I servizi valgono più della metà del totale dei consumi

I servizi valgono più della metà del totale dei consumi

Presentate al Forum di Venezia le ricerche "Innovo dunque cresco (e consumo)" ed "Innovazione nei Servizi". Nel 2008 la quota di spesa dei consumi sul totale è stata pari al 50,1 per cento. Il contributo dei servizi al Pil è pari al 71 per cento.

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18 settembre 2009
Con la conferenza stampa di presentazione delle ricerche “Innovo dunque cresco (e consumo)”, a cura dell’Ufficio Studi Confcom

Con la conferenza stampa di presentazione delle ricerche “Innovo dunque cresco (e consumo)”, a cura dell’Ufficio Studi Confcommercio, ed “Innovazione nei Servizi”, realizzata da Confcommercio in collaborazione con il Politecnico di Milano, si è aperta a Venezia la seconda edizione del workshop “Innovazione, crescita, consumi: per un’Italia più Europea” organizzato dai Giovani Imprenditori di Confcommercio, in collaborazione con Ambrosetti.

Interessanti i dati che emergono da entrambi gli studi. Secondo il primo, illustrato dal responsabile dell’Ufficio Studi Confcommercio Mariano Bella, nel 2008, per la prima volta, i servizi valgono più della metà del totale dei consumi: la loro quota di spesa sul totale è, infatti, pari al 50,1% (contro il 32,3% del 1970). Si tratta di un trend di crescita che si registra anche in termini di valore aggiunto: il contributo dei servizi al Pil è oggi, infatti, pari al 71% (l’industria è solo al 27%) rispetto al 52% del 1970.

Dall’altro lato, però,la  bassa produttività dei fattori, la carenza e inadeguatezza delle infrastrutture, le mancate liberalizzazioni, le inefficienze della macchina pubblica collocano l’Italia molto al di sotto delle performance degli altri Paesi europei e la proiezione al 2011, in termini di dinamica del Pil pro capite, vede il nostro Paese in fondo alla classifica dell’Ue27. In termini di consumi pro capite, ciò significa che a fine 2011 ci troveremo allo stesso livello del 2000, mentre per tornare ai livelli di consumo pre-crisi (cioè del 2007) bisognerà attendere la fine del 2012.

Dalla ricerca, insomma, emerge che, da un lato, siamo in presenza di sempre più marcata terziarizzazione della nostra economia cui non ha corrisposto, dall’altro, un’evoluzione del modello produttivo e del sistema degli incentivi pubblici tendente a sviluppare il ruolo dei servizi, dell’innovazione immateriale, dell’economia della conoscenza e a migliorare qualità e quantità del capitale umano. Tutti assets strategici – che vanno sotto la definizione di soft innovation - su cui occorre invece puntare, insieme ad un’evoluzione culturale che coinvolga istituzioni, imprese e consumatori, per agganciare la ripresa e colmare il gap che ci separa dagli altri Paesi.

La seconda ricerca, illustrata da Giorgio Casoni del Politecnico di Milano, “disegna” una via italiana all’innovazione dei servizi sostenendo la quale sarebbe possibile la competitività del nostro Paese.  Quattro i fattori-chiave in questa direzione: massimizzare l’autenticità attraverso il design di processo o di servizio; passare da una cultura della manifattura ad una cultura del servizio; puntare sull’estetica del servizio; assicurare un elevato grado di customizzazione del servizio. Sono tutti elementi indispensabili non solo per creare valore aggiunto per il consumatore final,e ma anche per facilitarne la sua percezione. L’obiettivo, secondo lo studio, è raggiungibile cambiando il sistema di incentivi all’innovazione. E sono tre sono le proposte in questo senso: più formazione, sostegno mirato al settore dei servizi, creazione di un percorso ottimale da seguire, una sorta di “repertorio di innovazione” a disposizione delle imprese.

 

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