CONFCOMMERCIO PROPONE UN PATTO PER L'EMERGENZA

CONFCOMMERCIO PROPONE UN PATTO PER L'EMERGENZA

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30 ottobre 2002
Vorrei porre due problemi di fondo, il primo riguarda il metodo usato per la programmazione di questi incontri, il secondo l’attuale stato della nostra economia che ha assunto ormai dimensioni e latitudini di particolare criticità

Confcommercio propone un “patto per l’emergenza”

All’incontro con il Governo il presidente Billè mette sul piatto una proposta che ha del realistico. Chiede Billè: “Perché non concordare fin d’ora un vero e proprio “patto per l’emergenza”, perché di questo ormai si tratta, anziché ritrovarsi tra qualche mese intorno ad un tavolo con un ulteriore carico di problemi non risolti? Continuando così, c’è il rischio che queste consultazioni fatte sempre “a posteriori” e con il carattere della episodicità finiscano col diventare solo bolle d’aria”.

E spiega i motivi alla base della proposta. “Non mi sembra, stando almeno ai dati che stanno emergendo con sempre maggiore chiarezza, che questa manovra possa essere considerata sufficiente per affrontare i problemi di una congiuntura economica che, anche in prospettiva, si sta rivelando assai più grave del previsto. Se, infatti, come sembrano confermare ormai tutti gli indicatori, anche nel primo semestre 2003 l’economia non darà segnali congrui di ripresa, questa finanziaria non ci sembra che disponga di sufficienti ed efficaci antidoti. Non sarebbe stato meglio allora affrontare il problema fin d’ora, al tavolo di una vera e approfondita concertazione, invece di rinviarlo, in condizioni che potranno rivelarsi ancora peggiori, a quando si conosceranno le risultanze della prima trimestrale di cassa del 2003?”

Affronta quindi altre due questioni:Mezzogiorno e Finanza locale

Mezzogiorno: “Giuste le correzioni di tiro che si intendono attuare soprattutto per il credito di imposta la cui automaticità di impiego è stata fino ad oggi un’importante risorsa utilizzata da tutti i settori di impresa. Quel che continua a mancare, invece - ed è una grave carenza - è la sostanziale riparametrazione degli incentivi a partire da quelli contenuti nella 488. E’, infatti, più che provato - basta esaminare i rendiconti degli scorsi anni - che i moduli fino ad ora applicati con la 488 hanno consentito di convogliare circa l’80-85% di queste risorse sul solo settore industriale, settore che però, dati alla mano, non ha prodotto, se non per una parte assai esigua, sviluppo e nuova occupazione. E’ stato, infatti, il settore del terziario - soprattutto turismo e servizi - settore più che marginalizzato per quanto riguarda l’erogazione degli incentivi, a produrre il 70% di nuovi occupati. E questa appare come una vistosa incongruenza su cui anche il sindacato, tutto il sindacato, dovrebbe cominciare a fare un’attenta e approfondita riflessione. La verità è che molti di questi incentivi finiscono “imboscati” chissà dove. Quindi, o si procede ad un reale "disimboscamento" di tutto questo fiume di denaro o, per il Sud, non ci sarà mai un vero sviluppo”.

Finanza locale. “Mi sembra che né per quanto di competenza di questa finanziaria né per quanto è stato fatto fino ad ora dal governo al di fuori di essa il problema sia stato risolto. Direi che , invece, stia accadendo tutt’altro. Primo, perché il sia pure temporaneo congelamento dell’addizionale Irpef costringerà gli enti locali a reperire risorse in altro modo. Il che vorrà dire nuovi aumenti a raffica per altre imposte, tariffe e servizi che produrranno carichi ulteriori di spesa per famiglie ed imprese del terziario. Secondo, perché, in questo modo, il federalismo rischia di trasformarsi in una riforma claudicante e profondamente sperequativa a danno delle aree economiche più deboli del paese”.

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