Dal Made in al Sense of Italy

Dal Made in al Sense of Italy

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17 aprile 2024

1. È tempo di estendere il concetto di Made in Italy. Per valorizzarlo appieno è necessario includervi i servizi alle famiglie consumatrici della grande città del mondo, legati soprattutto al turismo, al fine di identificare un aggregato che cresca molto quando l’attività economica internazionale cresce, e diminuisca poco, o resti stazionario, quando l’attività economica internazionale diminuisce.

 

Le slide in PDF di Mariano Bella al XIII Forum Confcommercio

 

Questa nuova definizione porta al concetto di Sense of Italy (SofI)[1], generatore di emozioni e di ricavi da attività economiche. Più precisamente, il SofI è un meta-brand, o super-brand in cui la scelta dei consumatori è guidata dal c.d. Country of Origin Effect.

Il SofI esprime la risultante di scelte di consumo guidate non più o non solo dal classico rapporto qualità/prezzo, ma anche da fattori emozionali, come la realizzazione di un “desiderio” indotto da un’esperienza. Vale a dire: importo dall’Italia prodotti del SofI perché ho visitato l’Italia e visito l’Italia perché ho fruito nel mio paese di prodotti del SofI, di cui “desidero” (verbo centrale nel SofI) continuare a fruire.

 

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Prima ancora della sua capacità di attrazione di acquirenti-fruitori esteri o dall’estero, il SofI agisce come catalizzatore di desideri, propensioni e acquisti degli italiani in Italia; è ben vero che tante esportazioni ci devono inorgoglire e servono ad accrescere il nostro benessere economico, ma è altrettanto vero e rilevante che l’auto-contenimento dei flussi turistici e l’auto-attrazione dei beni italiani acquistati dagli italiani sostengono produzione e reddito e, al contempo, riducono le importazioni (che entrano con segno negativo nella determinazione del PIL). Per qualcuno tale considerazione risulterà banale, ma la discussione istituzionale e mediatica sovra-pesa pericolosamente il ruolo delle semplici esportazioni (di beni e servizi) trascurando di dare la giusta importanza a quello che non importiamo grazie al meta-brand Italia.

Inoltre, quello che qui preme sottolineare è l’estraneità del SofI alla dittatura della competitività: se è SofI è super-competitivo, se no non è SofI.

È fuor di dubbio che disporre di un contesto favorevole (burocrazia efficiente, equilibrato sistema fiscale, un sistema logistico-trasportistico funzionante o una giustizia civile affidabile) avvantaggi anche il SofI, ma lo stato del contesto non è dirimente per l’affermazione e il successo del SofI.

I suoi prodotti e servizi, qualora i costi del produrli dovessero crescere, sarebbero venduti a prezzi maggiorati e non se ne dovrebbe avvertire grande nocumento in termini di quote di mercato a volume e a valore. Se così non fosse, il meta-brand Italia che sorregge, alimenta e definisce il SofI, sarebbe più un’illusione che una realtà.

 

2. Sulla base dell’intersezione di questi criteri, da utilizzare anche in chiave interpretativa, è stata compilata la tabella 1 che indica le principali grandezze delle relazioni con l’estero costruite sulla base del SofI.

Per individuare l’aggregato SofI si è fatto ricorso a un criterio oggettivo seppur non scevro da elementi di arbitrarietà.

Si è partiti dagli scambi con l’estero secondo la classificazione ATECO delle attività produttive a livello di quinta cifra del codice – quindi un livello di dettaglio molto ampio per l’individuazione dei prodotti – e si è proceduto al calcolo dei diversi saldi settoriali (esportazioni meno importazioni), per individuare quei comparti di attività con domanda estera netta positiva, di significativa entità e persistente nel tempo.

Il numero delle attività produttive prese in esame, poco più di un centinaio, è stato mantenuto costante nelle osservazioni temporali considerate.

Si è immaginato che una parte consistente dell’aggregato SofI sia caratterizzata da quattro A (un’impostazione non nuova nella pubblicistica sull’argomento): l’Agroalimentare, l’Abbigliamento (tessile-moda, accessori, gioielleria, articoli sportivi e occhialeria), l’Arredamento (filiera del mobile, ceramica e piastrelle) e, infine, le Apparecchiature, un agglomerato estremamente vasto di prodotti meccanici ed elettromeccanici che rappresenta il principale punto di forza delle esportazioni manifatturiere italiane, ma del quale si è scelto di considerare solo le due voci “elettrodomestici” e “apparecchi per uso domestico non elettrici”, in quanto direttamente collegati alla fruizione di “esperienze” da parte dei consumatori finali in qualsiasi parte del mondo.

La restante parte del Sense of Italy è costituita dai servizi limitatamente alla voce viaggi, ossia la spesa per consumi dei non residenti sul territorio italiano, la cui componente prevalente è riconducibile ai flussi turistici incoming[2].

Tab. 1 – Il Sense of Italy (SofI): beni e servizi ad alto contenuto emozionale e creativo
miliardi di euro a prezzi correnti

  Esportazioni Saldo X-M
  2002 2007 2022 2002 2007 2022
Agroalimentare 14,1 17,7 42,9 9,4 11,8 30,2
Abbigliamento 43,5 46,3 79,0 26,9 24,5 40,1
Arredamento 24,1 25,3 29,7 20,8 19,5 18,9
Apparecchiature consumer 8,9 13,4 17,6 4,5 6,7 8,4
totale beni SofI 90,6 102,8 169,3 61,6 62,4 97,7
totale beni 269,1 364,7 626,2 7,8 -8,6 -34,1
turismo consumer 28,2 31,2 44,3 20,9 17,2 25,3
totale SofI 118,9 133,9 213,6 82,5 79,6 123,0
totale beni e servizi 329,6 441,8 713,0 10,2 -5,5 -29,5
PIL 1.350,3 1.614,8 1.946,5
saldo bilancia commerciale in % del PIL 0,8 -0,3 -1,5
saldo bilancia commerciale al netto dell'energia in % del PIL 2,7 2,9 4,7
saldo beni e servizi SofI in % del PIL 6,1 4,9 6,3
nota: X indica le esportazioni, M le importazioni; l’aggregazione dei settori delle 4A è stata effettuata per somma di valori di X e M riferiti a beni manufatti individuati secondo l’ATECO 2007 a livello di Categoria (5-digit), estratti dalla banca dati Coeweb dell’ISTAT (https://www.coeweb.istat.it/); le corrispondenze tra le A e i codici ATECO sono indicate nei riferimenti contenuti nella nota 1; turismo consumer = spesa in Italia dei non residenti e saldo X-M per il turismo consumer è la spesa in Italia dei non residenti meno la spesa all’estero dei residenti (Istat).

I saldi dell’interscambio di beni SofI risultano ampiamente positivi e crescenti nel tempo e, dunque, contribuiscono decisamente alla formazione del prodotto lordo. Si confrontino le esportazioni e i saldi dei beni Sofi con le esportazioni e i saldi del totale beni, ricordando che è il saldo estero che contribuisce al PIL (e non la mera esportazione). Per quanto riguarda i beni SofI, esportando nel 2022 circa 169 miliardi (terza colonna della tabella) di merci si registra un saldo netto di quasi 98 miliardi (sesta colonna). Guardando invece al totale esportazioni di beni compaiono i saldi negativi, gravati anche dalla voce energia, di cui si dirà tra un attimo.

Analoga valutazione si desume guardando al totale della bilancia commerciale, cioè includendo anche i servizi. Nel 2002, per esempio, per fare 10 miliardi di euro di saldo (quarta colonna) è stato necessario esportare quasi 330 miliardi di euro di beni e servizi (prima colonna). Nello stesso anno, invece, l’Italia ha realizzato un saldo di 82,5 miliardi di euro di SofI esportando un volume di SofI di soli 119 miliardi di euro.

Nel 2007 e nel 2022 il saldo commerciale complessivo è negativo, quello del SofI è, rispettivamente, di 80 e 123 miliardi di euro.

Il concetto di SofI non può essere meglio spiegato da questi numeri: è il SofI che fa il PIL, cioè il nostro benessere economico, non le mere esportazioni.

La sezione relativa al saldo complessivo dei beni è depressa dalla contabilizzazione della bilancia energetica. In altre parole, si potrebbe obiettare che nella definizione del SofI si esclude convenientemente l’energia e si imputi ai beni in generale il suo saldo pesantemente negativo. Tenendo conto di questa correzione, cioè escludendo l’energia, il saldo dei soli beni nel 2022 passerebbe da un deficit di circa 34 miliardi di euro ad un surplus di circa 91 miliardi, ancora inferiore di oltre 30 miliardi di euro al saldo dei beni Sofi.

Questa semplice evidenza aritmetica dimostra, semmai, che il SofI paga ampiamente la nostra bolletta energetica.

Un ulteriore aspetto di capitale rilievo nell’identificazione del SofI e della sua possibile valorizzazione risiede nella dimensione crescente dei valori assoluti del contributo alla ricchezza nazionale e nella persistenza del segno positivo del saldo esportazioni meno importazioni. Perché il Sense of Italy non dipende dal ciclo economico; perché il valore che gli si riconosce nel mondo consente politiche di prezzo molto soddisfacenti; perché incorpora quote relativamente ridotte di importazioni e, in generale, di valore aggiunto prodotto all’estero.

L’evidenza è definitivamente testimoniata dalle ultime tre righe della tabella 1: sul saldo estero del SofI si può contare, quasi a prescindere dal contesto internazionale.

Vale giusto la pena di sottolineare che la componente del turismo in ingresso nel nostro paese, che contabilmente vale come esportazioni di servizi, evidenzia una dimensione rilevante, inferiore in livello assoluto alla sola voce dell’abbigliamento delle quattro A, ma superiore alle rimanenti tre. In termini di saldo, il solo turismo consumer vale, nel 2022, oltre un quinto del saldo complessivo del SofI.

 

3. L’idea è che, se di SofI si tratta, al ciclo economico internazionale espansivo dovrebbe corrispondere una sua forte crescita – in termini di valore aggiunto dei settori che producono i beni e i servizi che ne fanno parte e non solo di esportazioni – mentre in corrispondenza di un ciclo negativo, la riduzione della ricchezza prodotta dal SofI dovrebbe essere moderata. Il contrario, per confronto, dovrebbe verificarsi per i beni e i servizi non-SofI: quest’ultimo aggregato è pari al valore aggiunto totale, misurato ai prezzi base, meno il valore aggiunto generato dalla pubblica amministrazione e meno il valore aggiunto del SofI.

È indispensabile recuperare il concetto di valore aggiunto come indicatore genuino di ricchezza prodotta, in accordo con l’idea che il SofI può svolgere anche il ruolo di ridurre i volumi di beni importati, attivando domanda domestica[3].

Definito il perimetro della base dati, abbiamo stimato la seguente equazione di regressione lineare, una volta riferita al SofI e un’altra volta riferita all’aggregato non-SofI:

(1)          Δ% v.a. = κ + βA Δ%PILA + βB Δ%PILB + γ Δ%IC

in cui la variabile dipendente è la variazione percentuale del valore aggiunto reale – del SofI e del non-SofI separatamente – e Δ%PIL è la variazione percentuale del PIL mondiale pro capite in termini reali, con A indicante il ciclo alto o espansivo e B il ciclo basso o recessivo o di stagnazione[4]; infine, l’indice di competitività IC è il deflatore del valore aggiunto (dell’aggregato presente a sinistra) diviso per il tasso di cambio dollaro/euro. Per non generare confusione, consideriamo che se la competitività di un bene cresce (cioè cresce l’IC) di quel bene, a parità di tutte le altre condizioni, se ne consumerà (venderà) di più. Per ottenere questo effetto, il denominatore di IC è dollari per euro in modo tale che se l’euro si apprezza la competitività scende (ci vogliono più dollari per un euro e, viceversa, in caso di deprezzamento). Questo spiega il segno positivo del relativo parametro nella tabella 2, nella quale sono presentati i principali risultati dell’analisi di regressione.

Tab. 2 – Un primo test empirico del SofI (risultati della stima dell’equazione 1)[5]

  variabile dipendente: var. % v.a. reale
  SofI non-SofI
costante (κ) -5,2 (-4,6) -2,4 (-3,3)
PIL mondiale pro capite crescente (βA) 3,1 (7,5) 1,5 (5,4)
PIL mondiale pro capite stagnante o decrescente (βB) 2,4 (4,3) 1,5 (4,0)
indice di competitività (γ) 0,1 (1,3) 0,1 (1,3)
R2 corretto 0,9 0,7
periodo di stima: 1999-2022; la differenza tra le elasticità del SofI alle diverse fasi del ciclo economico mondiale è statisticamente significativa agli usuali livelli di confidenza (5%).

L’evidenza più significativa riguarda la risposta del valore aggiunto del SofI al ciclo economico rispetto al non-SofI. L’aggregato selezionato che gode, secondo noi, dell’effetto del country of origin cresce molto (elasticità pari a 3,1) se il ciclo mondiale, depurato dall’effetto della demografia, è elevato, cioè se il PIL mondiale pro capite (reale) cresce. Viceversa, se il ciclo mondiale è negativo o stagnante diminuisce ancora più che proporzionalmente (elasticità pari a 2,4), ma molto meno intensamente rispetto alla simmetrica fase di crescita. Il contrario accade per il non-SofI: gli altri beni e servizi di mercato, infatti, crescono relativamente poco (elasticità pari a 1,5) se il ciclo mondiale è positivo e diminuiscono relativamente poco se il ciclo mondiale è negativo (elasticità ancora pari a 1,5). L’effetto prezzo è modesto per entrambi gli aggregati.

Nel complesso, si tratta di un esercizio di prima approssimazione, con diversi limiti. Di buono c’è che i parametri hanno il segno atteso e sono statisticamente significativi e il loro ordinamento è accettabile e coerente con le attese.

Sviluppare il concetto di Made in Italy per farlo approdare a quello più pregnante di Sense of Italy permette di identificare meglio il ruolo della parte più attraente – e universalmente desiderata – della nostra vita economica.


[1]    Le questioni tecniche e le definizioni sono trattate in Bella M., Mauro L. (2023), Dal Made in Italy al Sense of Italy, Economia italiana, 2 e, più estesamente e integrate da alcuni preliminari esercizi econometrici in Bella M., Mauro L. (2024), Italy: non solo made in ma soprattutto sense of, in uscita su Micro&Macro Marketing.

[2]    Una congettura ben supportata da evidenza empirica e contabile riguarda l’appropriazione del valore generato da un’attività esportativa di un bene in funzione del modo in cui esso è esportato. Mentre si può ipotizzare che il valore aggiunto generato dal consumo di un pasto da parte di uno straniero presso un ristorante italiano sia quasi tutto valore aggiunto italiano (servizi turistici), se non sono presenti alimenti importati; invece, la medesima quantità di beni che venisse esportata in forma di merci oltre la frontiera presso un paese straniero necessiterebbe di servizi di trasporto e di servizi assicurativi. E, infatti, i saldi X-M delle voci servizi dei trasporti e servizi assicurativi nella bilancia commerciale sono entrambe negative (nel 2022 per 17,8 e 2,3 miliardi di euro rispettivamente). Quindi, non le includiamo nel SofI.

[3]    A causa della indisponibilità dei dati, non è stato possibile costruire una misura del valore aggiunto delle 4A perfettamente sovrapponibile ai segmenti di attività economica prescelti per la tabella 1.

[4]    L’identificazione temporale delle fasi recessive è fornita dal business cycle dating dell’Ocse.

[5]    In entrambe le equazioni è presente una variabile dummy che seleziona il 2020, trattato come outlier, ben al di fuori del semplice ciclo stagnante o recessivo.

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