Ruote d’Italia : “Sciuscia e sciurbi nu se peu!”

Ruote d’Italia : “Sciuscia e sciurbi nu se peu!”

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13 aprile 2022

Gli amici liguri mi perdoneranno se ricorro ad uno dei loro modi di dire per trattare un argomento spinoso, che sta catalizzando l’attenzione tanto della politica quanto dei media e che, soprattutto, riguarda il futuro degli italiani.

In parole semplici significa che è semplicemente demenziale inseguire le logiche vetero-ambientaliste che in questi anni hanno utilizzato il pretesto dell’ecologismo solo per impedire la realizzazione di opere di pubblica utilità. Opere che avrebbero migliorato la vita dei cittadini e aumentato la competitività delle imprese, colmando in tempi brevi quelle lacune che oggi, a causa del conflitto in corso, emergono in tutta la loro gravità. Bene la ricerca di soluzioni per la salvaguardia dell’ambiente, ma oggi è primario tutelare le attività delle imprese e garantire ai cittadini il giusto tenore di vita. I latini dicevano: “primum vivere, deinde filosofari”.

Nessuno mette in discussione la necessità di avere un rispetto profondo per il pianeta. Come dice il Santo Padre, la tutela dell’ambiente, dono del Creatore, è un dovere morale per tutti, soprattutto per i credenti. Noi siamo con Lui. Purtuttavia, ci permettiamo di non condividere la suprema certezza della quale fanno sfoggio quanti riconducono i cambiamenti climatici alle attività antropiche. La questione è troppo seria per erigere a nume tutelare una “giovane icona” che sbandiera frasi fatte ma che non sarebbe in grado di sostenere un confronto scientifico serio e fondato. Al contrario, riteniamo che andrebbero prese un po’ più sul serio le opinioni scettiche di alcuni premi Nobel e che andrebbe attribuito il giusto peso all’evidenza, da tutti riconosciuta, che anche in passato il nostro pianeta ha conosciuto fasi cicliche di surriscaldamento e raffreddamento delle temperature medie globali.

Perché allora il ricorso ad un detto genovese? Per il semplice motivo che il nostro Paese si trova oggi nella necessità di dotarsi, il più rapidamente possibile, di risorse energetiche adeguate al fabbisogno della popolazione. Anche in questo caso il detto di Napoleone ci aiuta: “on s’engage et puis on voit”: oggi dobbiamo pensare a risolvere i problemi immediati.

Pochi lo sapranno, in particolare le giovani generazioni, ma l’Italia è stata costretta da una decisione assunta tra gli anni 80/90, con un referendum, ad abbandonare l’energia nucleare. Il che ha prodotto non solo la chiusura delle centrali esistenti, ma anche il divieto di realizzarne altre. Il risultato lo si desume dai conti dello Stato, che compra energia generata da centrali nucleari estere, ma situate a ridosso del nostro Paese, sostenendo un costo superiore ai 40 miliardi di euro/anno. Parafrasando un adagio del passato, secondo cui c’era chi socializzava le perdite ed interiorizzava gli utili, potremmo dire che nel caso del nucleare si è deciso di socializzare i rischi e pagarne anche i costi.

Oggi il Paese subisce le conseguenze di una guerra assurda che si svolge a circa 1300 kilometri da noi. Una di queste, è il rischio incombente di vedere ridotte, o peggio interrotte, le forniture di gas e petrolio dalla Russia. Questo sta mettendo a rischio non solo i conti economici, ma anche le condizioni di benessere e vivibilità dei cittadini.

In una situazione di emergenza, gli interventi dovrebbero tendere a concentrarsi sulle soluzioni più rapide possibili. Una delle strade percorribili è quella di utilizzare, quantomeno nella fase attuale, tutte le fonti che possano fornire al Paese l’energia necessaria, carbone compreso. Non si può andare troppo per il sottile. Siamo in emergenza ed in tale condizione necessitano scelte di uguale carattere.

È di questi giorni la notizia, peraltro abbastanza passata sotto silenzio, che ben 37 interventi per consentire le trivellazioni nel mediterraneo, ricco di giacimenti di gas, sarebbero in fase di stallo a causa del PiTESAI (Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee) che non solo limita le estrazioni, ma restringe le aree dalle quali si potrebbe estrarre il gas. In questa situazione, che rischia di evolversi in modo ancor di più drammatico, il nostro Esecutivo pensa più a dibattere su nuove tasse patrimoniali oppure su temi, sicuramente importanti, ma non della medesima urgenza. Il PiTESAI fu proposto ed approvato dal governo Conte e così tutto è rimasto fermo. Oggi il nostro ministro degli Esteri e lo stesso Presidente del Consiglio girano il mondo alla disperata ricerca di energia da acquistare. Allora perché non guardare anche alle risorse di cui disponiamo in casa nostra?

Non sovviene a questi politici emergenti che l’approvvigionamento energetico è la vera priorità e che è su questo, piuttosto che su altre amenità come la “mobilità dolce”, che dovrebbe concentrarsi l’impegno dell’Esecutivo?

Investire risorse per realizzare le piste ciclabili o per incoraggiare l’uso dell’elettrico e dell’idrogeno – soluzioni di grande prospettiva, ma in un lontano futuro - ed elaborare piani che forse si realizzeranno tra venti o trent’anni, è davvero quello che ci serve oggi? La “transizione ecologica” riveste una grande importanza, ma non sarebbe meglio indirizzare gli sforzi verso iniziative che consentano, alle imprese e ai cittadini, di superare i problemi attuali?

Signori del Governo, non dimenticate il detto genovese: “sciuscia e sciurbi nu se peu!”.  In gioco c’è il futuro del Paese. 

 

Paolo Uggè

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