RIFLESSIONI SUL DOPO-RECESSIONE: IL RUOLO DEI SERVIZI E LE PROSPETTIVE DEL MEZZOGIORNO (E QUINDI DELL'ITALIA)

RIFLESSIONI SUL DOPO-RECESSIONE: IL RUOLO DEI SERVIZI E LE PROSPETTIVE DEL MEZZOGIORNO (E QUINDI DELL'ITALIA)

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12 marzo 2010
OSSERVATORIO SUI CONSUMI


 

 

 

 

 

 


Riflessioni sul dopo-recessione:

il ruolo dei servizi e le prospettive del Mezzogiorno (e quindi dell’Italia)

 

MARIANO BELLA

DIRETTORE UFFICIO STUDI CONFCOMMERCIO

 

 

 

 

 

 

 

Forum di Cernobbio, 12 e 13 Marzo 2010


Nel biennio 2008-2009 il Prodotto interno lordo italiano ha subito una contrazione complessiva pari al 6,3% in termini reali. L’Istat ha rivisto al ribasso anche la valutazione del Pil italiano per l’anno 2008, da -1% a -1,3%, una correzione piuttosto rilevante. La caduta del processo di creazione di ricchezza è stata profonda e duratura, interessando quasi un intero biennio. Tale fenomeno è unico nella storia economica repubblicana.

Tutte le valutazioni sulla ripresa in corso, pertanto, devono essere lette alla luce della caduta pregressa. In altre parole, il ritorno ai livelli pre-crisi, tanto in termini di Pil quanto di consumi delle famiglie, richiederà tempo e ingenti sforzi da parte di tutti gli operatori. Allo stesso modo, si conferma quanto ipotizzato più volte in questi anni da Confcommercio. Il problema del paese non è tanto la crisi quanto piuttosto l’incapacità di crescere nei momenti buoni. Le debolezze strutturali dell’Italia fanno sì che cogliamo marginalmente le opportunità dei momenti di picco nell’attività economica mondiale e subiamo, invece, pienamente, gli influssi delle fasi recessive.

 

Fig. 1 - Terziarizzazione: tendenza mondiale

Per l’Italia, la questione centrale resta quella della crescita: la produttività dell’ipotetica Azienda-Italia continua a declinare. Per produrre un po’ di più, in Italia, è necessario lavorare e investire in capitale produttivo molto di più.

Queste considerazioni portano a sottolineare la necessità e l’urgenza di una riflessione al di là delle emergenze. Due sono le indicazioni che vogliamo oggi suggerire: ripensare a un ruolo diverso dell’Italia nell’economia terziarizzata e valorizzare il Mezzogiorno.

I metodi di produzione e i contenuti dei consumi sono sempre più orientati alla definizione di strumenti per risolvere problemi, creare esperienze, generare significati. La dimensione immateriale cresce costantemente. Le esportazioni mondiali sono sempre più orientate ai servizi (fig. 1).

 

Fig. 2 - Esportazioni italiane e mondiali di beni in quantità (1990=100)

 

Rispetto alle esportazioni mondiali di beni, le economie avanzate palesano una drastica riduzione di quota. E’ difficile, se non impossibile, vincere la battaglia contro i paesi che palesano una produttività molto maggiore di quella delle economie mature assieme a un costo del lavoro molto inferiore. D’altra parte, la quota di esportazioni di servizi sul totale esportazioni mondiali tende a crescere. Il tempo dell’economia post-industriale è il tempo dei servizi, anche come scambio tra aree mondiali (assicurazioni, noli marittimi, servizi alle imprese e alle persone e, soprattutto, turismo). L’Italia dovrebbe scegliersi un ruolo in questo irreversibile processo, proprio all’interno delle economi più evolute.

D’altra parte, la reattività delle nostre esportazioni di beni rispetto al commercio mondiale di beni è declinante (fig. 2). Nel decennio 1991-2000 il commercio di beni è cresciuto di oltre il 100% contro una variazione delle esportazioni italiane inferiore all’80%. Dopo l’epoca, tramontata definitivamente, delle svalutazioni competitive ma “miopi”, nel periodo 2001-2009 (inclusa la crisi) il commercio mondiale di beni è cresciuto di un terzo mentre il nostro export di merci si è ridotto del 15,6%. Oggi il livello a prezzi costanti delle nostre esportazioni di beni è tornato ai valori di fine anni ’90 sebbene ampie sezioni dei settori vocati all’esportazione abbiano manifestato grande capacità di mantenere le quote a valore riqualificando la produzione e cercando mercati di sbocco più profittevoli. Non si tratta di impostare una sterile polemica “servizi contro manifattura esportatrice”, un’eccellenza assoluta del nostro Paese. Si tratta, invece, semplicemente di comprendere che essa va accompagnata da una nuova e decisa azione di sviluppo del valore aggiunto dei servizi. Una strada, naturale per l’Italia, è di sviluppare servizi turistici, quelli effettuati ogni giorno di alberghi, ristoranti, bar e da tutte le altre imprese situate sul nostro territorio che vendono a persone non residenti. D’altra parte, se si considera la dotazione di fattori produttivi di un Paese, cosa che dovrebbe influenzarne la sua specializzazione produttiva, si comprende come il ruolo del turismo in Italia sia sottodimensionato, con specifico riferimento al turismo consumer (fig. 3).

 

Fig. 3 - Made in: saldi dei principali settori attivi con l’estero (mln. di euro)

 

D’altra parte, se il saldo turistico consumer - cioè la differenza tra la spesa dei turisti in Italia e quanto gli italiani spendono all’estero, in percentuale del Pil - fosse per l’Italia pari all’analogo rapporto che si riscontra per un Paese come l’Austria, il nostro prodotto lordo potrebbe crescere di 25 miliardi di euro circa, tra l’1% e il 2% del Pil (fig. 4). Questa valutazione, apparentemente ingenua, è non priva di qualche suggestiva indicazione per politiche attive di tipo settoriale (fiscalità di vantaggio, regime Iva, controllo del territorio, politiche di marketing istituzionale per la destagionalizzazione dei flussi incoming…). Tanto più se si considera che è proprio il Mezzogiorno a risultare penalizzato in termini di contributo al Pil del saldo turistico consumer (fig. 4). E’ questa relazione servizi-turismo-Mezzogiorno-Italia che bisognerebbe sviluppare e valorizzare.

 

Fig. 4 - Turismo: (eccellenza) da valorizzare (soprattutto al Sud)

 

I parametri di performance del settore turistico nel Sud sono insufficienti: solo l’11,4% della spesa totale incoming per l’Italia va al Mezzogiorno (3,6 miliardi di euro su 31,6 miliardi complessivi di esportazioni di servizi turistici ai consumatori stranieri). Inoltre, nel corso del tempo il peso delle presenze di turisti stranieri nel Sud si riduce, partendo da proporzioni particolarmente esigue: su 100 presenze nel Nord-Est, oltre 47 sono straniere mentre nel Mezzogiorno questo parametro non raggiunge 30.

 

La crisi ha colpito tutti i territori. Nella media del periodo 2009-2011, nessuna delle province italiane mostrerà una variazione positiva del valore aggiunto reale.

I divari territoriali sono in fase di amplificazione: la recessione ha colpito le economie più fragili. E’ vero che la manifattura esportatrice (il settore colpito prima e più profondamente) è più presente nel Nord del paese ma è anche vero che il Pil costituito da economia sommersa nel Sud non può assolutamente giovarsi degli ammortizzatori sociali legati all’economia emersa: una parte di questa produzione è del tutto scomparsa.

 

Fig. 5 - Divari territoriali: stato attuale (stime anno 2009)

 

Nella media del 2009 nel Mezzogiorno risiede quasi il 35% della popolazione che produce il 22,6% del valore aggiunto (Pil) e consuma il 26,5% del totale risorse destinate al consumo in Italia (fig. 5). Ovviamente, queste proporzioni riflettono distanze notevoli nei parametri pro capite: il prodotto pro capite è circa il 50% al Sud rispetto al Nord-Ovest mentre il distacco si accorcia in termini di consumi (68%). Se dalle macro-ripartizioni si misurano i divari su territori più ristretti, come le province, i consumi pro capite passano da 22.000 euro a testa circa a Forlì ed Aosta a circa 10.550 ad Agrigento, Enna o Potenza, con uno scarto superiore al 50%.

Tutti gli altri dati su povertà (assoluta e relativa) e sulla disoccupazione (giovanile e totale) confermano le distanze. Diversi studi testimoniano che tali divari sono più accentuati in Italia rispetto ai divari territoriali che si riscontrano nei principali paesi europei. 

Una riflessione complementare sui gap territoriali riguarda le variabili di contesto, quelle dimensioni della vita quotidiana dei consumatori e delle imprese che influenzano direttamente il benessere fruito e, allo stesso modo, hanno un impatto sul rendimento del capitale investito, rendendolo più o meno produttivo. Alcuni dati (fig. 6), forniti a titolo di esempio, evidenziano che investimenti su variabili non strettamente economiche, come la rete idrica, sono necessari per arricchire di reali contenuti la dimensione della cittadinanza.

 

Fig. 6 - Divari territoriali: variabili di contesto e patologie

 

Lo stesso si può dire per la questione relativa alla giustizia civile (qualunque siano le cause che determinano una durata quasi tripla nel Sud rispetto al Nord-Est): anzi, sulla questione, vi è ampia e concorde evidenza empirica che l’ammontare di investimenti diretti dall’estero è fortemente scoraggiato dai malfunzionamenti della giustizia, soprattutto civile.

Questione correlata, ma a sé stante, è il peso della criminalità sul funzionamento dell’economia: calcolando i costi diretti - spese di contrasto privatamente sostenute, spese per le cure dovute a ferimenti negli atti criminosi subiti, spere per ripristino da danneggiamenti e assicurazioni - emerge un costo, per i settori del commercio e dei pubblici esercizi, di 8,7 miliardi di euro, pari al 4,2% del valore aggiunto. Per le imprese del Mezzogiorno il costo per azienda in percentuale del redito prodotto è il 7,8%.

Seppure stime di prima approssimazione, queste evidenze chiariscono che il rilancio del sistema produttivo del Mezzogiorno passa dalla rimozione di questi ostacoli: nessuna impresa, probabilmente da nessuna parte del mondo, può permettersi un’extra-imposta di quasi l’8% del reddito prodotto.

La crisi si innesta in questo scenario di bassa crescita generalizzata e divari territoriali profondi. Essa non avrebbe potuto creare più ostacoli al meccanismo perequativo insito nel progetto di riforma federalista dello Stato. Le regioni ricche lo sono di meno e quindi meno possono trasferire. Quelle povere hanno maggiore bisogno di trasferimenti (fig. 7).

 

Fig. 7 - Divari territoriali crescono

 

Il biennio 2008-2009 acuisce i problemi e rischia di restituire ai policy makers un’Italia più difficile da tenere insieme. Governare la crisi durante la crisi è difficile, ma i cittadini ne comprendono l’oggettiva complessità. Governare la ripresa lentissima dopo la crisi, con livelli ridotti di benessere e crescenti domande di protezione sociale, può risultare molto più arduo. E’ anche per tale ragione che la crescita del Paese passa da quella del Mezzogiorno.

 

Mezzogiorno e turismo, Mezzogiorno e servizi. Ma anche Italia nel processo di terziarizzazione delle economie avanzate. Gli incubatori dell’innovazione terziaria sono le città. Le 13 città più popolose - incluse in altrettanti sistemi locali del lavoro - rappresentavano poco meno del 30% della popolazione residente nel 2005, con una verosimile moderata crescita di questa proporzione nell’ultimo quinquennio. Il valore aggiunto prodotto in questi sistemi locali da chiunque vi lavori, quindi anche dai non residenti, sfiora il 36% nel 2005.

 

Fig. 8 - Dai distretti industriali alle città terziarie

 

L’occupazione assoluta e il tasso di opportunità di essere occupati se si è residenti in questi macrosistemi cittadini risultano sempre maggiori rispetto alla media nazionale. Il prodotto medio per occupato segue gli stessi profili. Di più: la quota di valore aggiunto prodotto dai servizi in tali sistemi locali raggiunge il 40%, palesando una significativa accentuazione di specializzazione delle grandi città nella produzione di servizi (anche a prescindere dal valore aggiunto prodotto dalle amministrazioni pubbliche residenti). Contro una media territoriale del 66,7% di valore aggiunto nei servizi del resto del Paese, l’agglomerato di queste 13 città economiche palesa un peso pari al 79,4% del valore aggiunto dei servizi sul totale del proprio prodotto netto.

Insomma, la città “economica”, intesa come entità fluida che fornisce spazi e tempi alle relazioni socio-economiche estese, e al di là dei confini del comune amministrativo, assume un  rilievo sempre crescente. Si sta passando dai distretti industriali alle città terziarie.

Sono questi i pilastri di un nuovo, possibile, modello economico orientato ai servizi, incentrato sulle città fluide: in questo modello non ci dovrebbero essere regioni d’avanguardia e regioni al traino. Il Mezzogiorno sarebbe necessariamente protagonista.

 

Le prospettive di uscita dalla recessione sono deboli e incerte. Seppure permane ridotta la probabilità di una nuova caduta della produzione e dei consumi, si conferma la prospettiva di modesti tassi di variazione del Pil trimestre su trimestre almeno fino alla metà del 2011. Il quadro macroeconomico previsionale (fig. 9) presenta, rispetto a un mese fa, una correzione marginale al ribasso per Pil e consumi nell’anno in corso (da 0,9% a 0,8% e da 0,7% a 0,6% rispettivamente).

Il sistema degli ammortizzatori sociali, opportunamente esteso e potenziato con i provvedimenti del Governo durante il 2009, sta funzionando bene. L’accumulazione di risparmio privato permette di limitare la caduta dei consumi. La prudenza del sistema bancario italiano ha evitato alle istituzioni pubbliche la necessità di costosi salvataggi, che negli altri paesi faranno sentire nel medio termine il loro peso sugli operatori di mercato. E’ necessario che alla prudenza siano associati, oggi più che mai, i valori e le pratiche di lungimiranza nell’erogazione del credito e cooperazione con l’impresa diffusa nella costruzione della ripresa. D’altra parte, non mancano le preoccupazioni per la crescita della disoccupazione. L’espansione della produzione non attirerà nuova occupazione finché il prodotto per occupato non migliorerà adeguatamente, proprio perché esso si è ridotto nel corso del biennio recessivo (in cui l’input di lavoro si è ridotto meno del Pil). E’ il livello aggregato della produzione che stabilisce i tempi, i modi e gli ammontari dell’espansione della base occupazionale.

 

Fig. 9 - Prospettive: quadro macroeconomico (ripartiamo dai livelli di Pil e spesa pro capite di inizio 2000)

 

Tanto le indicazioni sulla produzione industriale quanto i dati dell’Indicatore dei Consumi Confcommercio segnalano una ripresa in corso. Essa stenta però a consolidarsi, nel senso che se sono superati i livelli minimi raggiunti all’inizio del 2009, sono presenti ancora oscillazioni nel trend di recupero. L’ICC di gennaio è negativo in termini congiunturali (-0,3%) e il clima di fiducia rilevato dall’ISAE mostra nello scorso mese di febbraio una riduzione; il Pil del quarto trimestre del 2009, secondo l’Istat, è negativo per due decimi di punto rispetto al trimestre precedente. L’uscita dalla recessione è, dunque, più difficile del previsto. Il 2010 si presenta come un anno molto complicato sia per le imprese sia per le famiglie. Anche per il 2011 non è prevista un’accelerazione significativa dell’attività economica e quindi non vi sarà alcun rilevante miglioramento nel profilo della spesa reale per consumi.

 

E’ doloroso, ma opportuno, sottolineare che oggi il prodotto lordo e i consumi sono su livelli pro capite, al netto dell’inflazione, pari a quelli di circa dieci anni fa. Ancora peggio: se il tasso di variazione di queste variabili dovesse confermarsi attorno all’1% aggregato, come indicato nel quadro macroeconomico, data una crescita della popolazione residente di circa 2-3 decimi di punto per anno, come accaduto nell’ultimo quadriennio, si tornerebbe ai livelli dei consumi pro capite pre-recessione (2007) soltanto nel 2015 mentre per riprendere i livelli di Pil pro capite pre-recessione si dovrebbe attendere il 2019.

Questi banali conteggi, ipotetici ma verosimili, visto che è piuttosto difficile immaginare tassi di variazione delle grandezze economiche per il futuro prossimo molto maggiori di quelli sperimentati nel periodo 2005-2008, suggeriscono quanto pressante sia la necessità di un cambiamento nel senso della realizzazione delle riforme strutturali da sempre auspicate: soprattutto quella relativa al rilancio degli investimenti in education, ricerca e formazione continua, e quella fiscale, attraverso una congiunta azione di recupero di evasione e riduzione delle aliquote legali. Queste riforme vanno declinate lungo un asse di azione che veda i servizi di mercato e il Mezzogiorno come soggetti la cui produttività va certamente accresciuta. Pena, una progressiva marginalizzazione del paese rispetto all’economia e alla politica europea e internazionale.

 

 

 

NOTE

 

ELABORAZIONI, STIME E PREVISIONI UFFICIO STUDI CONFCOMMERCIO SU DATI DI VARIE FONTI

 

FIG. 1: ECONOMIE AVANZATE: UE15, NAFTA, AUSTRALIA, NUOVA ZELANDA, NIEs; QUOTE IN $ CORRENTI; FONTE WTO

FIG. 2: EXPORT MERCI (BENI); DOLLARI CONCATENATI PER MONDO, EURO CONCATENATI PER ITALIA; FONTE: CPB-NETHERLANDS BUREAU FOR ECONOMIC POLICY ANALYSIS

FIGG. 3-4-5: FONTE ISTAT

FIG. 6: DIVARI TERRITORIALI FONTE SVIMEZ E UFFICIO STUDI CONFCOMMERCIO

FIGG. 7-8-9: FONTE ISTAT

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