Per il Tesoro priorità deficit, decreto allo studio

Per il Tesoro priorità deficit, decreto allo studio

La 'correzione' per rientrare sotto il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil costa 1,6 miliardi di euro, cifra alla quale il Ministero dell'Economia subordina tutti gli altri interventi. Baretta: "prima dobbiamo rientrare, poi in ordine cronologico ci sarà il resto: l'Iva, le dismissioni e l'Imu''.

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24 settembre 2013

La parola d'ordine è una: rispettare il tetto del 3%. Nelle stanze del ministero del Tesoro non si contemplano alternative, come ha lasciato ben intendere il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, nel fine settimana. Di tutto il resto, compreso dell'imminente aumento dell'Iva, si parlerà dopo. Quando cioè l'Italia sarà in grado di garantire la propria credibilità internazionale (finanziaria oltre che politica) e potrà ancora sedere a testa alta in Europa. Per rientrare nei parametri di deficit-Pil la caccia è dunque ufficialmente aperta. La 'correzione' costa 1,6 miliardi di euro, cifra tutt'altro che indifferente e alla quale, spiegano dai corridoi di Via XX Settembre, sono subordinati tutti gli altri interventi. ''Abbiamo presente tutte le scadenze, a cominciare dall'Iva, ma, se non rientriamo, le altre discussioni sono inefficaci, non portano ad alcun risultato'', sottolineano fonti vicine a Saccomanni. In ogni caso, anche reperire al momento le sole risorse per il rispetto del 3% - senza ricorrere a nuove tasse - si sta trasformando in un'impresa: ''stiamo raschiando il fondo del barile'', ammettono ancora, mentre il sottosegretario Pier Paolo Baretta spiega esplicitamente che ''la priorità è rientrare nel 3% o tutto è compromesso. Prima dobbiamo rientrare, poi in ordine cronologico ci sarà il resto: l'Iva, le dismissioni e l'Imu''. Il governo sembra muoversi su più strade: quella dei tagli alla spesa, quella delle privatizzazioni e, forse, anche quella di qualche piccolo ritocco alle accise. Nessuna delle misure presa singolarmente potrà essere però risolutiva nel breve periodo. Le dismissioni (che siano immobiliari o di partecipazioni pubbliche grazie a Cdp) richiedono tempo, i margini di manovra per i tagli sono scarsi e l'orientamento sulle accise è quello di intervenire il meno possibile per non pesare ancora sulle tasche delle famiglie. Nell'insieme, tutti gli interventi, anche se limitati, potrebbero comunque contribuire a far rimanere l'Italia tra i Paesi virtuosi dell'Ue. Almeno sul fronte dei conti pubblici, visto che la Commissione ha deciso di aprire una procedura d'infrazione nei confronti di Roma a causa dei tempi troppo lunghi con cui vengono erogati i rimborsi Iva alle imprese. Le emergenze però sono tante. I sindaci continuano a lamentare l'estrema difficoltà ad andare avanti anche l'ordinaria amministrazione senza il trasferimento delle risorse della prima rata Imu. I sindacati invece minacciano la mobilitazione unitaria se il governo non si impegnerà a ridurre le tasse sul lavoro e sulle pensioni. Una linea pienamente condivisa da Confindustria, che sposa dunque la posizione di Cgil, Cisl e Uil e non quella delle altre imprese, a partire da Confcommercio, convinta che la priorità sia tenere ferma l'Iva.

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