Caso Parmalat, il passaporto diplomatico di chi sa fare contabilità creativa

Caso Parmalat, il passaporto diplomatico di chi sa fare contabilità creativa

"Parmalat era il settimo o ottavo gruppo industriale del Paese e visto che le banche straniere erano assai più esposte di quelle italiane, se il gotha delle banche straniere ha ritenuto che Parmalat meritasse fidi così alti, tanto più potevano farlo...

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15 gennaio 2004
Il punto quotidiano

…le banche italiane. La verità è che noi siamo stati ingannati perché i dati che ci sono stati forniti erano totalmente da contabilità creativa”. E con queste parole che il presidente dell’Abi, Sella sintetizza la linea di difesa che il sistema bancario italiano intenderà probabilmente assumere quando il caso Parmalat approderà anche in Parlamento con l’apertura di una vera e propria indagine che dovrebbe concludersi, a differenza di altre similari iniziative assunte dal sistema bicamerale nel corso degli ultimi vent’anni, a stretto giro di posta cioè entro la fine del prossimo mese di febbraio. I nostri istituti di credito si sono insomma fidati, sostiene l’associazione che li rappresenta, perché altri istituti più grandi ed autorevoli dei nostri non avevano espresso sul gruppo Tanzi & figli sospetti, dubbi, perplessità di alcun genere. Frodati gli uni e frodati anche gli altri. Ma può davvero reggere una simile tesi difensiva? A regola di bazzica forse sì perché, anche se parlano lingue diverse e operano in contesti finanziari ed economici che hanno spesso tra loro poco a che spartire, gli istituti bancari sono ormai da tempo, Svizzera a parte, quasi un’unica e grande famiglia. L’informatizzazione di tutto il sistema bancario fa sì che, almeno sulle operazioni di maggiore rilevanza (emissione di bond, apertura di linee di credito, portafoglio dei grandi clienti, ecc.) valga, in qualche modo, il principio dei vasi comunicanti per cui è difficile che Roma non riesca a sapere, se vuole, quel che fa Berlino o New York e viceversa. Ma, passando dalla teoria alla pratica, c’è qualcosa, in questo ragionamento, che non appare del tutto convincente. Può darsi benissimo che, a qualche migliaio di chilometri di distanza, il continuo e crescente cicaleccio sulle sempre più strane operazioni di contabilità creativa portate a termine dal rag. Tanzi, non venisse avvertito e soppesato nel giusto modo, ma è possibile che i sempre più ricorrenti rumors o boatos sulle vicende Parmalat non venissero, invece, avvertite da quegli istituti che di Tanzi erano addirittura vicini di casa? Mai sentito un rumore di piatti rotti? Mai avvertito un segnale di operazioni talmente sconnesse e sconclusionate da far saltare sulla sedia anche la più mite e tranquilla delle massaie? Se oggi un piccolo imprenditore si presenta allo sportello di un istituto bancario per accendere un prestito, i funzionari della banca, prima di aprire i cordoni della borsa, lo rivoltano come un pedalino e lo subissano di richieste di garanzie di ogni genere. E’ come se lo sottoponessero ad una Tac o ad una risonanza magnetica e, difatti, il verdetto della banca, in buona parte dei casi, considerando troppo elevato il rischio, è, nei confronti di questo imprenditore, negativo. Tanzi, a quanto pare, disponeva, invece, di una specie di passaporto diplomatico, uno di quelli che ti permettono di passare qualsiasi tipo di controllo o di dogana senza che nessuno si permetta di chiederti alcunché o di aprire il tuo bagaglio. La verità è che chi falsifica un biglietto da dieci euro ha subito tutti gli occhi addosso, ma chi ne fabbrica per miliardi e miliardi in banconote da grosso taglio, falsifica bilanci a trenta cifre e viaggia sul jet privato può benissimo farla franca. La storia delle grandi truffe è piena di simili esempi. Ma c’è un dettaglio non trascurabile: Tanzi faceva questo genere di operazioni non da qualche mese ma da quasi quindici anni con estrema disinvoltura e sotto gli occhi di tutti. Possibile che nessuno si sia accorto mai di niente?  

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