In Toscana “il lavoro è precario perché lo è il Paese”

In Toscana “il lavoro è precario perché lo è il Paese”

In crescita la quota di lavoratori assunti con contratti a termine o in somministrazione. Per la Confcommercio regionale “non è colpa del turismo perché senza turismo non ci sarebbero neppure quei posti di lavoro temporanei”.

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30 agosto 2023

“Il lavoro in Toscana si sta impoverendo. Ovvero cresce all’insegna della precarietà, dell’instabilità e di stipendi spesso troppo bassi. Da questo assunto, incontrovertibile, parte l’analisi diffusa qualche giorno fa dalla Cgil, che contiene interessanti elementi di riflessione. Purtroppo il vero humus del lavoro precario, prima ancora che il sistema imprese, è un Paese in cui la crescita è al palo ormai da oltre trenta anni, in cui ‘instabilità’ è la parola d’ordine di politica ed economia, in cui il clima di fiducia è ai minimi termini. Insomma, se il lavoro è precario è perché l’Italia è un Paese precario”. Ad affermarlo è il direttore generale di Confcommercio Toscana, Franco Marinoni, commentando la qualità dell’occupazione nella regione.

“Non è ‘colpa del turismo’ se in città come Firenze cresce di più la quota di lavoratori assunti con contratti a termine o in somministrazione, come sottolinea l’analisi di Cgil”, aggiunge il presidente di Confcommercio Toscana, Aldo Cursano, che a livello nazionale è vicepresidente di Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi. “L’attività di alberghi, bar, ristoranti, campeggi e stabilimenti balneari è caratterizzata da sempre da un alto tasso di stagionalità, così le imprese offrono quello che possono offrire. E, forse, senza turismo non ci sarebbero neppure quei posti di lavoro temporanei”. “La stagionalità non è una colpa – gli fa eco il presidente di Federalberghi Toscana, Daniele Barbetti, ribadendo il concetto - ma una caratteristica strutturale del nostro settore, indipendente dalla volontà di imprese e lavoratori, e non può essere trasformata in un capo d’accusa. Ma si può sempre lavorare insieme, pubblico e privato, per pianificare anche nei mesi di minore affluenza turistica dei calendari di eventi attrattivi che allunghino la stagione”.

“La nostra economia regionale, poi, non è legata solo al turismo”, chiarisce il direttore Marinoni. “E per fortuna, visto che solo i Paesi più poveri del mondo hanno un’economia di rendita basata quasi esclusivamente sul turismo, che mette a frutto i valori paesaggistici o l’eredità artistica del passato senza aggiungere altro. Noi invece possiamo contare anche su commercio, servizi innovativi, manifatturiero, agricoltura. Ed è evidente che se la crisi occupazionale permane è sintomo della difficoltà di tutti questi settori, nel complesso, a trovare nel nostro Paese una rampa di lancio per la crescita. Un altro fattore che non aiuta è la tipologia dell’impresa media italiana: piccola o piccolissima, spesso a gestione familiare, è naturale che sia più fragile di fronte alle fluttuazioni dell’economia internazionale”.

Quale la soluzione, quindi? Oltre alla necessità di puntare allo sviluppo per recuperare tutti quei gap – infrastrutturali e non solo – che stanno rallentando la corsa del nostro Paese, secondo Confcommercio Toscana servono anche provvedimenti concreti che favoriscano l’uso di forme contrattuali stabili nelle imprese: “prima di tutto – ricorda Marinoni - il taglio del cuneo fiscale: gli oneri a carico delle aziende sono ancora troppo alti e nelle tasche dei lavoratori finisce solo la metà di quanto gli imprenditori versano. Speriamo quindi che il Governo prosegua sulla strada dei tagli. Ma ragionando in un quadro macroeconomico serve che il nostro Paese punti allo sviluppo, trainando tutte le imprese del sistema”.

Sul versante delle retribuzioni, non sempre soddisfacenti se paragonate al costo medio della vita, secondo l’Associazione “serve rimettere al centro la contrattazione collettiva portata avanti dalle sigle veramente rappresentative del mondo datoriale e dei sindacati dei lavoratori. Oggi – sottolinea Cursano – proliferano contratti 'pirata' che espongono i lavoratori al rischio di un ribasso nelle retribuzioni medie e a minori tutele. Forse per ristabilire l’ordine servirebbe anche una legge sulla rappresentanza”.

Ancora sottostimato, poi, l’impatto del welfare aziendale nella costruzione del benessere dei dipendenti: “strumenti come i fringe e flexible benefit garantiscono ai lavoratori dipendenti una migliore qualità di vita, integrando le disponibilità di bilancio delle famiglie – fa sapere Barbetti - ma occorre semplificare le procedure di gestione e aumentare l’importo massimo erogabile con la detassazione, che adesso arriva a 3mila euro l’anno solo per i lavoratori con figli a carico. Bene l’attenzione alle famiglie, ma non trascuriamo anche gli altri lavoratori. Servono poi forme premiali per le imprese che utilizzano i benefit, così come serve una maggiore detassazione di premi e incentivi”.

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