Il testo integrale dell'intervento di Sergio Billè

Il testo integrale dell'intervento di Sergio Billè

D:10-5-2003 P:01 T:BILLÈ: "LA CRISI È UNA SPECIE DI SARS ECONOMICA"

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10 maggio 2003
Intervento di Sergio Billè

E’ importante, signor Presidente, che Lei abbia voluto aderire a questo nostro invito per un confronto su problemi, quelli soprattutto delle prospettive di sviluppo dell’Europa e di ripresa e di rilancio della nostra economia, che sono divenuti sempre più pressanti e la cui soluzione, per la generalità delle imprese oggi qui rappresentate,  appare ormai indifferibile.

 

C’è mezza Italia economica oggi con i piedi nello stagno e l’altra metà che rischia, da un momento all’altro, di finirci dentro.

 

Sappiamo tutti bene che questa situazione è stata determinata soprattutto da fattori  esterni al nostro sistema, una crisi che ha motivazioni e radici lontane e generate dal negativo, pesantemente negativo andamento dell’economia mondiale.

 

Tanto è vero che a trovarsi con i piedi dentro lo stagno sono anche tutti gli altri paesi europei e, in primo luogo, Francia e Germania.

 

Questo è un dato incontrovertibile anche se, per essere sinceri, ci consola assai poco.

 

Si è trattato - mi si conceda questa piccola metafora - di una grave quanto imprevista e forse imprevedibile forma di epidemia virale, una specie di S.A.R.S economica che, partita chissà da dove, si è rapidamente diffusa nel mondo con effetti che, in molti casi, sono stati assai più deleteri di quella di una semplice polmonite.

 

Per mancanza di efficaci antidoti, essa, uno starnuto dopo l’altro, una contaminazione dopo l’altra, ha finito con l'espandersi sui binari della globalizzazione contagiando tutto il sistema economico e finanziario.

 

E non possiamo dire oggi di esserne già fuori.

 

Gli effetti, infatti, continuano ad essere assai vistosi: un perdurare, oltre ogni previsione, della crisi dell’economia americana che non ha mai avuto, nel corso della sua recente storia, un tasso di disoccupazione così alto, un tasso di crescita dell'Europa che difficilmente, nel 2003, a meno di improvvisi e per ora imprevedibili sbalzi di corrente, supererà l’1%, notevole contrazione delle esportazioni e dei consumi interni, crollo degli investimenti, occupazione costretta a sviluppi di basso profilo e quindi, arrivando al nocciolo, fatturato delle imprese in caduta libera. Negli stati Uniti come in Germania, in Giappone e altrove.

 

Ma bisogna anche dire che le conseguenze di questa S.A.R.S non di matrice cinese sono state per noi anche peggiori perché essa è arrivata in un’importante e delicata fase di passaggio della nostra vita politica ed economica, quella contraddistinta dall’attuazione del programma di riforme disegnato e portato avanti dall’attuale governo.

Programma importante perché deciso a cambiare molte delle strutture, delle regole e delle leggi di un sistema che, avendo ormai più di 50 anni sulle spalle, non solo non è più in grado di reggere la forte e sempre più aggressiva concorrenza internazionale, ma sembra destinato, così com'è, a non portare il nostro paese più da nessuna parte.

 

E quindi il governo ha fatto bene, nonostante le sopraggiunte difficoltà, a non demordere dal suo progetto e sarebbe certo un guaio se oggi esso pensasse di rallentarlo o addirittura di arrestarlo perché, se così facesse, il nostro sistema, al termine di questa epidemia che un giorno o l’altro dovrà pur finire, si troverebbe più acciaccato di prima, senza la possibilità di mettere i piedi fuori dal letto.

 

E’ anche vero però che, proprio nel momento in cui, per attuare il salto di sistema, occorrevano molte più risorse, lo Stato se ne è trovate in tasca molte di meno e ciò ha finito col produrre, su tutti noi, una serie di effetti degenerativi che, in parte, non potevano probabilmente essere evitati, ma che, su molti versanti, potevano essere, invece, almeno a nostro giudizio, fronteggiati con misure più efficaci e meglio mirate.

 

Vengo quindi al punto anche perché, signor Presidente, non si tratta di fare, come dire, una polemica “retrò” che riguarda solo il passato prossimo, perché la necessità di fronteggiare quella forte e purtroppo assai generalizzata caduta dei consumi se era impellente ieri, lo è ancor di più oggi.

 

Se il 2002, infatti, si è chiuso con un aumento dei consumi che ha appena sfiorato lo 0,4%, il dato più negativo degli ultimi otto anni, il primo trimestre di quest’anno si è aperto con prospettive, da questo punto di vista, addirittura peggiori. Insomma, signor Presidente, vicino allo zero, con milioni di famiglie che continuano a riempire, con misurata attenzione borse e carrelli di prodotti alimentari di prima necessità, e di poco altro.

 

E, sottolineandole la gravità di questo problema, non credo di difendere solo meri interessi di bottega, e cioè quelli delle migliaia di strutture commerciali, e di imprese in generale, che o hanno chiuso i battenti o, per mancanza di fatturato, hanno smesso di investire.

 

Il fatto è che la caduta dei consumi sta producendo un effetto domino rilevante anche su tutto l’arco del sistema produttivo. Un sistema che, già in crisi per le difficoltà che incontra il mercato delle esportazioni, difficoltà che l’apprezzamento dell’euro sul dollaro sta accentuando, non sa più in quali magazzino mettere le lavatrici, le scarpe, i televisori o i vestiti che continua a produrre ma che non sa più a chi vendere.

 

Ed è un cane che si morde la coda perché questa generalizzata caduta dei consumi, come già accaduto nel 2002, rischia, anche nel 2003, di produrre un aumento del Pil sensibilmente inferiore all’1% con tutto quel che ne consegue anche per le entrate dello Stato.

C’è da chiedersi - e saremmo lieti se anche Lei, signor Presidente, ci aiutasse in questa analisi - il motivo per cui le famiglie hanno smesso di spendere.

 

L’eccessivo rincaro dei prezzi? Una motivazione del genere poteva avere forse qualche giustificazione per il 2002, ma non ha,invece, più ragione di essere, come dimostra l’andamento della maggior parte dei listini sia a livello di produzione che di distribuzione, nel 2003.

 

Credo che le cause siano molteplici, ma forse una le riassume tutte: una mancanza o una troppo scarsa fiducia delle famiglie  sulle prospettive di ripresa, almeno nel breve periodo, della nostra economia e, insieme a questa sfiducia anche l’impossibilità di individuare oggi forme di investimento che consentano loro di mettere a frutto i risparmi.

 

E’ anche questo un problema serio che bisognerebbe cercare, in qualche modo, di rimuovere.

 

La verità è che borsa e fondi di investimento- ed è significativa la sottolineatura fatta in proposito pochi giorni fa dal Presidente della Consob-  hanno fortemente deluso i risparmiatori. E così pure i titoli di Stato che oggi, al netto, rendono addirittura meno del tasso di inflazione. Per non parlare poi dei depositi lasciati in parcheggio, in attesa che qualcosa si muova, sui conti bancari i cui interessi  sono addirittura scesi sotto l’1%.

 

Mentre se imprese e famiglie si rivolgono alle banche per l’accensione di un credito si trovano davanti a richieste di interessi che possono superare anche il 10%.

 

E’ una questione che proprio dal punto di vista degli interessi di bottega, cioè quelli delle piccole aziende sottocapitalizzate e in crisi di fatturato per i motivi che ho ricordato, sta diventando davvero serio.

 

E potrà diventare qualcosa di ancora più serio, anzi di drammatico se, signor Presidente, non si interverrà, e con urgenza, per affrontare l’impatto delle direttive di Basilea 2 assunte sulla concessione dei crediti alle aziende.

 

Quelli che ho cercato di esporre non mi sembra, signor Presidente, che siano problemi spiccioli ma lo specchio veritiero di una realtà che, per noi ma anche per tutto il sistema delle imprese, è oggi fonte di grande preoccupazione.

 

Per questo, signor Presidente, desidereremmo oggi avere da Lei un segnale, anzi qualcosa più di un segnale, che ci consentisse di vedere cosa c’è oltre lo steccato di questa crisi vera, reale, palpabile. E cioè, quali interventi o misure il governo ha in proposito di attuare per far uscire il sistema economico da questo tunnel che sta diventando un po’ troppo lungo, e dando l’ansia e “ togliendo il sonno” a centinaia di migliaia di imprese. Nostre o associate ad altri poco importa.

Mi permetta, prima di cederLe la parola  per il suo intervento tanto atteso da questo Consiglio di fare qualche altra considerazione.

 

La Confederazione che ho l’onore di rappresentare vuole le riforme quanto le vuole Lei, convinta com’è, - e da tempo, da quando Lei ha preso le redini del governo - che o si trova e si imbocca finalmente questo passaggio a Nord-Ovest, cioè la via delle riforme o questo rischia di diventare un paese in retroguardia, un sistema di salmerie al servizio di altri potentati economici.

 

E’, quindi, riforma del mercato del lavoro, riforma del Welfare, riforma fiscale e riforma federalista. Ma anche, seppure più in prospettiva, una seria riforma costituzionale che consenta una maggiore efficienza di tutto il nostro apparato politico ed istituzionale. Sono tutti tasselli essenziali di un progetto che non può restare un sogno irrealizzabile.

 

Sulla riforma del mercato del lavoro sono stati fatti - e gliene diamo atto - significativi ed importanti passi avanti. Sulle altre, mi auguro che si possa procedere altrettanto velocemente.

 

E’ forse addirittura superfluo ricordarLe l’importanza che per noi riveste la riforma fiscale. Un avvio c’è stato, ma non le nascondo che il suo primo step attuativo ha dato risultati assai modesti ai fini di un sostanziale alleggerimento della pressione fiscale sulle imprese. Bisogna trovare il modo di accelerare questa riforma perché, in attesa che arrivi il periodo delle vacche grasse, le stalle, nel frattempo, potrebbero scomparire o essere destinate ad altri usi.

 

Una parola sul condono. Io credo che, soprattutto dopo l’allungamento dei termini, esso stia già dando sulla base dei primi riscontri un importante gettito, in linea con le stime fatte dal governo. Ora però è necessario che queste nuove risorse vengano utilizzate per il rilancio del sistema economico. Perchè è solo così che il condono potrà avere un suo obbiettivo incisivo e funzionale.

 

Due parole, infine,  sulla riforma federalista. Non le nego, signor Presidente, che ancora non è ben chiaro quale modello federalista si vuole davvero realizzare. Anche se mi sembra che la nuova proposta di riforma del titolo quinto della Costituzione elaborata dal Ministro La Loggia dia al problema un’impostazione più corretta e quindi, di fatto, più percorribile.

 

Ma resta aperto, direi per ora appeso, il problema del costo di questa riforma. Sarà davvero a costo zero o, una volta che sarà attuata, ricadranno sui cittadini e sugli operatori altri ed aggiuntivi oneri?

 

Grazie, signor Presidente, per il tempo che oggi vorrà dedicarci.

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