Il "melting pot" della ristorazione italiana

Il "melting pot" della ristorazione italiana

Indagine Fipe sulle imprese della ristorazione gestite dagli immigrati in Italia. Oltre 38mila le imprese del settore gestite da immigrati. Le maggiori presenze in Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte.

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10 maggio 2011

Sono 628.221 gli imprenditori stranieri attivi in Italia, con un aumento di 29mila unità nel 2010, in prevalenza marocchini (nel commercio), cinesi (nella manifattura e nel commercio) e rumeni (nell'edilizia). La ristorazione rappresenta una buona opportunità per gli immigrati che intendono avviare un'impresa nel nostro Paese. Un titolare su dieci è, infatti, straniero e sono già oltre 38mila le imprese del settore gestite da immigrati (13,8% ristoranti e 10,2% bar). Si concentrano soprattutto al Nord, con il primato della Lombardia (8.370 imprese straniere) seguita a distanza da Lazio (4.167), Veneto (4.076), Emilia Romagna (4.064), Piemonte (3.230) e Toscana (2.641). In queste sei regioni risiedono, dunque, i tre quarti delle imprese straniere attive nella ristorazione nel nostro Paese. Oltre 2mila e 500 i ristoranti etnici, dove a far la parte del leone è la cucina cinese (75% del totale delle imprese attive per questa tipologia di ristoranti), che prevale di gran lunga su quella giapponese (9,3%), africana (3,2%), brasiliana (2,8%) e messicana (2%). Questi i principali risultati di un'indagine della Fipe-Confcommercio sulle imprese della ristorazione gestite dagli immigrati in Italia. Per il direttore generale della Fipe-Confcommercio, Edi Sommariva, "i segnali che giungono dalla demografia imprenditoriale e dal mercato spingono a prevedere un irrobustimento della presenza degli stranieri nel settore. Un fenomeno che può essere interpretato, tra l'altro, anche come la spia della perdita di appeal del mondo della ristorazione per gli imprenditori di casa nostra per effetto sia delle crescenti difficoltà di mercato che degli ingenti carichi di impegno e di lavoro che queste attività richiedono: si lavora, infatti, anche la domenica, a Natale, a Pasqua, d'estate e nelle ore notturne. Nascono, dunque, interrogativi nuovi sulla tenuta del modello italiano di ristorazione e, più in generale, su quello dell'ospitalità in considerazione del ruolo che l'enogastronomia esercita nel turismo. Interrogativi e sfide importanti che richiedono, pertanto, misure adeguate se vogliamo mantenere un modello d'offerta che il mondo ci invidia".

Immigrati e lavoro autonomo
Il lavoro autonomo degli immigrati costituisce una componente importante dell'occupazione straniera nei Paesi di immigrazione, rappresentando in molti casi il principale canale per tentare percorsi di mobilità professionale e sociale. Non si può trascurare, infatti, che spesso il fare impresa dei cittadini stranieri si colloca nel più generale quadro di inserimento nel mercato del lavoro da parte degli immigrati.
Sono diverse le ragioni spingono gli immigrati ad intraprendere la via del lavoro autonomo. Sul versante dell'offerta agiscono motivazioni di tipo culturale quali l'indipendenza, il rischio, l'etica del lavoro impegnativo. Dal lato della domanda, invece, contano le connessioni tra imprenditoria immigrata e sistemi economici dei Paesi ospitanti in termini di struttura produttiva e opportunità di mercato. Sotto questo profilo l'Italia è terreno fertile sia per la netta prevalenza di imprese piccole, se non addirittura micro, sia per una struttura produttiva nella quale alcune specializzazioni, come costruzioni e commercio, ben si prestano allo sviluppo di una imprenditorialità diffusa non soltanto italiana ma anche di origine straniera. Anzi in alcuni segmenti del commercio e nelle piccole imprese edili la pressione dell'imprenditoria straniera è così forte da generare il progressivo "ritiro" di quella autoctona.

Le imprese della ristorazione gestite dagli immigrati
La ristorazione rappresenta una buona opportunità per gli immigrati che intendono avviare un'impresa nel nostro Paese. Oggi le imprese del settore gestite da stranieri sono oltre 38mila, pari al 12,1% del totale (tab. 1). Gli imprenditori stranieri sono presenti soprattutto nei ristoranti con una quota pari al 13,8%. Il canale bar rappresenta un format di più recente scoperta da parte degli stranieri (10,2% sul totale delle imprese attive nel settore). In effetti è soltanto negli ultimi anni che gli immigrati, soprattutto cinesi, aprono bar nelle maggiori città del Centro-Nord a testimonianza del fatto che è oramai superata la barriera psicologica data dalla specificità tutta italiana di questa tipologia di pubblici esercizi. L'esame dei dati relativi alle ditte individuali consente di stabilire una relazione univoca tra imprenditoria straniera ed imprese. In questo caso il 9,8% delle ditte individuali ha un titolare straniero. Ma l'idea che gli stranieri entrino nel settore scegliendo le forme più semplici di organizzazione imprenditoriale non corrisponde alla realtà. Il numero di imprese straniere organizzate nella forma della società di persone è pari al 15,2% del totale delle imprese attive. E nel caso delle società di capitali la quota è dell'11%. Rispetto alla collocazione geografica (tab. 2), l'imprenditoria straniera nelle attività di ristorazione si concentra prevalentemente al Nord. Il primato spetta alla Lombardia (8.370 imprese straniere), seguita a distanza dal Lazio (4.167), Veneto (4.076), Emilia Romagna (4.064), Piemonte (3.230) e Toscana (2.641). In queste sei regioni ci sono i tre quarti delle imprese straniere attive nel settore in Italia. Sotto il profilo dell'organizzazione della forma di impresa, interessante l'incidenza dell'imprenditoria straniera nelle società di capitale e nelle società di persone in Friuli Venezia Giulia (rispettivamente del 19,4% e 22,4%), Lombardia (13,4% e 18,3%), Trentino Alto Adige (13,5% e 20,6%) e Abruzzo (15,4% e 18,6%). Per quanto riguarda la cucina etnica, sono 2.511 i ristoranti etnici in Italia (tab. 3). A fare la parte del leone è la cucina cinese (75% del totale delle imprese attive nel settore), seguita a grande distanza da quella giapponese (9,3%), africana (3,2%), brasiliana (2,8%) e messicana (2%).

 

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