Relazione Presidente Sangalli all'Assemblea Generale 2022

Relazione Presidente Sangalli all'Assemblea Generale 2022

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8 giugno 2022

Autorità, Gentili ospiti, cari amici della Confcommercio.

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Il conflitto in Ucraina

Solo qualche mese fa sembrava impossibile immaginare di dover utilizzare la parola “guerra” all’inizio di una relazione assembleare.

Eppure, sta succedendo.

Lo stupore iniziale, quando volevamo credere a un conflitto regionale limitato, ha ormai ceduto il passo a una tragica, dolorosa, consapevolezza. Il virus della guerra non è debellato definitivamente dal continente europeo.

E va contrastato oggi con la stessa determinazione con la quale abbiamo sostanzialmente vinto contro la pandemia.

Il vaccino contro la guerra esiste.

Lo troviamo nei valori occidentali ed europei, nel multilateralismo tenace e nel coordinamento paziente tra stati liberi e democratici.

Lo si scopre dentro le azioni ragionevoli per la pace equa, dentro la solidarietà e l’aiuto concreto alle vittime ucraine e ai profughi di guerra.

L’Europa si è manifestata nelle sue migliori qualità: durante la pandemia e oggi nel contrasto al conflitto.

Ci si può sempre lamentare dicendo che sono stati fatti degli errori, “che si poteva e doveva fare di più e meglio”.

Ma a cosa, a chi, gioverebbe?

Abbiamo valori, cultura, legami e risorse per risolvere i problemi della situazione attuale.

Abbiamo valori per superare le incognite delle crisi multiple planetarie.

Abbiamo valori per guardare con speranza e con fiducia al futuro e per sanare le devastazioni – materiali e ideali – della guerra.

Lo ha anche ricordato, con forza, il Presidente Mattarella, qualche giorno fa.

 

Italia e prospettive economiche

Pensiamo all’Italia.

In questo quadro difficilissimo, il nostro Paese non è più considerato “il malato” d’Europa.

Da una parte, questa nuova credibilità non ci mette certo al riparo da possibili ricadute.

E, dall’altra parte, dimostra che il cambiamento è possibile.

L’Italia nel momento più buio ha reagito con impegno e responsabilità, cogliendo insperati successi.

Le imprese e i lavoratori, con il contributo concreto delle istituzioni, hanno consentito una reazione vitale e robusta che ha superato ogni previsione.

Lo scorso anno il PIL è cresciuto del 6,6%.

Questa spinta è proseguita fino a oggi, seppure fortemente indebolita da una sequenza quasi insostenibile di shock negativi.

Crisi economica, crisi geo-politica, crisi energetica. Oggi si affaccia anche lo spettro della crisi alimentare.

In tutto questo, se non c’è stata anche una crisi sociale, lo dobbiamo proprio ai corpi intermedi, quelli che hanno funzionato e sono realmente rappresentativi. E lo dobbiamo anche alle istituzioni del territorio, alle autonomie funzionali, come le Camere di commercio.

E, lasciatemelo aggiungere, la Confcommercio, con responsabilità, dedizione e impegno quotidiano, ha tante volte esercitato in questi anni la difficile funzione di trasformare la protesta in proposta e l’incertezza in comunità.

Non ne facciamo un vanto, ma ne siamo profondamente orgogliosi.

Riconosciamo che ci attendono sfide difficili.

Con l’impennarsi delle quotazioni energetiche di fine 2021, era già chiaro che questo 2022 ci avrebbe dato filo da torcere.

Poi, è arrivata la guerra in Ucraina. Tra le tante conseguenze drammatiche e quelle complicate per l’economia, si sono acuiti i problemi pregressi.

Problemi pregressi, tanto sul fronte delle quotazioni internazionali degli input energetici e delle altre materie prime, quanto sul versante dell’agibilità delle catene di fornitura globali. Nodi che rilanciano l’esigenza di un’azione coordinata sull’import strategico.

Riteniamo che per il 2022 la crescita reale del PIL si attesterà intorno al 2,5%: una dinamica compressa da un’inflazione che collochiamo per quest’anno in media attorno al 6,5%.

Nel 2023, il prodotto dovrebbe mantenersi sostanzialmente in linea con la crescita dell’anno in corso, rendendo possibile – finalmente – recuperare i livelli di attività economica registrati nella media del 2019.

La ripresa dei consumi sarà invece più lenta: solo a fine 2023 si ritornerà ai livelli pre-pandemici.

E questo nell’ipotesi che, entro il prossimo autunno, si risolvano le tensioni sulle materie prime e in generale sul quadro geopolitico.

 

Il terziario e la ripresa economica

Ma, qui, subentra un fatto nuovo.

I dati del 2021 rivelano già una sostanziale differenza rispetto alla storia economica del nostro sistema produttivo degli ultimi decenni.

Prima di questa crisi, il terziario di mercato, cioè le nostre imprese, anche nei periodi difficili per l’economia, riusciva a riassorbire e compensare gli effetti negativi, soprattutto sotto il profilo dell’occupazione.

Oggi, invece, i servizi hanno lasciato sul campo della pandemia 930mila unità di lavoro rispetto al 2019.

E ciò minaccia la capacità di ripresa dell’intero Paese.

Se non riparte il terziario, non riparte l’Italia.

Guardate, una settimana fa l’Istat ha indicato, per il mese di maggio, un tasso d’inflazione al 6,9%.

L’effetto immediato è una riduzione del potere d’acquisto della ricchezza detenuta in forma liquida, il tesoretto che avevamo involontariamente accumulato durante i mesi di lockdown, impossibilitati a spendere.

Questa riduzione dei risparmi degli italiani, insieme alla crescente incertezza, rischia di frenare ancora di più i consumi.

E proprio i consumi sono il principale e prezioso carburante, è il caso di dirlo, della nostra economia, che non cresce da troppo tempo.

Nell’arco degli ultimi trent’anni, la crescita dell’Italia si ferma al di sotto del 12% a fronte dell’oltre 36% della Germania e del quasi 50% del Regno Unito, solo per fare due esempi.

Ecco: oggi abbiamo l’occasione di modificare in modo più efficiente, inclusivo e produttivo il nostro modo di stare insieme dentro le comunità locali e dentro la collettività internazionale, così da ridare all’Italia la possibilità di crescere.

Nel periodo 2021-2027, il nostro Paese deve gestire, tra PNRR e altre risorse nazionali e comunitarie, circa 470 miliardi di euro.

Ma il rischio, con queste cifre, è di confondere soldi con investimenti e riforme.

Perché, come si legge nello stesso documento ufficiale, “i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza sono innanzitutto piani di riforma”.

Come la riforma della burocrazia, che riguarda il pubblico, ma ha un enorme impatto sull’efficienza del settore privato, sul sistema delle imprese.

Certo, oggi servono anche politiche di sostegno. Ma sostegni, ora, più incisivi e più selettivi, sempre con un occhio attento alla sostenibilità del nostro ingente debito pubblico.

Abbiamo giustamente inserito in Costituzione il riferimento all’interesse delle prossime generazioni alla sostenibilità ambientale. E dunque non ha davvero senso lasciare alle “prossime generazioni” un insostenibile debito pubblico.

Il terziario di mercato resta stretto tra l’incudine di costi crescenti e il martello di consumi più deboli.

 

Il turismo

In questo ragionamento, penso, in particolare, alla filiera turistica: quella che ha più sofferto nella stagione della pandemia.

Oggi le prospettive per il turismo italiano sono buone, certo.

Ma non bastano pur significativi segni più: serve un recupero completo e questo è ancora da raggiungere.

Di turismo, invece, nelle politiche pubbliche, si parla troppo poco: se ne parla troppo poco nel PNRR, troppo poco nel Fondo complementare, troppo poco anche nel DEF, che pur ci sembra condivisibile nella sua struttura complessiva.

Il cambiamento profondo della domanda turistica rende urgente oggi quello che era già importante prima: un mercato più trasparente per non lasciare facile campo all’abusivismo e alla regola, non del più capace, ma del più furbo.

C’è urgenza, ad esempio, di identificare in modo uniforme le attività imprenditoriali.

È un tema di regole.

Com’è possibile – ad esempio – che grandi piattaforme multinazionali utilizzino il nostro capitale turistico, senza restituire niente, niente di niente, al territorio?

Gli imprenditori chiedono regole, regole giuste.

A questo proposito, i primi a chiederle sono i nostri balneari, protagonisti, con gli altri imprenditori turistici, del tema delle concessioni demaniali.

E anche qui: è passato il messaggio che il nostro mondo fosse contro le ragioni del libero mercato e della concorrenza.

Non è così.

Noi siamo da sempre a favore della concorrenza, anche se talvolta è dolorosa, spesso implacabile.

Ma è il nostro vivere quotidiano.

Chiedetelo a decine di milioni di cittadini-consumatori che ogni giorno – e più volte al giorno – ci scelgono, ci premiano, ci licenziano!

E sulle concessioni demaniali, il tema è trovare l’equilibrio tra un’apertura del mercato e la tutela dei diritti degli attuali concessionari.

Bisogna recuperare tutti i margini di intervento possibili per valorizzare il lavoro di tante famiglie, tanti imprenditori, tra cui tante donne e tanti giovani, che chiedono soltanto giuste regole e un giusto indennizzo.

Sono richieste ragionevoli!

 

La cultura

C’è, inoltre, un altro settore troppo spesso dimenticato: è l’impresa legata al mondo della cultura, che, peraltro, è una preziosa risorsa per il turismo nel nostro Paese.

Come sappiamo, durante la pandemia, si sono fermati lavoratori, maestranze e tecnici.

Ora, le imprese del settore meritano attenzione ed investimenti, perché il fare cultura è insieme passato, presente e futuro di un Paese.

E il consumo culturale va dunque incentivato, sostenendo, così, anche aziende e attività che creano relazioni in nome del sapere, come le librerie.

 

Le professioni

La crisi sanitaria ha poi stravolto lo stesso lavoro autonomo e i professionisti, interpreti di quella economia della conoscenza indispensabile, tra l’altro, per l’attuazione delle grandi transizioni del Paese e per la messa a terra del PNRR.

Occorrono nuove politiche a misura dei professionisti, a partire dai non ordinistici, con riforme che riescano ad integrare tutele specifiche con incentivi per la crescita.

Torno sulla chiarezza delle regole e aggiungo qui un’altra considerazione che riguarda gli operatori del commercio su aree pubbliche.

È singolare come norme decise dal Parlamento possano essere talvolta messe in discussione, in qualche parte del Paese, con interventi delle istituzioni amministrative.

Anche qui, ancora una volta, è in gioco il lavoro di tanti imprenditori e di tante famiglie.

Non dobbiamo dimenticarlo!

 

L'Europa

Cari amici, in questa stagione di grandi sfide, abbiamo bisogno di più Europa.

Abbiamo bisogno di più Europa per una comune politica estera e di difesa, radicata dentro scelte di campo, occidentali ed atlantiste.

Abbiamo bisogno di più Europa per una riforma compiuta del Patto di Stabilità e Crescita e per nuovi e strutturali strumenti di stabilizzazione macroeconomica.

Abbiamo bisogno di più Europa per una comune politica energetica.

Intanto andrebbe raccolta, senza indugio, la sollecitazione italiana alla costituzione di comuni stoccaggi e riserve energetiche europee.

Occorre certo rilanciare la produzione nazionale di gas e rafforzare la capacità di rigassificazione del nostro Paese.

Bisogna anche accelerare la realizzazione e l’ammodernamento di infrastrutture per l’energia da fonti rinnovabili.

Così come non ci si deve precludere la partecipazione alla ricerca sul nucleare di nuova generazione.

E va rafforzato l’impegno per efficienza e risparmio energetico.

Più Europa ancora per un Recovery Fund energetico così da far fronte alle ripercussioni diseguali della crisi energetica e delle sanzioni sui diversi Paesi.

Sempre a livello europeo, vanno anche riviste in modo strutturale le regole di formazione del prezzo dell’elettricità, anche introducendo un tetto a quello del gas.

Perché quello che non ha fatto la pandemia ai servizi e al commercio, rischiano di farlo gli insopportabili costi energetici.

 

Energia e trasporti

Riconosciamo al Governo di avere annullato, in modo provvisorio, gli oneri generali di sistema, introducendo sostegni anche per le imprese che non rientrano nelle tradizionali categorie delle “energivore” e delle “gasivore”.

Si è ridotto, in modo temporaneo, il peso delle imposte sulle bollette energetiche e sui carburanti.

Ma va attentamente valutato l’impatto di filiera della tassazione dei cosiddetti extra-profitti delle aziende energetiche.

Tuttavia, crediamo si possa fare davvero ancora di più.

Pensiamo, in particolare, a crediti d’imposta più inclusivi e ad una riforma organica degli oneri generali di sistema e della fiscalità energetica.

Cari amici, qui va ribadito che la sostenibilità ambientale o è anche economica e sociale, o non è.

Si pensi, in particolare, al settore dei trasporti e della logistica, che è decisivo, direi “abilitante”, per il resto dell’economia e che sta soffrendo con particolare intensità per il caro carburante.

E a ciò si aggiungono le nuove regole europee che prevedono misure come il superamento dei benefici del gasolio commerciale e delle agevolazioni per il gas metano e per il trasporto marittimo.

Partiamo già da un’accisa sul gasolio che è, in Italia, la più alta d’Europa.

Ogni ulteriore intervento su questo tema dovrebbe puntare ad alleviare tale deficit competitivo, non ad aggravarlo!

In generale, bisogna promuovere un approccio, direi, “laico”, neutrale dal punto di vista tecnologico, nei confronti della mobilità sostenibile.

Su questi temi continueremo e rafforzeremo il confronto con la politica e con le istituzioni.

Vanno inoltre rafforzate le buone pratiche del trasporto combinato ferroviario e delle autostrade del mare.

Perché proprio dall’economia blu possono giungere per l’Italia importanti opportunità di crescita e di sviluppo, anche in chiave euro-mediterranea.

Ed è proprio la Confcommercio la naturale casa comune della blue economy, dal turismo, alla logistica, al trasporto marittimo.

La transizione ambientale, dunque, è un orizzonte “prossimo”, così come la transizione digitale, che è ormai una rivoluzione quotidiana, che ha cambiato il nostro modo di essere cittadini, lavoratori, imprenditori.

Occorrono però strumenti adeguati.

Serve, cioè, una “Transizione 4.0” più attenta ai percorsi dell’innovazione nelle imprese dei servizi, per accompagnare le piccole e medie imprese verso il digitale, facendo leva sugli stessi ecosistemi digitali che, come Confcommercio, abbiamo promosso.

Transizione ambientale e transizione digitale dunque si incrociano, obbligandoci a ripensare la nostra identità collettiva e i luoghi dove essa si esprime.

 

Le città

Le città, dunque.

E nelle cosiddette “città dei 15 minuti” di cui si discute sono decisivi i “servizi di prossimità”.

Ancora una volta, sono dunque le nostre imprese ad essere protagoniste della vivibilità urbana.

Lo abbiamo riscoperto nella drammatica stagione della pandemia.

La nostra “prossimità”, fatta di tante attività, con le persone come protagoniste, è stata un servizio per tutti, un’occasione di socialità, un presidio di speranza.

Non lo dimentichiamo. Non dimenticatelo.

Per noi – che siamo la rappresentanza delle città e nelle città – le città restano “fabbriche di servizi”, luoghi nei quali la creatività e la capacità di innovazione, di imprese e cittadini, trova modo di esprimersi.

Anche qui entra in gioco il PNRR.

È una straordinaria occasione di rigenerazione urbana, per mettere a sistema le politiche per contrastare lo spopolamento e la desertificazione commerciale.

E va invece rafforzato il modello italiano di pluralismo distributivo.

 

I divari sociali, territoriali, generazionali

Città più inclusive, produttive ed attrattive sono la base per la riduzione dei divari.

Dei divari sociali, dei divari territoriali e dei divari generazionali.

Parto dai divari sociali, che spesso si realizzano in un deficit specifico: quello di legalità.

È stato questo uno dei grandi insegnamenti dei giudici Falcone e Borsellino, di cui ricorre in queste settimane il trentennale dei tragici attentati.

Noi consideriamo la legalità il prerequisito dello sviluppo.

Questa è una convinzione ed un impegno.

È l’impegno per la diffusione di “reti” di legalità che accompagnino i percorsi di denuncia delle vittime del racket, delle estorsioni e dell’usura.

È la richiesta, ad esempio, per potenziare e semplificare l’intervento di fondi di prevenzione e sostegno.

Divari dunque: sociali, territoriali e generazionali.

Passando a quelli territoriali, pensiamo alla distanza tra Nord e Sud del Paese, che resta ampia, troppo ampia.

Si tratta di una malattia cronica che compromette le chance di crescita dell’intero sistema-Paese.

Solo due dati: nell’ultimo quarto di secolo il numero di residenti al Nord è aumentato del 9,3%, quello degli abitanti del Sud è sceso del 2%.

Ed è proprio la demografia che sintetizza tutte le disfunzioni da cui è afflitto il nostro Sud: emigrazione, natalità decrescente, immigrazione sempre meno di “qualità”.

Fino agli anni Novanta l’emigrazione da Sud a Nord allargava la base produttiva delle regioni italiane più ricche, mentre oggi dal Nord stesso si emigra verso altri Paesi.

Così, il nostro investimento in istruzione sui giovani italiani, soprattutto meridionali, contribuisce a incrementare il PIL di altre nazioni.

È giusta e doverosa, dunque, l’attenzione che il PNRR dedica al nostro Mezzogiorno, soprattutto se, come dicevamo prima, non si interpretano le risorse come soldi ma come investimenti.

Infine, i divari generazionali, interpretati in modo marcato dalle distorsioni del mercato del lavoro.

 

Lavoro, contrattazione e welfare

Proprio il nostro essere e fare “sindacato” si declina concretamente nel perimetro del mercato del lavoro.

E qui viene al pettine il nodo dei rinnovi contrattuali, sul quale è evidente che le imprese del terziario di mercato si trovano in una situazione difficilissima, strette tra crescita dei costi e la debolezza persistente dei consumi.

È questo lo scenario in cui si colloca la questione del rinnovo del contratto collettivo del terziario.

I contratti del terziario riguardano 3,5 milioni di lavoratrici e di lavoratori.

Tutto quello che succede nel nostro contratto nazionale non solo influenza la vita di tantissime persone, ma impatta sulle dinamiche macroeconomiche del Paese.

Ne siamo consapevoli.

Quanto al dibattito sui livelli dei salari italiani, bisogna fare attenzione a non scambiare tra loro cause ed effetti.

La crisi di lungo corso della produttività e la debolezza della crescita sono le cause di fondo dell’andamento della dinamica salariale.

Non ci sono scorciatoie e, se ci sono, sono pericolose.

Serve, invece, uno straordinario impegno comune per rilanciare la produttività complessiva del sistema Paese.

E questo si ottiene attraverso buone regole e buoni investimenti pubblici e privati.

È, ancora una volta, il tema della “messa a terra” del PNRR, ma non solo.

È, più in generale, il tema di una mobilitazione, appunto, di impegni pubblici e privati per la costruzione di un futuro diverso e migliore.

Ecco, il “patto” che occorre.

Un patto per rafforzare la partecipazione al mercato del lavoro. E questo a partire dal Mezzogiorno, dalle donne, dai giovani, anche con una buona flessibilità governata e contrattata.

Un patto per costruire robuste politiche attive fondate sulla cura delle competenze, sulla formazione, come condizione strutturale di occupazione, di buona occupazione, che è poi il fondamento di una maggiore sicurezza sociale.

Un patto che diventa così una risposta alla questione del salario minimo.

Una risposta che si basa sulla valorizzazione erga omnes dei trattamenti economici e del welfare contrattuale previsti dai contratti collettivi.

Contratti collettivi, intendiamoci, stipulati da chi realmente rappresenta il mondo del lavoro ed il mondo delle imprese. E tutto ciò significa anche contrastare in modo effettivo il dumping contrattuale.

Ci ha fatto grande piacere che tante voci autorevoli nel Governo, commentando la decisione europea sul salario minimo, abbiano ribadito la centralità del sistema della contrattazione collettiva, che caratterizza in positivo il nostro Paese.

Per quel che riguarda il reddito di cittadinanza, non ne neghiamo certo l’utilità per le fasce di popolazione più deboli. Ma vanno rafforzati i controlli e va accelerato il decollo delle politiche attive per il lavoro.

Diversamente, non si rende un buon servizio alla costruzione di una sicurezza sociale “possibile e sostenibile”, come l’avrebbe definita Marco Biagi.

Diversamente, non si rende un buon servizio all’incontro difficile tra domanda e offerta di lavoro.

Perché, poi, i nostri imprenditori oggi vivono un paradosso: fanno di tutto per ripartire con costi sempre più insostenibili e al tempo stesso non trovano la manodopera che serve per il rilancio dell’economia.

Un’Italia più attiva e più innovativa: questo dovrebbe essere l’obiettivo dell’impegno comune.

Un obiettivo che richiede scelte puntuali in materia di riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro.

Che richiede, ancora, una compiuta applicazione di un principio di “bonus malus” per i nuovi ammortizzatori sociali, che certo sono più inclusivi, ma anche più costosi.

Un obiettivo comune che richiede, infine, la stessa detassazione degli aumenti contrattuali.

Un’Italia più attiva e più innovativa, dunque. Che mantenga saldo nel sistema previdenziale, il patto tra generazioni.

E che riconosca l’importanza crescente del welfare integrativo di matrice contrattuale sia sul versante previdenziale, sia su quello sanitario.

E qui lasciatemi fare un inciso sul tema dei buoni pasto.

Con i buoni pasto, le aziende hanno potuto esternalizzare un costo e i lavoratori hanno potuto avere un servizio diffuso, con relativi benefici fiscali e contributivi.

Ma alla fine, chi permette l’utilizzo dei buoni pasto – e resta con il cerino in mano – sono proprio le nostre imprese.

Perché non è possibile che tante imprese della ristorazione, dei pubblici esercizi e della distribuzione alimentare si trovino schiacciate tra costi crescenti e commissioni altissime.

Non è giusto, non è accettabile!

 

Credito

C’è poi il tema del credito, a partire dagli strumenti a supporto della liquidità.

Vanno rafforzate le sinergie tra gli strumenti pubblici di garanzia ed i Confidi di matrice associativa.

L’obiettivo dovrebbe essere quello di consolidare e ristrutturare i prestiti bancari con l’estensione dei piani di ammortamento.

Resta centrale il tema delle moratorie dei prestiti bancari, ma anche quello delle moratorie fiscali.

Per quel che riguarda gli strumenti della moneta elettronica, ormai imprescindibili nella nostra quotidianità, è necessaria una stabile e strutturale riduzione dei costi, a partire dall’azzeramento delle commissioni sui pagamenti di piccolo importo.    

Meno commissioni, non più sanzioni!

 

Tasse e riforma del catasto

Resta, poi, il tema dei temi: quello delle imposte.

Bene il regime transitorio a tassazione ridotta in presenza del superamento dei parametri della “flat tax”.

Giusta la neutralità della forma giuridica dell’impresa ai fini del reinvestimento degli utili prodotti.

Permettetemi solo una battuta sulla riforma del catasto.

Se il contrasto dell’abusivismo edilizio è un principio che vede tutti d’accordo, non sarebbero accettabili, invece, maggiori tasse sulla casa.

La tutela del “bene casa”, anche nello stesso ambito del riordino delle spese fiscali, sia anche l’occasione per maggiore chiarezza e certezze sul sistema dei bonus.

Certo, riguardo la cessione del credito dei bonus edilizi, le misure del recente “decreto aiuti” vanno nella giusta direzione ma non sono ancora sufficienti. Perché molte aziende stanno rischiando il corto circuito economico e finanziario e si ritrovano con il cassetto fiscale pieno di crediti bloccati.

Riteniamo nel complesso giusti gli obiettivi della Legge Delega per la revisione del sistema fiscale: semplificazione e riduzione degli adempimenti; crescita dell’economia; progressivo superamento dell’IRAP; riordino di IRPEF, IRES ed IVA.

Ma – lo diciamo subito – per l’Iva non è possibile pensare solo a meri incrementi del gettito ed occorre particolare attenzione agli equilibri di mercato per imprese e consumatori.

E anche su questo fronte siamo impegnati.

Siamo impegnati al contenimento, il più possibile, dell’impatto dell’inflazione sul potere d’acquisto.

Tra l’altro, sarebbero utili misure di riduzione dell’Iva a partire dai beni di largo e generale consumo.

 

Conclusioni

Autorità, Gentili ospiti, cari amici della Confcommercio, io credo che, al di là dei numeri, saremo migliori solo se avremo imparato qualcosa dalla crisi.

È tempo di scelte impegnative. A partire dalla politica, che scelga di sottrarsi al cosiddetto “presentismo”, ai rendimenti di breve termine, recuperando lo sguardo lungo.

Lo sguardo lungo che implica le ragioni delle “competenze” così preziose per democrazie aperte al futuro.

L’Italia di oggi è, infatti, un Paese molto diverso da quello che abbiamo lasciato nel 2019.

È un Paese per molti aspetti più povero, più fragile, più polarizzato: tra territori, tra generazioni, tra ceti sociali.

Ma è anche un Paese che ha dimostrato di avere risorse materiali e morali eccezionali, persino insperate.

A partire dagli imprenditori del commercio, del turismo, dei servizi, delle professioni, dei trasporti e della cultura.

Abbiamo resistito prima, ci siamo adattati poi, ci stiamo re-inventando oggi. Senza però perdere la capacità di interpretare lo spirito autentico delle comunità, dei territori e delle categorie economiche.

Abbiamo dimostrato responsabilità e determinazione a partire dai nostri collaboratori.

Abbiamo recuperato ovunque il senso, il “perché”, del nostro lavoro, delle nostre attività, delle nostre imprese.

Abbiamo dato gambe alla ripresa e cuore alla speranza.

Abbiamo dato tutto.

E non ci fermiamo qui. Non abbiamo nessuna intenzione di fermarci qui.

Noi ci siamo. Qui oggi siamo in tanti, in tantissimi. Noi ci siamo.

Confcommercio c’è. Confcommercio c’è stata.

Accanto alle imprese. Accanto alle comunità. Accanto al Paese.

Confcommercio oggi c’è.

Confcommercio domani, certamente, ci sarà.

Ci sarà per rappresentare, ci sarà per sostenere, ci sarà per dare volto e voce alla voglia di futuro dell’Italia.

Grazie.

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