Cantieri e riforme: la zavorra delle incompiute frena la crescita dei porti italiani

Cantieri e riforme: la zavorra delle incompiute frena la crescita dei porti italiani

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22 ottobre 2019
  • I porti italiani fanalino di coda del Mediterraneo: perdono il 2%, mentre gli altri guadagnano il 7%. 
  • Con il livello di crescita dei porti spagnoli (+5%), in quelli italiani si genererebbero circa 7.600 posti di lavoro e un incremento del fatturato di oltre 2 miliardi di euro.
  • Le disconnessioni e le riforme incompiute bloccano la competitività. Dal 2011 al 2018 i volumi di merce nel Canale di Suez sono aumentati del 42%, ma il sistema portuale italiano ha fatto registrare solo il 2% in più.
  • Burocrazia e ritardo digitale inceppano il sistema: ci vogliono 68 istanze da trasmettere a 18 amministrazioni diverse per svincolare le merci in import/export 

È quanto emerge dal Rapporto Isfort presentato al 5° Forum Internazionale dei Trasporti di Conftrasporto-Confcommercio, che descrive un’Italia in netta controtendenza rispetto al complesso della portualità mediterranea.  

Negli ultimi 10 anni, infatti, mentre gli altri porti del Mar Mediterraneo ‘rosicchiavano’ a quelli del Nord Europa circa il 7% delle quote di mercato continentale, il sistema italiano ne perdeva il 2%. 

Non solo: guardando al canale di Suez, tra il 2011 e il 2018 le tonnellate di merce in transito sono aumentate del 42%, ma i porti italiani hanno fatto registrare solo un 2% in più. 

Anche sul fronte dei container, tra il 2005 e il 2017 la crescita del traffico degli scali di tutto il Mediterraneo è stata del 46%, mentre quella del sistema portuale italiano solo della metà (23%). 

L’Italia non coglie la crescita in atto nei mari perché è disconnessa al suo interno e verso il resto del mondo. La scarsa accessibilità impedisce alle merci di raggiungere rapidamente i luoghi di destinazione e frena quel processo di intermodalità che consentirebbe, con quella dei trasporti, la ripresa economica. A questo si aggiunge una lentezza ormai cronica nella realizzazione di alcune riforme. 

È il caso delle Zone Economiche Speciali (ZES): mancano ancora gli strumenti di semplificazione per attuarle, le risorse stanziate sono insufficienti, e il paradosso è che dai benefici previsti sono escluse le imprese di trasporto (che sono un elemento costituente delle Zes). E poi c’è la questione del dragaggio dei fondali, indispensabile per consentire il passaggio di navi sempre più grandi, così come avviene nei principali porti europei.

Intanto all’orizzonte c’è un’emergenza climatica che da qui ai prossimi decenni coinvolgerà drammaticamente gli scali italiani: l’innalzamento dei mari, contro il quale serve un piano di resilienza ‘Porti e Coste’, che non è stato nemmeno abbozzato. L’Olanda, per contro, ha emesso un green bond da 6 miliardi di euro per investire sulle soluzioni a questo problema attivando anche un piano di sicurezza. Eppure i dati parlano chiaro: entro la fine del secolo l’innalzamento del mare in Italia sarà superiore al metro e mezzo. Tra i più colpiti, i porti di Napoli (+1,040 metri) e Venezia (1,064 metri), come rivelano i dati che Enea ha presentato quest’anno al convegno di Confcommercio-Conftrasporto 2019 sul clima.

Così, tra lentezze, cantieri bloccati e progetti nel limbo siamo il Paese delle incompiute, con questioni in sospeso anche all’interno degli stessi porti. 

Non è ancora stato varato lo sportello unico doganale, atteso da 16 anni per superare l’incubo della burocrazia: ci vogliono 68 istanze da trasmettere a 18 amministrazioni diverse per svincolare le merci in import/export, un ritardo digitale che rallenta tutto il sistema. Andrebbe promossa l’integrazione tra le operazioni doganali e le innovazioni sviluppate a supporto dell’efficienza della logistica. 

Proprio il digitale, dai software per ottimizzare i processi ai sistemi di automazione per gestire l’enorme quantità di dati che le merci in movimento sono in grado di trasmettere, sta trasformando il lavoro nella logistica e nei trasporti da fisico a intellettuale. In barba ai luoghi comuni, grazie anche all’aumento dei traffici, l’avvento delle nuove tecnologie non ha tagliato posti di lavoro: nel 1997 gli addetti diretti dei servizi portuali erano circa 5mila, oggi sono poco meno di 19mila.

Sbloccando i cantieri e accelerando sul digitale potremmo sciogliere gli ormeggi puntando dritti alla crescita. Basterebbe poco: se il traffico portuale italiano crescesse anche solo del 5%, come ha già fatto quello spagnolo, genererebbe 775 milioni di valore aggiunto e circa 7600 posti di lavoro, con un incremento del fatturato del complesso delle attività economiche che gravano attorno al porto (logistica portuale, logistica terrestre e cluster marittimo) di oltre 2 miliardi.

Le nostre priorità

  1. Chiudere il contenzioso con l'Europa sulla tassazione delle Autorità di Sistema Portuale e chiarire conseguentemente il destino del nostro modello di governance dei porti, salvaguardando la natura pubblica della gestione portuale. 
  2. Sostenere la capacità dei porti nazionali di integrarsi con più efficacia nei  traffici internazionali attraverso: il rafforzamento del coordinamento nazionale, una nuova fase di maggiore trasparenza e omogeneità nelle concessioni portuali, l’immediato varo dello sportello unico doganale e dei controlli, l’avvio di una strategia organica per la velocizzazione dei dragaggi che preveda l’istituzione di un ufficio dragaggi presso il Ministero a supporto delle AdSP, l’elaborazione di un testo unico della normativa con criteri di armonizzazione e semplificazione, la costituzione di una task force Ministeri Trasporti, Ambiente, Ispra, Arpa e Istituto Superiore di Sanità per semplificare procedure e fornire uniformi chiarimenti interpretativi, elaborazione di piani nazionali di siti immersione e riutilizzo dei sedimenti;
  3. Rilanciare le zone economiche speciali (ZES) attraverso la reale attivazione di significative semplificazioni amministrative, il rafforzamento dei vantaggi economici per le imprese e l’inclusione tra i beneficiari di quest’ultimi degli operatori dei trasporti, della distribuzione energetica e delle relative infrastrutture.
  4. Avviare una nuova politica del lavoro portuale che, in linea coi principi che hanno ispirato i Piani Organico Porto, i quali andrebbero a loro volta redatti con criteri uniformi e certificati, accompagni gli scali attraverso le nuove sfide della portualità tra cui, in particolare, quelle dell’automazione, del riconoscimento del lavoro portuale come lavoro usurante e dell’individuazione di politiche di risoluzione del problema degli inidonei;
  5. Promuovere un piano sull’impatto dell’innalzamento dei mari nei porti dando vita, nell’ambito del Green New Deal,  a un programma di interventi per la salvaguardia della resilienza delle infrastrutture di trasporto;
  6. Dare piena e uniforme applicazione all’esenzione dalla tassazione IMU di aree e immobili dati in concessione, funzionali alle operazioni portuali;
  7. Varare un Piano di incremento della “informatizzazione dei porti” (accessi a varchi con scanner per rilevazione targhe veicoli) e omogenizzare le procedure per la sicurezza portuale affrontando, anche, il tema della cyber security;
  8. Promuovere l’elettrificazione delle banchine, supportandole, dal punto di vista della domanda, con interventi sul regime delle accise sull’energia elettrica, per rendere conveniente la scelta “plug in”.
  9. Estendere la durata massima consentita per le attività di carico, scarico, trasbordo e sosta tecnica dei rifiuti all’interno dei porti, interporti, scali ferroviari e terminal merci. 

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