IL TESTO DELL'AUDIZIONE

IL TESTO DELL'AUDIZIONE

D:11-10-2006 P.333 T:E' una Finanziaria da cambiare profondamente

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11 ottobre 2006
Signor Presidente,

Le “ambizioni� del DPEF e l’impianto della finanziaria

 

 

In occasione della nostra audizione sul DPEF per il 2007-2011, segnalammo le caratteristiche quantitativamente e qualitativamente ambiziose di una manovra finanziaria per il 2007, già allora prospettata nell’ordine dei 35 miliardi di euro e finalizzata al perseguimento di obiettivi di sviluppo, di risanamento e di equità.

 

Quel testo aveva, a nostro avviso, soprattutto un merito: quello, cioè, di riconoscere che, in un quadro di più contenuto contributo potenziale dei processi di privatizzazione alla riduzione del debito pubblico e in uno scenario di aumento dei tassi di interesse su scala internazionale, la correzione degli andamenti strutturali della finanza pubblica richiede certo il contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale e l’incremento di efficienza della funzione pubblica, ma anche e soprattutto “misure strutturali dirette a piegare la dinamica della spesa pubblica�, agendo sul pubblico impiego, sul sistema pensionistico, sulla spesa sanitaria, sulla finanza degli enti decentrati.

 

Scorrendo, oggi, il testo del disegno di legge finanziaria per il 2007 e del connesso decreto fiscale, il nostro interrogativo di fondo è, dunque, cosa sia rimasto di quelle ambizioni. La nostra risposta è: poco, davvero troppo poco.

 

Certo, quantitativamente siamo di fronte ad una manovra impegnativa, la più cospicua, come è noto, dopo quella varata nel 1992. Una manovra da 34,7 miliardi di euro, pari a circa il 2,3 % del PIL, cui occorre sommare l’aggiustamento, pari allo 0,3% del PIL, realizzato con il decreto fiscale, attraverso il quale è stato sterilizzato l’impatto sull’extra-deficit della recente sentenza europea in materia di IVA auto.

 

Ma, intanto, il positivo andamento delle entrate, aumentate di circa 24 miliardi di euro nei primi sette mesi del 2006, e la riduzione del fabbisogno di cassa dello Stato, pari a circa 25 miliardi nei primi nove mesi sempre del 2006, hanno reso oggettivamente assai più agevole il perseguimento dell’obiettivo del risanamento, ai cui fini sono ora “generosamenteâ€� destinati â€" sul complesso dei 34,7  miliardi di euro -  15,2  miliardi di euro attraverso i quali ricondurre l’indebitamento netto al 2,8% del PIL e, quindi, al di sotto del fatidico parametro del 3% del Patto di Stabilità.

 

Stando così le cose, sarebbe stato lecito aspettarsi che, a fronte della conferma della scelta di una manovra comunque quantitativamente ambiziosa, altrettanto ambiziose sarebbero state, sul piano qualitativo, le misure di contenimento strutturale della spesa pubblica, quelle per il perseguimento dell’equità e, soprattutto, quelle per l’accelerazione del passo di crescita dell’economia del Paese.

 

Invece, così purtroppo non è stato.

 

 

L’aumento della pressione fiscale e contributiva

 

Non lo è stato, perché -  nell’insieme e stando alle Tabelle allegate al disegno di legge finanziaria, illustrative degli effetti finanziari sul bilancio dello Stato  -   la manovra continua a pigiare il pedale facile di maggiori entrate per oltre 17 miliardi di euro, di cui entrate fiscali per circa 5,3 miliardi di euro ed entrate previdenziali per circa 12 miliardi di euro, ove si tenga conto del conferimento all’INPS di flussi TFR per circa 6 miliardi di euro e di un aumento complessivo di oneri contributivi per un pari importo.

 

A ciò occorre poi  sommare l’impatto delle maggiori entrate per circa 4 miliardi di euro, reperite attraverso il decreto fiscale, e l’impatto atteso dalla riforma dell’imposizione sui redditi da capitale, nella misura di un ulteriore miliardo di euro circa.

 

Peraltro, anche la riduzione di trasferimenti a Regioni ed Enti locali per circa 4,4 miliardi di euro e dei finanziamenti per la spesa sanitaria per circa 3 miliardi di euro rischia di determinare ulteriori incrementi di pressione fiscale. E ciò per il “combinato disposto� del passaggio dal principio rigido dei tetti di spesa a quello del perseguimento del saldo/obiettivo, con la possibilità di maggiori margini di manovra sul versante delle addizionali, con il debutto dell’imposta di scopo per la

 

realizzazione di opere pubbliche e con la riproposizione del contributo di ingresso e soggiorno, che colpisce fortemente il sistema dell’offerta turistica del nostro Paese, in una fase in cui, invece, resta fondamentale sostenerne la capacità competitiva. Di tale contributo, chiediamo dunque con forza la soppressione.

 

Insomma, nell’attesa di un federalismo fiscale ancora tutto da costruire, addizionali, imposte e tributi locali crescono all’interno di un disegno che continua a non affrontare con la necessaria determinazione né il tema della crescita della produttività della funzione pubblica, né quello del contenimento e della riduzione della spesa pubblica.

 

Anzi, pur in assenza di misure strutturali per la crescita di produttività della funzione pubblica, si procede, con il disegno di legge finanziaria per il 2007, a robusti stanziamenti aggiuntivi â€" circa 1 miliardo di euro nel 2007, circa 3 miliardi di euro nel 2008 -  per i rinnovi contrattuali 2006-2007 dei dipendenti delle Amministrazioni statali, tali da consentire un incremento a regime del 4,46%, largamente superiore all’inflazione programmata del biennio.

 

Alla luce di questo scenario e pur tenendo conto di minori entrate fiscali previste per circa 5,5 miliardi di euro, di cui circa 2,5 miliardi di euro di minor IRAP per la riduzione del cuneo fiscale e contributivo, ma assumendo, contemporaneamente, che vi sia un ricorso alla leva fiscale da parte di Regioni ed Enti locali per circa la metà dei 7,4 miliardi di euro di ridotti trasferimenti, il totale del maggior carico fiscale e contributivo richiesto al Paese assommerà a circa 20,5 miliardi di euro, cioè circa l’1,3 % del PIL.

 

Si tornerà così largamente oltre il 42% del PIL, il dato più alto dal 1997.

 

 

La spesa previdenziale e la “controriforma� del Tfr

 

A fronte di un tale ricorso a maggiori entrate, francamente non si ravvisano nel provvedimento scelte strutturali di riduzione della spesa pubblica. Le scelte in materia previdenziale sono state rinviate. E sono state rinviate sulla scorta di un memorandum d’intesa tra Governo e Sindacati, al quale si sono accompagnate misure di aumento della contribuzione previdenziale a carico delle gestioni del lavoro autonomo per circa 1,3 miliardi di euro nel 2007, dei lavoratori parasubordinati per analogo importo, degli apprendisti per 1,1 miliardi di euro, dei lavoratori dipendenti per circa 900 milioni di euro.

 

Sono misure che stigmatizziamo, tanto per ragioni di metodo, quanto per ragioni di merito.

 

Per ragioni di metodo, perché se una scelta vi è stata, essa è stata quella del sottrarsi da parte del Governo al confronto con le Organizzazioni di rappresentanza del lavoro autonomo. Quasi che â€" e con ciò veniamo al merito della vicenda â€" si temesse il confronto con una realtà, come quella della gestione INPS del commercio, caratterizzata da un solido attivo patrimoniale, nell’ordine dei 7 miliardi di euro, da un andamento positivo del rapporto attivi/pensionati e da un’aliquota contributiva formalmente del 17,99%, cui occorreva però sommare 2 punti impliciti di maggiore contribuzione derivanti dal maggior minimale contributivo e dai ridotti trasferimenti a carico dello Stato per spese assistenziali.

 

Quanto all’aumento della contribuzione per gli apprendisti, si colpisce, in questo modo, l’unico strumento rimasto di ingresso agevolato nel mercato del lavoro, accompagnato dalla formazione. Per il solo settore terziario, è possibile stimare una crescita conseguente del costo del lavoro intorno ai 350 milioni di euro.

 

Per tali ragioni, le scelte fatte, sia per l’aumento della contribuzione pensionistica dei commercianti che per quella degli apprendisti, andranno radicalmente riviste, affrontando tali questioni nel contesto di un più generale confronto sulle prospettive del sistema previdenziale pubblico, che tenga conto, in particolare, dell’esigenza di una robusta previdenza integrativa anche per il lavoro autonomo.

 

L’unica “controriforma� fatta, in materia di previdenza,  è stata quella del conferimento presso l’istituendo Fondo INPS del 50%  dei flussi maturandi del TFR inoptato dai lavoratori, stimati per circa 6 miliardi di euro nel 2007. Si tratta di un’operazione inaccettabile: inaccettabile dal punto di vista contabile, poiché i suoi benefici di breve sul disavanzo cozzano con l’accrescimento sostanziale del debito contratto nei confronti dei lavoratori; esiziale, poi e soprattutto, rispetto al decollo della previdenza integrativa nel nostro Paese, perché l’anticipo di un anno dell’operazione di smobilizzo del TFR coglie di sorpresa tanto i lavoratori, quanto le imprese e rende cointeressato lo Stato ad una più limitata destinazione dei flussi del TFR alla previdenza integrativa; inaccettabile, ancora, per il suo impatto nei confronti delle imprese, perché il repentino smobilizzo del TFR avviene in un quadro di ancora incompiuta e validata definizione delle misure compensative degli oneri finanziari dell’operazione  e con la soppressione, al comma 10 dell’art. 84, del Fondo di garanzia per l’accesso al credito, le cui funzioni dovrebbero ora essere assunte dall’istituendo Fondo per la finanza d’impresa, di cui al comma 7 dell’art. 104.

 

Il tutto, come è noto, “per favorire l’accumulazione di capitale pubblico�. Ma con un’esplicito interrogativo, al comma 7 del già citato art. 84,  circa la valutazione contabile del Fondo da parte delle autorità comunitarie, che porta ad accantonare, in attesa del loro giudizio, i circa 5 miliardi di euro destinati a dotare il fondo per la competitività e quello per la ricerca, le imprese pubbliche e l’autotrasporto, l’alta velocità e le ferrovie, il rifinanziamento di varie spese di investimento.

 

Per l’insieme delle ragioni fin qui cennate, chiediamo che la “controriforma� del TFR venga cancellata.

 

 

La riduzione del cuneo fiscale e contributivo

 

La nuova  deduzione dalla base imponibile dell’IRAP  di euro 5.000, che raddoppiano nelle regioni del Mezzogiorno, per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato conferma un’impostazione che non tiene conto delle caratteristiche strutturali della flessibilità in settori caratterizzati da un andamento delle attività per ciclo stagionale â€" tipicamente, il turismo â€" o per picchi di attività, tipicamente la distribuzione commerciale, ma non solo.

 

Per quel che riguarda le piccole imprese, esse riceveranno ovviamente  un minor beneficio in ragione del limitatissimo numero di addetti per ciascuna unità d’impresa.  Secondo i più recenti dati ISTAT, le imprese con meno di 10 addetti sono nel nostro Paese oltre 4 milioni su un totale di 4,3 milioni. Nella classe dimensionale con un solo addetto, sono ricompresi 2,5 milioni di imprese; nella classe da 2 a 5 addetti, rientrano circa 1,3 milioni di imprese, con un numero medio di dipendenti addetti pari a circa 1. Il beneficio dell’operazione si concentrerà, dunque, su una platea di circa 500.000 imprese.

 

Inoltre, poiché le nuove deduzioni risultano alternative alle forme di deduzione  attualmente previste (8.000 euro di franchigia e 2.000 euro per ciascun addetto, a tempo indeterminato e non, fino alla soglia massima di 5 addetti, per le imprese con ricavi fino a 180.000 euro circa), si potrebbe giungere, in taluni casi, ad un paradossale effetto di disincentivazione della trasformazione di contratti a termine in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

 

Occorrerà, dunque, intervenire per sanare tale effetto. Contestualmente, riproponiamo l’ipotesi di costruzione di un’ampia “no-IRAP area�, perseguibile attraverso il raddoppio dell’attuale franchigia, che consentirebbe di escludere da tale imposta circa tre milioni di soggetti. 

 

Merita inoltre di essere segnalato -  anche ai fini della valutazione degli effetti compensativi, a vantaggio  delle imprese, delle misure di  riduzione del cuneo rispetto alla crescita di oneri fiscali, contributivi  e di altra natura posti a loro carico dal complesso della manovra, con particolare riferimento al conferimento del TFR all’INPS â€" che, in termini di riduzione di gettito IRAP, l’intervento sul cuneo è stato cifrato, per il 2007, in 2,45 miliardi di euro, che salirebbero a 4,41 nel 2008 e a 4,68 nel 2009.

 

 

Le nuove aliquote IRPEF

 

Larga parte degli intenti socialmente redistributivi della manovra è stata perseguita attraverso una nuova struttura degli scaglioni delle aliquote IRPEF, che denota un’eccessiva fiducia nella capacità della leva fiscale ad agire a questi fini. Soprattutto in un Paese come il nostro, caratterizzato tanto da una rilevante quota di ricchezza sottratta al prelievo fiscale, quanto da un tasso di partecipazione al mercato del lavoro

pari a circa il 63%: 7 punti in meno dell’area euro. Tasso che precipita addirittura al 38% per le donne del Mezzogiorno. Con la conseguenza, dunque, che tanto rispetto alla ricchezza in “nero�, quanto rispetto alla popolazione non occupata e senza redditi da lavoro, la leva fiscale risulta redistributivamente inefficace.

 

In ogni caso, le schede tecniche che accompagnano l’articolato certificano che, pur a fronte di una maggior spesa per assegni familiari di 1,4 miliardi di euro e per detrazioni di 1,6 miliardi di euro, la nuova struttura delle aliquote IRPEF produrrà un maggior gettito di circa 430 milioni di euro, poiché la nuova normativa “nonostante l’innalzamento dei livelli di esenzione per i redditi da lavoro, produce un incremento del reddito imponibile, a seguito della trasformazione delle deduzioni in detrazioni (in particolare carichi familiari). Ne consegue un incremento del gettito delle addizionali all’IRPEF (sia regionale che comunale)…�.

 

Tra le pieghe del decreto fiscale, è stato poi previsto un “camuffato� ritorno della tassa di successione, sotto le forme di imposte dovute per volture eseguite per trasferimenti mortis causa.

 

Quanto alle persone fisiche titolari di reddito d’impresa, il risultato è che, nella fascia  tra i 35.000 ed i 65.000 euro, l’aliquota marginale complessiva di prelievo (IRPEF, IRAP, addizionali, contributi previdenziali) sfiora il 58%. A seguito della nuova curva delle aliquote,  il picco marginale di prelievo viene anticipato da 40.000 a 35.000 euro circa. E’ poi  portato a ridosso del 50% il prelievo marginale sia sui redditi minori, già intorno ai 20.000 euro, sia sui redditi maggiori del tetto contributivo previdenziale.

 

Ne risulta rafforzata, a nostro avviso, la necessità della contestualità tra le azioni di riduzione della spesa pubblica,  di contrasto e recupero dell’evasione e dell’elusione fiscale e di riduzione della pressione fiscale. La scelta, invece, di una politica dei due tempi â€" prima, il tempo del recupero dell’evasione e dell’elusione e/o dell’innalzamento della pressione fiscale complessiva e, poi, il tempo della riduzione delle aliquote â€" non solo genera effetti controproducenti sulla crescita complessiva e non forza il processo di riduzione della spesa pubblica, ma non agevola neppure l’emersione di base imponibile.

 

 

Studi di settore, controlli e sanzioni

 

Quanto alle misure concernenti gli studi di settore, ribadiamo con determinazione il nostro interesse ad un loro progressivo  affinamento, alla loro sempre maggiore selettività. Alla loro capacità, cioè, di cogliere puntualmente le differenziazioni tra i diversi cluster d’impresa sia sul versante dei ricavi, che su quello dei costi, nonché di registrare tempestivamente le variazioni dell’andamento congiunturale dei mercati e le differenziazioni territoriali dei mercati medesimi.

 

Ma, con analoga determinazione, riteniamo profondamente erronea ogni ipotesi di revisione degli studi sviluppata in riferimento a dati di contabilità nazionale che, per le loro caratteristiche di stima sintetica, non sono oggettivamente applicabili alla metodologia degli studi e che, lungi dal mantenerla, falserebbero, nel medio periodo, la loro rappresentatività rispetto alla realtà economica cui si riferiscono, facendola piuttosto virare in direzione di “automatismi�, che minerebbero il diritto/dovere di ogni contribuente ad essere tassato sulla base del suo reddito reale.

 

Così come va mantenuto fermo il riconoscimento del fatto che l’azione di accertamento non possa essere basata solo sui risultati degli studi di settore, senza la necessità di alcun riscontro diretto, secondo quanto, del resto, più volte confermato in sede giurisprudenziale.

 

E, ancora, se già l’elaborazione di indicatori di coerenza a regime non può non suscitare allarme, rispetto alla capacità selettiva degli studi, per il suo generico riferimento “a comportamenti considerati normali per il relativo settore economico�, del tutto inaccettabile risulta, poi, la previsione di “indicatori di normalità economica�, definiti in autonomia dall’amministrazione finanziaria e destinati ad essere retroattivamente applicati sugli studi già vigenti per il 2006.

 

Si viola, così ed ancora una volta, non solo lo Statuto del contribuente, ma anche quel principio di confronto e di collaborazione tra categorie economiche e amministrazione finanziaria, che costituisce la filosofia di riferimento del Patto istitutivo degli studi.

 

Si è scelto, invece, di agire senza attendere gli esiti di un confronto ancora in corso e cifrando, intanto e ad ogni buon conto, gli effetti di maggior cassa attesi dagli interventi sugli studi di settore in circa 3,3 miliardi di euro per il 2007, 3,8 per il 2008, 4,9 per il 2009.

 

Il tutto â€" entro e oltre il perimetro degli studi â€" si accompagna ad una filosofia generale di forte inasprimento di controlli e sanzioni. Entro il perimetro degli studi â€" giusto per fare qualche esempio â€" con la sanzione da 500 a 1.500 euro in caso di omessa, infedele o incompleta indicazione dei dati degli studi medesimi, anche se tutto ciò non abbia inciso sulla determinazione dell’imponibile. Oltre il perimetro degli studi, avevamo già registrato, con il decreto di giugno, il ritorno di vecchi obblighi, come quello della tenuta ai fini IVA dell’elenco clienti/fornitori, e il debutto di nuovi obblighi, come quello della trasmissione telematica dell’elenco dei corrispettivi.

 

Con il decreto fiscale contestuale al disegno di legge finanziaria, si registra un nuovo picco sanzionatorio: la previsione dell’applicazione della sospensione della licenza o dell’autorizzazione (da 15 giorni a 2 mesi) a fronte di una sola violazione accertata dell’obbligo di emettere la ricevuta o lo scontrino fiscale.

 

Controlli e sanzioni certamente servono. Ma è un terreno rispetto al quale è a tutti utile procedere con ragionevolezza e con senso della misura. Nel rispetto della privacy del contribuente, come ha sottolineato anche l’Autorità garante in materia, e con una doverosa gradualità nelle sanzioni.

 

Ne deriviamo, dunque e intanto, la necessità di ripristinare la previgente disposizione che comminava la sanzione della sospensione dell’attività nel caso di tre accertate violazioni dell’obbligo di emettere lo scontrino, nell’arco di un quinquennio.

 

 

Le politiche per lo sviluppo

 

Sul terreno delle politiche per lo sviluppo, si segnala l’anticipo, nel corpo dell’articolato della finanziaria, di una parte rilevante del provvedimento predisposto dal Ministro Bersani sotto il titolo “Industria 2015� e che, nel suo insieme, ha l’ambizione di segnalare nuove linee strategiche per la competitività e lo sviluppo e di riordinare fondi e strumenti a sostegno di tali obiettivi.

 

In questa sede, ci limitiamo ad una considerazione generale, ma fondamentale. Scorrendo il testo, non sembra che sia stata sciolta l’ambiguità tra l’accezione stretta di politica industriale come politica riservata al solo settore industriale e l’accezione ampia riferita all’insieme dei settori produttivi. Anzi, tutto sommato appare indubbio che l’attenzione batta sui problemi dell’apparato manifatturiero del Paese, così come accade con il nuovo credito d’imposta per il Mezzogiorno.

 

Peccato, però, che, così facendo, si continui a sottovalutare il contributo che potrebbe venire dall’incremento di produttività dell’economia dei servizi, attraverso la leva dell’innovazione, ai fini di una crescita più veloce del Paese.

 

E’ apprezzabile l’attenzione riservata al sistema portuale, in particolare  con lo  sblocco dei limiti del 2% alla spesa delle Autorita’ Portuali, al piano per lo sviluppo degli hub portuali di rilevanza nazionale e alle relative risorse per interventi di sostegno.

 

Ci auguriamo, inoltre,  che nell’ambito della legge 84/94  per il settore si affronti anche la questione delle rappresentanze del sistema terziario all’interno del consiglio delle Autorita’ portuali.

 

Quanto al Mezzogiorno, il Fondo per lo sviluppo delle aree sottoutilizzate viene, intanto, rifinanziato, per il 2007, con soli 100 milioni di euro e per analogo importo, nel 2008. Stanziamento che dovrebbe crescere, poi, a 5 miliardi di euro nel 2009 e a 58 miliardi entro il 2015. Scelte davvero spostate troppo in là rispetto alle emergenze e alle urgenze del Mezzogiorno. Mentre contestualmente debutta il Fondo per il finanziamento delle zone franche urbane, in aree e quartieri degradati delle città del Mezzogiorno, con una dotazione di 50 milioni di euro negli anni 2008 e 2009.

 

 

Conclusioni

 

La crescita lenta resta il problema di fondo del nostro Paese. E, francamente, questa legge finanziaria non sembra fare molto per accelerarla. Il che appare tanto più grave in considerazione del fatto che siamo di fronte ad una manovra di quasi 35 miliardi di euro, di cui 19,7  apparentemente destinati al sostegno della crescita e dello sviluppo.

 

Del resto, è la stessa Relazione Previsionale e Programmatica ad attestare che, nel 2007, l’incremento del PIL sarà dell’1,3% In rallentamento, dunque, rispetto all’1,6-1,7% di quest’anno e lontano dalla media dell’eurozona, al di sopra del 2%.

 

Resterà fiacca la domanda interna, con un contributo alla crescita intorno all’1,1%, derivando il rimanente 0,2% dalle esportazioni nette. Fiacchi anche i consumi delle famiglie, con un tasso di incremento dell’1,2%.  Gli investimenti fissi lordi, con una dinamica del 2,3%, appaiono insufficienti a risolvere il nodo del basso livello di produttività.

 

Né le cose sembrano migliorare nell’orizzonte previsionale di medio termine (2008/2011), in cui si susseguono manovre di aggiustamento dei conti pubblici nell’ordine dei 40 e più miliardi di euro all’anno, con una crescita media annua del prodotto di circa l’1,6%.

E’ necessario, dunque, cambiare profondamente questa legge finanziaria. E’ necessario per il Paese nel suo insieme. E, a questo scopo, ci auguriamo davvero che, in Parlamento, ampi settori della maggioranza e dell’opposizione possano convergere.

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