"
Commentando l'analisi dell'Ufficio Studi su giovani e lavoro negli ultimi vent'anni fermandosi al 2019, cioè prima della pandemia, il presidente di Confcommercio ha sottolineato che "il sostegno alle imprese giovanili rende più diffusa, robusta e duratura la crescita economica". "Per questo - ha osservato Sangalli - è fondamentale utilizzare al meglio le risorse del Pnrr destinate ai giovani soprattutto per quanto riguarda formazione, incentivi e semplificazioni burocratiche". "Favorire nel nostro Paese l'imprenditoria giovanile - ha concluso Sangalli - è la risposta più efficace alle sfide della competizione internazionale e della globalizzazione".
Popolazione per condizione professionale e classe di età (migliaia, var. assolute e var. %)
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio (Usc) su dati Eurostat
Tassi di partecipazione al mercato del lavoro per classe di età in %
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio (Usc) su dati Eurostat
Evoluzione dell’occupazione in Italia per posizione professionale e classe di età
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio (Usc) su dati Istat
Imprese giovanili in crisi
Negli ultimi dieci anni l’Italia ha perso 156mila imprese giovanili, che ora pesano meno del 9% sul totale imprese mente nel 2011 tale quota era di circa undici punti e mezzo. Questa pessima performance ha due cause: la prima è la demografia, la seconda è l’eccesso di difficoltà che incontra un giovane imprenditore potenziale nel realizzare il suo progetto lavorativo.
Imprese registrate giovanili (*) per ripartizione
I "NEET" nel nostro Paese (giovani che non studiano, non lavorano e non si formano) fanno segnare un “record” europeo arrivando, prima della pandemia, a 2 milioni, pari al 22% dell’intera popolazione di quella fascia d’età (in Spagna sono il 15%, in Germania il 7,6%).
Giovani che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione (NEET*)Elaborazioni Usc su dati Eurostat
a cura di
Ugo Da Milano