Quel silenzio di Confindustria su contratti e rappresentanza

Quel silenzio di Confindustria su contratti e rappresentanza

Nella relazione di Vincenzo Boccia all'assemblea di Confindustria non c'è mai la parola "contratti" o "contrattazione" o "modello contrattuale". Cgil, Cisl e Uil hanno affrontato il tema con Confcommercio, che ha accettato con un accordo del 24 novembre 2016 di misurare anche la propria rappresentatività.

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26 maggio 2017

Nelle 28 pagine della relazione di Vincenzo Boccia all'assemblea di Confindustria non c'è mai la parola «contratti» o «contrattazione» o «modello contrattuale». Come se non fosse questo il core business dell'associazione. E questo nonostante la settimana scorsa lo stesso Boccia abbia scritto ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil per rilanciare la trattativa per «definire un modello per la contrattazione». Modello che, l'anno scorso, nella prima relazione da presidente, Boccia aveva promesso sarebbe stata una sua priorità. Il fatto è che gli avvenimenti di questi 12 mesi sono andati in tutt'altra direzione. Nonostante diversi incontri fra i tecnici della Confindustria e dei sindacati, il negoziato non è mai decollato. Ma, contrariamente alle attese, ciò non ha impedito il rinnovo dei contratti. Anzi, tutte le categorie hanno trovato un accordo, ciascuna secondo le proprie convenienze, compresi i metalmeccanici, che, dopo molti anni, hanno addirittura rinnovato il contratto unitariamente, cioè con la firma anche della Fiom. E perfino la contrattazione aziendale ha ripreso un certo slancio, grazie anche agli incentivi sul welfare aziendale. L'assenza di una cornice di regole dettate da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil ha insomma aperto spazi di manovra che hanno finito per facilitare anziché complicare gli accordi. Ora Boccia ci riprova. Ma senza più l'enfasi dello scorso anno. Del resto, il lavoro degli sherpa ha messo in evidenza che a questo punto il nodo non è più tanto come si stabiliscono gli aumenti contrattuali (di fatto i contratti rinnovati hanno sancito il passaggio dal parametro dell'inflazione attesa, con aumenti ex ante, a quella verificatasi, con aumenti ex post) ma quello della rappresentanza. L'accordo che Confindustria, Cgil, Cisl e Uil avevano firmato nel gennaio 2014 per instaurare anche nel privato regole di misurazione delle sigle sindacali e per la conseguente validazione dei contratti è rimasto sulla carta perché le aziende, non sentendosi vincolate da una semplice intesa, non hanno trasmesso all'Inps i dati sugli iscritti. E i tre anni che sono passati hanno fatto emergere che c'è anche un problema di misurazione della rappresentatività delle associazioni imprenditoriali, perché se i contratti che fanno capo a categorie associate a Confindustria sono ancora quelli più importanti, ce ne sono centinaia che fanno riferimento ad altre sigle. Chi rappresenta chi è diventata una domanda cui è urgente rispondere. Cgil, Cisl e Uil hanno intanto affrontato il tema con la Confcommercio, che ha accettato con un accordo del 24 novembre 2016 di misurare anche la propria rappresentatività. Confindustria, invece, da un lato appare preoccupata di difendere la «perimetrazione contrattuale», come la definisce Boccia nella lettera a Camusso, Furlan e Barbagallo, cioè che il proprio campo non venga invaso da associazioni concorrenti; e dall'altra è da sempre divisa al proprio interno sulla prevalenza da dare alla contrattazione nazionale o a quella aziendale. Conclusione: la radice «contratt*» non c'è nella relazione di Boccia. L'incontro coi vertici di Cgil, Cisl e Uil si farà pure, ma l'accordo appare distante. Le centrali romane, alle prese coi loro problemi (per Confindustria si pensi solo alla crisi del Sole 24 Ore), hanno perso tempo mentre il mondo del lavoro è andato avanti lo stesso. Un po' come quando il Belgio è rimasto senza governo per quasi due anni. E oggi a essere in crisi, più che la contrattazione, sembrano essere le centrali datoriali e sindacali.

 

tratto da "Il Corriere della Sera" di Enrico Marro 

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