L'intervento del presidente Sangalli

L'intervento del presidente Sangalli

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11 aprile 2011

Cari Amici, come ricordava il Presidente Paoletti, quest'anno si festeggiano i centocinquant'anni dell'Unità d'Italia, ed insieme noi oggi qui festeggiamo i cinquant'anni della Confcommercio di Trieste. Sono due "feste" che noi viviamo con lo stesso spirito. Lo spirito di chi vi vede l'occasione "per trarre motivi di ispirazione e di fiducia - cito le considerazioni del Presidente della Repubblica sui centocinquant'anni - dai filoni vitali della nostra tradizione storica, e per ricordarci che abbiamo un ruolo da salvaguardare, un ruolo da riaffermare, rinnovare nell'Europa e nel mondo".
Riaffermare e rinnovare il ruolo dell'Italia, dunque. Nel mondo ed in Europa. E, similmente, riaffermare e rinnovare il ruolo italiano ed europeo di Trieste. Ruoli da riaffermare e da rinnovare con consapevolezza dei problemi del tempo presente, con volontà di contribuire all'irrobustimento della crescita e dello sviluppo, con sguardo ambiziosamente aperto al futuro. Nel tempo della crisi, l'Italia ha mostrato di avere qualche buon fondamentale: il risparmio delle famiglie e la tradizionale prudenza del suo sistema bancario, la rete della sicurezza sociale e la flessibilità delle piccole e medie imprese. Nel tempo della crisi, l'Italia non ha pigiato il pedale degli interventi a carico della finanza pubblica. La crisi ha comunque colpito duro, molto duro. Usciti dalla recessione, i nodi irrisolti dell'agenda della produttività stagnante e della competitività difficile continuano fortemente a pesare sulle prospettive di crescita del Paese.Da un quindicennio, la crescita annua dell'Italia è inferiore di circa un punto alla media dell'area euro.E le previsioni segnalano - tanto per il 2011, quanto per il 2012 - una crescita del Pil intorno all'1% o poco più. Sono dati - è vero - la cui lettura deve tenere conto di quanto, anche in importanti Paesi europei e a differenza dell'Italia, abbia inciso sulla crescita l'effetto doping dell'indebitamento dei privati, nonché del profondo divario di crescita e di sviluppo del Mezzogiorno rispetto alle altre aree del Paese.
Ma, nel complesso, è indubbio che occorra fare di più e meglio per rispondere alle esigenze del Paese. Esigenze di benessere dei cittadini, esigenze di riassorbimento della disoccupazione e di costruzione di nuova occupazione, esigenze di coesione sociale e territoriale in un'Italia preoccupantemente segnata dal tasso di disoccupazione giovanile. Ma di più crescita l'Italia ha necessità anche per proseguire l'opera di risanamento della finanza pubblica e, particolarmente, per alleggerire il fardello storico del debito pubblico, senza cedere alla tentazione iniqua ed inefficace di "patrimoniali" vecchie e nuove. Più crescita, dunque. Perché "senza crescita - come ha osservato il Governatore Draghi - non si consolida la stabilità finanziaria nel mondo, in Europa, nel nostro Paese". Non c'è davvero tempo da perdere. Ad aprile, peraltro, l'Italia presenterà, in sede europea, l'aggiornamento del Programma nazionale per le riforme. Ecco, sarebbe davvero il caso che - sul Piano per la crescita, sul Programma nazionale per le riforme - Governo e parti sociali si incontrassero. Cerchiamo di capire insieme e di agire insieme per assicurare al nostro Paese una crescita più vigorosa. L'importante è non rassegnarsi a previsioni di crescita dell'1%. Perché possiamo e dobbiamo crescere di più e meglio. Certo, l'export manifatturiero svolge un ruolo importante. Ma non basta. Se vogliamo costruire più crescita e più occupazione, dobbiamo fare maggiormente leva sulla domanda interna - per investimenti e per consumi delle famiglie - che contribuisce alla formazione del Pil per circa l'80%. Se vogliamo costruire più crescita e più occupazione, dobbiamo fare maggiormente leva sull'economia dei servizi di mercato, che contribuisce alla formazione del valore aggiunto per circa il 58% e dell'occupazione per circa il 53%. "Al futuro - annota nella sua relazione il Presidente Paoletti - si arriva con solide basi nel presente". E, tra queste basi, vi è appunto, anche nell'area di Trieste, il contributo crescente dell'economia dei servizi alla formazione di crescita ed occupazione. E' questo il circuito virtuoso che serve al Paese: produttività, crescita, occupazione e consumi. Più produttività significa più cooperazione. Tra impresa e lavoro per fare crescere innovazione e premio del merito. Anche attraverso l'innovazione dei modelli contrattuali, opportunamente sostenuta dalle misure di detassazione del salario di risultato. Più produttività: anche con più cooperazione tra pubblico e privato nell'ambito della riforma della pubblica amministrazione. In breve, la strada maestra resta quella dell'avanzamento del cantiere delle riforme. A partire dalla "madre" di tutte le riforme, la costruzione, cioè, del federalismo fiscale ed il suo incrocio con la riforma fiscale. Incrocio che rappresenta un'occasione - non scontata, ma possibile - per rafforzare, ad ogni livello istituzionale ed amministrativo, il principio di responsabilità: responsabilità nella quantità e nella qualità della spesa pubblica; responsabilità nel ricorso alla leva della tassazione. E pensiamo che un buon federalismo fiscale - cioè necessariamente pro-competitivo e giustamente solidale - possa portare un decisivo contributo all'avanzamento di questi processi. Proprio per questo, però, non ci convincono alcune scelte recate dal recente decreto in materia di federalismo municipale, tra cui l'ampia facoltà riconosciuta ai Comuni di procedere all'attivazione della tassa di soggiorno e ancora l'impatto dell'IMU sugli immobili commerciali. Nell'un caso come nell'altro, si pongono, infatti, i presupposti per un appesantimento del prelievo fiscale sulle attività produttive, contraddicendo la necessità di una responsabile cooperazione tra sistema pubblico ed iniziativa privata per il rafforzamento della crescita. Così come non ci convince, sul terreno dei principi per la riforma fiscale, l'idea di uno scambio tra meno Irpef e più Iva. Dobbiamo, piuttosto, recuperare evasione Iva, e certo l'inasprimento delle aliquote Iva non gioverebbe. Dobbiamo, piuttosto, sostenere la domanda interna, e certo l'inasprimento delle aliquote Iva non gioverebbe. Riformare il sistema fiscale e ridurre la pressione fiscale non è certo un processo semplice, anzitutto per gli oggettivi vincoli di finanza pubblica. Ma è importante che il processo avanzi. E' importante che se ne chiariscano tempi e modi, tappe e stadi di avanzamento. E' una chiarezza, infatti, che davvero contribuirebbe alla fiducia del mondo delle imprese e del lavoro e, in questo modo, al rafforzamento del ritorno alla crescita. E, accanto a questo, ci vuole una politica per i servizi che si integri con la più consolidata e riconosciuta politica industriale. Una politica fatta di scelte coraggiose per l'incremento della produttività dei servizi, del loro contributo all'occupazione ed alla crescita. Noi indichiamo sette scelte coraggiose. Scelte coerenti con il quadro di "Europa 2020" - cioè con la strategia per la crescita europea in questo decennio - che, nel loro complesso, ci sembra possano utilmente contribuire al Programma nazionale per le riforme. Primo punto: non occorre meno concorrenza. La concorrenza fa bene alla produttività ed ai consumatori. Ma la concorrenza deve essere sempre a parità di regole e meno sbilanciata. Deve, cioè, operare più universalmente, tenendo obiettivamente conto di quanto è stato fatto nei diversi settori. E, ad esempio, nel commercio, molto è stato fatto. Secondo punto: non solo "Industria 2015", ma anche "Servizi 2020". Attraverso la rimodulazione di risorse nazionali e comunitarie già disponibili, si definisca, cioè, e si realizzi un piano straordinario per l'innovazione del sistema dei servizi, posto che l'innovazione - tecnologica, ma anche organizzativa - è un formidabile propellente di produttività aggiuntiva. Terzo punto: il commercio e le città. Dai primi anni 2000, si sono innescati, nel nostro sistema dei servizi, profondi processi di ristrutturazione, silenziosi e talora anche dolorosi, come nel caso del commercio. Il biennio della crisi ha ovviamente forzato questi processi di ristrutturazione ed ha messo in critica tensione tutto il sistema della distribuzione commerciale. Nel triennio 2008-2010, lo stock di imprese commerciali si è ridotto di circa 90 mila unità. Lo ripeto: la risposta non sta nell'arretramento delle ragioni della concorrenza, ma nell'avanzamento di una politica per il commercio italiano, che declini il riconoscimento del valore del pluralismo distributivo attraverso impegni concreti per il rafforzamento della sua produttività. Per via di innovazione, come prima dicevo. Ma anche lavorando sul nesso tra commercio ed identità e vivibilità delle nostre città, reagendo così a rischi ormai evidenti di desertificazione commerciale. Lo si può fare promuovendo un migliore raccordo delle competenze in materia di concorrenza e di commercio, ed una maggiore integrazione tra urbanistica ed urbanistica commerciale; con la riforma delle locazioni commerciali e con crediti d'imposta per la ristrutturazione edilizia della rete commerciale; con la costruzione di distretti urbani e diffusi del commercio, che agiscano come tessuto connettivo del pluralismo distributivo. Quarto punto: si rilanci l'impegno per raddoppiare, nell'arco dei prossimi anni, il contributo del turismo alla formazione del Pil del Paese, attestandolo così intorno al 20% del totale. Disponiamo, infatti, del primo patrimonio storico-culturale del mondo, e possiamo e dobbiamo tornare ad essere il primo Paese turistico del mondo. Per questo, occorre, tra l'altro, garantire la governance unitaria del settore, adeguare le dotazioni infrastrutturali, migliorare qualità e fruibilità del patrimonio ambientale e culturale, ottimizzare e rafforzare l'attività promozionale del marchio Italia, promuovere il turismo in Italia degli italiani,risolvere l'annosa questione dei canoni demaniali, ridurre Iva ed Irap. Quinto punto: un Piano ed un Patto nazionale per la mobilità urbana per ridurre il costo della congestione valutato in circa 9 miliardi di euro all'anno. Accrescere l'affidabilità logistica del nostro Paese significa, anzitutto, intervenire sui nodi urbani e sulla crisi strutturale della dimensione urbana della mobilità. Nella dimensione urbana, si concentra, infatti, oltre il 70% della domanda complessiva di mobilità del Paese e si addensano oltre il 70% delle attività dei servizi. Sesto punto: un progetto strategico italiano per la promozione congiunta dell'efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e della cogenerazione. Settimo punto: costruire le "reti" per la crescita delle piccole e medie imprese dei servizi. Lo Small Business Act è stato fatto proprio dal nostro Paese. L'obiettivo deve essere quello di consentire a tutte le imprese, quale ne sia la dimensione, di ricercare maggiore efficienza e di meglio competere. L'obiettivo è, insomma, la crescita delle imprese. Crescita anche attraverso le aggregazioni di gruppo e di distretto, di filiera e di rete. Sette punti, dunque. Per valorizzare il potenziale di crescita dei servizi come concorso alla crescita aggiuntiva del Paese. Sette scelte. Scelte - mi sembra - del tutto coerenti con la Vostra volontà di puntare, per Trieste, su nuovi obiettivi strategici, a partire dal ruolo della Città come centro di scambio e di relazione capace di farsi polo primario di attrazione dell'Euroregione. Tessendo, a questo scopo, una trama fitta di relazioni tra promozione organizzata del commercio, attrattività turistica del territorio, valorizzazione del Porto Vecchio e del water-front cittadino anche sul mercato internazionale.
Ecco, l'amico Presidente Paoletti ha parlato, nella sua relazione di fiducia e di futuro, ha segnalato opportunità e rischi, ha indicato obiettivi ambiziosi. Connettendo, così, gli interessi delle imprese rappresentate con gli interessi generali della Città. Lo ha fatto con un respiro europeo che appartiene alla storia di Trieste, e che certamente merita di essere rilanciato. Lo ha fatto, insomma, con il realismo e con l'ambizione di chi sa che - per Trieste, per l'Italia - non vi è nessun ineluttabile declino, e crede, invece, che un futuro diverso è migliore è tanto necessario, quanto possibile.
Dipende da noi, dalla nostra responsabilità, dalla responsabilità di tutti e di ciascuno, ed anzitutto di chi governa.

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