2) L'intervento del direttore generale Francesco Rivolta

2) L'intervento del direttore generale Francesco Rivolta

DateFormat

20 ottobre 2011
Macro Carrier


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LA BILATERALITA’ NEL TERZIARIO:

UN MODELLO DI RESPONSABILITA’

CONDIVISE PER UNA NUOVA STAGIONE DI CRESCITA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Intervento del Direttore Generale

Francesco Rivolta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    Roma, 20 ottobre 2011

 

 

 
 

 

 

 

 


“Condividere per crescere.”

In questo slogan sta l’essenza del nostro pensiero e l’obiettivo di questa giornata di lavori.

Questa mattina all’apertura dei lavori ho voluto sottolineare la necessità di riacquistare ed accrescere la fiducia dei cittadini, indispensabile per la ripresa del Paese.

Il nostro Presidente ci ha indicato la direzione: crescita, lungimiranza visione del futuro.

Il Ministro del Lavoro ci ha portato alcune suggestioni che hanno caratterizzato il senso del suo pensiero con il quale più volte ci siamo confrontati, condividendone l’impostazione di fondo.

E’ su questi punti che vorrei partire per contribuire a delineare una “ Proposta per il Paese”.

Gli interventi che mi hanno preceduto ci hanno fornito un quadro chiaro del punto di partenza:

a-                la contrattazione, il welfare contrattuale e la bilateralità nel terziario di mercato che, come emerso nei lavori della mattina, si sono sempre distinti dalle realtà degli altri settori per la “ concretezza” che li ha accompagnati;

b-                le esperienze europee in materia di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori ci forniscono alcuni interessanti spunti di riflessione;

c-                e gli interventi dei senatori Treu e Castro che hanno individuato i ritardi, i vincoli del nostro Paese, ma anche alcuni possibili spazi di intervento.

La crisi ha tolto molto ed ha messo in difficoltà tutti quanti. I nostri imprenditori che con fatica stanno facendo fronte a quanto accaduto, i loro collaboratori che di riflesso vedono ridotto il loro potere di acquisto.

Il primo rischio che non dobbiamo correre è di pensare di sostituirci alla politica nell’individuare soluzioni che devono trovare sintesi tra i diversi interessi in campo.

Siamo sindacati e rappresentiamo interessi precisi. Il nostro compito è fare proposte.

La sintesi spetta alla politica.

Ovviamente ciascuno di noi deve avere sempre in testa gli interessi generali del Paese.

Ma ciascuno di noi rappresenta i propri associati, le loro esigenze, le loro aspettative.

Noi rappresentiamo le aspettative di circa 2.500.000 di aziende che impiegano circa 8.000.000 di persone.

Abbiamo i titoli, forse maggiori di altri, a rappresentare questa importante parte del Paese e di contribuire alla discussione in atto su come affrontare la crisi e sul futuro degli strumenti e delle risorse che potrebbero contribuire a consolidare la convivenza civile, i sistemi di protezione sociale, ma anche la cultura che deve supportare i pilastri fondamentali su cui si fonda la nostra comunità nazionale.

D’altronde è ciò che abbiamo sempre fatto e che continueremo a fare. Ma dobbiamo continuare a farlo con un’ottica più ampia, ancora più lungimirante e tesa al mantenimento della coesione sociale.

Quali condizioni sono necessarie affinchè il nostro sistema possa costruire un contributo e individuare una proposta per il Paese?

E’ necessario o no riflettere sull’importanza di un Welfare contrattuale che accompagni il Welfare pubblico?

E’ necessario o no trovare equilibri tra ruoli e livelli della contrattazione?

E’ necessario o no modernizzare il sistema delle relazioni sindacali del nostro Paese scegliendo modelli praticabili che tengano conto del contesto economico e della sua variabilità?

Noi crediamo che sia arrivato il momento di affrontare in modo organico questi argomenti, prima che sia troppo tardi.

E con questo intendo prima che la situazione economica ci costringa ad importare modelli che rischiano di marginalizzare le nostre peculiarità e lacerino inevitabilmente il tessuto sociale.

Non abbiamo molto tempo a disposizione e non possiamo inventare soluzioni che non tengano conto dei soggetti in campo, delle loro visioni e degli interessi che rappresentano.

L’attuale assetto economico, il tessuto produttivo che regna in questa epoca è caratterizzato da due elementi che spesso non sono presi in debita considerazione.

1-               La varietà. Intesa sia come differenziazione, cioè come incremento della complessità del sistema-società, sia come diversificazione con la quale si intende individuare una crescita basata su nuovi mercati e nuovi prodotti;

 

2-               La variabilità, intesa come tendenza di cambiamento nel tempo.

Un cambiamento che diventa sempre più veloce e che determina l’indeterminazione, ossia l’incertezza.

In fondo perché è fallito il tentativo in agosto di presentarci al confronto con il Governo con una proposta complessiva e dettagliata di tutte le parti sociali?

Io credo sia proprio per questo. In un Paese democratico alle Parti Sociali spetta la tutela dei propri interessi e la capacità di individuare proposte.

È  la politica che deve operare sintesi.

Se questo viene meno il cortocircuito è garantito!!

Noi viviamo una situazione assolutamente straordinaria dove ai problemi della crisi globale, che condividiamo con il resto del mondo occidentale, si sommano i nostri ritardi e le nostre specificità.

Affrontarle non sarà semplice perché dietro ad esse si sono consolidate rendite di posizione, privilegi ma anche un’economia di sussistenza che si è allargata in modo esponenziale.

Rimettere al centro il Paese ed il suo futuro significa procedere con gradualità e consapevolezza perché altrimenti il rischio di trovarsi in una situazione peggiore di quella che si vorrebbe risolvere, è molto forte.

Per questo noi dobbiamo partire dai nostri punti di forza: la famiglia, la comunità, la nostra capacità di fare impresa, riaffermando il ruolo che le grandi organizzazioni di mediazione sociali possono avere nella tenuta della coesione nazionale.

Se non partiamo da quelli che sono i nostri punti di forza il rischio che ciascuno ripieghi nella difesa dei propri interessi o delle proprie prerogative è molto forte.

In questo caso però non vincerebbe nessuno!

Lo sforzo che siamo tutti chiamati a compiere è quello di decidere se vogliamo costruire una società affidata ai rapporti di forza e trasformata in una giungla dove vince chi trova gli espedienti e le modalità di galleggiamento, oppure, al contrario, se vogliamo contribuire a creare una situazione, dove è possibile trovare l’equilibrio necessario per riformare il Paese, uscire da questa situazione e continuare a restare a testa alta in Europa.

Per questo noi dovremmo continuare sulla via già percorsa, quella della fiducia reciproca, della lungimiranza che ci caratterizza da sempre. Ma perché la bilateralità si possa sviluppare in un’ottica di cooperazione e, perché no, di corresponsabilizzazione, è necessario un cambiamento culturale affinché si possa scrivere una pagina nuova del capitolo del welfare che ha una storia consolidata di buone pratiche, di istituzioni e attori sociali.

Le istituzioni locali bilaterali potrebbero, con risorse pubbliche e collettive, assumersi il compito di gestire l'asimmetria sul mercato raccogliendo la sfida della flessibilità.

I compiti ulteriori – rispetto a quelli già assunti in termini più specifici di welfare contrattuale (previdenza, sanità, formazione) - di queste istituzioni bilaterali potrebbero riguardare:

 

Ø                  gestione dei servizi di informazione, orientamento, consulenza e assistenza alla mobilità in ingresso e in uscita;

Ø                  incontro tra domanda e offerta di lavoro;

Ø                  formazione professionale iniziale e continua con gestione sia dei fondi per la formazione dei lavoratori dipendenti e di quelli atipici, sia dell'accesso ai fondi pubblici e comunitari;

Ø                  interazione tra sistema produttivo e sistema educativo e formativo (fabbisogni, concertazione dei curricula, certificazione e crediti, ecc.);

Ø                  sostegno all'integrazione degli extracomunitari (incentivi alla mobilità interregionale, accesso ai servizi sociali per le famiglie, interventi per la casa, ecc.);

Ø                  strumenti assicurativi individuali e collettivi per tutelare i lavoratori atipici sul piano professionale, previdenziale e sanitario;

Ø                  gestione degli ammortizzatori sociali (Cassa integrazione, indennità di mobilità, interventi ad personam, procedure di outplacement, ecc.);

Ø                  gestione delle politiche e delle risorse per l'emersione delle imprese e per la regolarizzazione del lavoro nero.

 

Infine, gli Enti bilaterali potrebbero affrontare, nella loro funzione di intermediari di informazioni strategiche, due esigenze: riqualificazione continua del lavoro e misure di sostegno all'aggiustamento competitivo e alla mobilità del lavoro, in funzione di una più forte riqualificazione continua dei lavoratori e degli stessi imprenditori.

Ma per raggiungere questi obiettivi, sarà necessario che anche il legislatore si impegni a colmare lacune ormai non più giustificabili in termini di chiarezza interpretativa rispetto a ruoli e funzioni assegnati alla bilateralità, ad esempio rendendo coerente con le agevolazioni concesse alle associazioni sindacali il trattamento fiscale degli enti bilaterali al fine di sostenere l’effettivo e duraturo decollo degli Enti.

Infatti, l'assimilazione, sotto il profilo fiscale di tali Enti con gli organismi sindacali appare evidente considerando le loro finalità istituzionali che non presentano alcun profilo di commercialità. 

Sarebbe poi auspicabile che il ripensamento del sistema complessivo fosse anche accompagnato da un ridisegno del sistema fiscale, perché le Istituzioni non possono ignorare questo impegno di cui le parti sociali si potrebbero fare carico.

Infine per concludere, stante il legame diretto tra bilateralità e contrattazione, il processo riformatore potrà trovare la sua coerenza in quanto inserito nell’impianto di riforma degli Assetti Contrattuali del Gennaio 2009 che riteniamo tuttora valido, benché non sottoscritto da tutti gli attori sociali, ma che contiene i presupposti dell’avvicinamento che ha portato all’accordo del 28 giugno e che può trovare un ulteriore sviluppo nel comparto che rappresentiamo.

Dobbiamo continuare su questa strada. Ma possiamo anche individuarne di ulteriori.

Come ad esempio il coinvolgimento dei dipendenti sull’andamento economico, lo sviluppo della produttività e competitività aziendale.

Ciò potrebbe avvenire, attraverso la definizione di un sistema simile a quello degli ESOP  oppure ricorrendo al concetto di Coinvolgimento dei dipendenti che ci può consentire di trovare un anello di congiunzione tra la dimensione economica e quella sociale dell’impresa  proiettata a preservare scelte come quella dello sviluppo sostenibile. 

La nostra è una realtà fortemente eterogenea e di conseguenza non è facile individuare un modello unitario- di qualsiasi tipologia sia- di coinvolgimento. Ecco perché il pensiero va al filone della Responsabilità sociale. 

In questo modo possiamo cominciare a delineare il Paese che vorremmo. Un Paese normale dove i valori come il merito, la libertà di impresa e l’integrazione, non significano individualismo e creazione di una società darwiniana dove il più forte sopravvive a spese del più debole.

Ma un Paese dove il rispetto dell’altro, il superamento della cultura antagonista  e l’accettazione dell’impresa quale luogo dove le parti sono impegnate a creare una ricchezza utile anche alla crescita del Paese, diventano gli elementi caratterizzanti.

Questo è possibile sole se condivideremo alcune scelte di fondo, improntando la nostra azione alla condivisione di responsabilità soprattutto in questo momento di grande difficoltà del nostro Paese.

Noi ci sentiamo di scommettere su questa ipotesi sia perché veniamo da un lungo cammino, iniziato nel 1946 e via via consolidatosi nel tempo, sia perché la riteniamo una strada senza alternative.

Speriamo che questa convinzione non sia soltanto nostra.

Per questo noi reagiamo proponendo, rifiutando sia lo scarica barile sia il giocare in difesa.

Per questo noi pensiamo che solo facendo, ognuno di noi la propria parte riusciremo a dare un contributo al futuro di questo Paese.

Grazie

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca