GIORNATA DI STUDI SUL COMMERCIO ELETTRONICO

GIORNATA DI STUDI SUL COMMERCIO ELETTRONICO

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25 ottobre 1999
SERGIO BILLE' ALLA "GIORNATA DI STUDI SUL COMMERCIO ELETTRONICO"

Il tema dei rapporti tra commercio elettronico e distribuzione "tradizionale" viene affrontato abbastanza di rado rispetto ad altre questioni ampiamente dibattute e in genere ci si limita ad affermare che il commercio elettronico prima o poi soppianterà larga parte della tradizionale funzione distributiva (c.d. disintermediazione).

Questa affermazione, calata nel contesto italiano, desta motivi di particolare preoccupazione, presentandosi come ulteriore, forse definitivo colpo assestato a un sistema che già da alcuni anni è sottoposto ad un processo di ristrutturazione che nell'arco degli anni '90 ha portato alla chiusura di circa il 25% degli esercizi commerciali presenti ad inizio decade.

In generale, la maggiore o minore efficienza della rete distributiva non può essere valutata in modo astratto, senza tenere conto dei modelli di consumo che a loro volta, dipendono da una quantità di fattori quali il reddito, le caratteristiche socio demografiche della popolazione, il grado di urbanizzazione, la conformazione del territorio. Quindi in certi casi, il commercio elettronico può risultare un canale adeguato ad una determinata categoria di bisogni e in altri non è detto che ciò avvenga. In ulteriori situazioni, è possibile che l'e-commerce possa fungere non da strumento sostitutivo ma da supporto integrativo per attività anche di tipo "tradizionale".

Per ciò che riguarda l'occupazione, la possibilità che l'e-commerce abbia un impatto negativo non appare priva di validità. D'altro canto, è anche vero che lo sviluppo economico e la stessa occupazione difficilmente si coniugano con sistemi di servizi inefficienti che tendono a sottrarre potere di acquisto ai consumatori.

Non è comunque detto che gli esiti occupazionali dell'e-commerce siano del tutto negativi e che non si determini la creazione di nuovi servizi e nuove figure professionali. Certo è, ed in questo esistono ampie controprove derivanti dall'esame dell’Information Technology in altri settori, che difficilmente la nuova occupazione interesserà le medesime categorie di lavoratori e forse anche le stesse aree territoriali.

Il commercio elettronico, invece, può rappresentare un importante strumento al servizio dell'evoluzione della rete distributiva italiana e delle piccole e medie imprese commerciali.

Gli studi dell'Ocse rilevano che l'80% dell'e-commerce è di tipo business-to-business e non business-to-consumer. Sempre gli stessi studi rilevano che sono ottenibili risparmi dal 10% al 50% in termini di costi e dal 50% al 90% in termini di tempi di processo degli ordini.

Il tema del business-to-business è collegato ad altri due: le reti collaborative d'impresa e l'automazione della catena logistica. I dati del Ministero dell'Industria indicano che la situazione delle reti collaborative è, in Italia, fortemente differenziata a seconda che si tratti del settore food o non food e che si parli di Centro-Nord o Mezzogiorno. Il caso di maggior presenza è rappresentato dal Nord-est nel settore food, dove siamo a livelli dei maggiori paesi europei e quello di minor presenza è quello dei prodotti non-food del Mezzogiorno.

Il modello collaborativo si basa sull'aggregazione degli acquisti (maggiore potere contrattuale nei confronti dei fornitori) e sullo scambio di servizi tra poli di aggregazione e soci. Il tentativo è quello di sollevare l'operatore commerciale da problemi "impropri" d'ordine amministrativo o tecnico, per permettere di concentrarsi sulla cura del cliente e sull'innovazione delle strategie di vendita.

Dal punto di vista strettamente economico, la messa a rete dei punti di vendita determina anche due importanti vantaggi già evidenziati dal sistema, ormai presente da qualche anno anche in Italia, denominato ECR, Efficient Consumer Response: la minimizzazione dei livelli di scorte (continuous replenishment) la drastica riduzione degli errori e la velocizzazione degli ordinativi (fast perfect order). Il sistema ha già dimostrato la sua validità nel campo della grande distribuzione e dell'industria di marca, la sfida è quella di estendere i concetti di trading community anche ad aziende commerciali di minor dimensione ed a PMI industriali e produttori di prodotti tipici.

Confcommercio, da circa due anni sta analizzando questi concetti classificandoli come GAV, Gruppi d 'Acquisto Virtuali.

Prerequisiti del sistema sono la "messa a rete" dei punti vendita e dei fornitori, la creazione delle unità centrali di servizio, la classificazione delle merceologie, la formazione degli imprenditori.

In tema di gruppi di acquisto virtuali, diversi siti offrono l'opportunità ai consumatori di "aggregarsi" per effettuare acquisti, ottenendo sconti su prodotti o per reperire particolari categorie di beni. Si tratta, in fondo, del concetto di Web- community, dove il fattore di aggregazione è rappresentato dal bisogno di individuare anche produzioni rare facilmente ed a prezzi accettabili.

Per concludere, le opportunità che potrebbero dischiudersi sembrano superare, almeno nel medio periodo, i rischi di disintermediazione commerciale insiti nel nuovo strumento.

Se un rischio esiste, esso è costituito dall'immobilismo e dal preconcetto che si tratti di fenomeni esotici o futuribili. Per superare questo rischio è necessaria un'azione lungimirante da parte dell'Autorità di Governo e delle Associazioni ma, anche e soprattutto, degli operatori.

Gli incentivi previsti dalla Finanziaria 2000 per il commercio elettronico devono premiare progetti realmente innovativi, capaci di stimolare la crescita di nuove figure di intermediari elettronici e concetti originali di vendita via Web.

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