"NO DAY"

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Taranto, 27 maggio 2003

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27 maggio 2003
Taranto

Intervento Presidente Billè

Taranto 27 maggio 2003

La crisi che ha colpito l’economia internazionale e che sta creando seri problemi anche a quella europea ha valore doppio per il nostro Mezzogiorno. Vale doppio perché rischia di bloccare un processo di sviluppo che, in quest’area, stava cominciando a dare, dopo anni di stagnazione, segnali finalmente incoraggianti. Vale doppio perché la caduta delle esportazioni sommata a quella dei consumi interni rischia di mandare in corto circuito  quel sistema di imprese che, per raggiungere livelli sufficienti di competitività, ha oggi bisogno, più di ogni altro, di fare investimenti e di ammodernare gli impianti. Vale doppio perché sta accentuando il dirottamento di capitali ed investimenti stranieri, quelli delle multinazionali  in primo luogo, verso quei paesi dell’est europeo e del sud est asiatico che, offrendo bassi costi di produzione, consentono maggiori profitti. Secondo i più recenti dati Ocse, infatti, l’Italia, per quanto riguarda la capacità di attrarre capitali stranieri, è scesa al venticinquesimo posto superata di molti punti persino dalla Grecia. E se il venticinquesimo è il dato medio, figuriamoci quale possa essere quello del Mezzogiorno.

Per fronteggiare questa situazione che ha matrici sicuramente internazionali ma che rischia di produrre effetti pesanti soprattutto nelle aree dove l’economia - ed è appunto il caso del Mezzogiorno - dispone di minori difese immunitarie, occorre, credo, muoversi alla svelta adottando terapie che possano essere efficaci nel breve come nel medio periodo.

E fra le misure possibili sono almeno tre quelle che dovrebbero avere il bollino della priorità.

1-                 Tentare, in ogni modo possibile, di far recuperare alle famiglie un po’ di fiducia sulle possibilità di ripresa della nostra economia. Oggi molte famiglie tengono chiuso il portafoglio  perché, frastornate dall’incessante flusso di notizie sul terrorismo e su tutto quel che gli si agita intorno e sentendosi abbandonate al loro destino, vivono  nel timore che possano venire tempi ancora più bui di quelli attuali. Così sta lievitando una specie di autarchia di tipo familiare: consumi ridotti al minimo e risparmi da tenere ben custoditi sotto il materasso. E questo per un prodotto interno lordo che, in Italia, si alimenta per il 60% proprio di consumi, è un colpo al cuore. Quindi si tratta, da un lato, di adottare misure che stimolino il consumo di beni durevoli e, dall’altro, di offrire alle famiglie forme di investimento che diano interessi più remunerativi di quelli attuali che oggi, in media, sotto addirittura inferiori al tasso di inflazione. Questo consentirebbe alle famiglie di recuperare potere di acquisto  e alle imprese  del Sud, viste le crescenti difficoltà che incontra l’export, di vendere di più almeno in Italia esportando al Nord quel che non riescono più a piazzare nei mercati esteri. Con un’aggiunta di assoluto rilievo: non c’è regione d’Europa che come il nostro Mezzogiorno abbia assoluto bisogno oggi di infrastrutture - una carenza che supera addirittura il 60%. E allora perché non attirare verso questo tipo di investimento anche i risparmi delle famiglie? L’offerta di interessi adeguati potrebbe essere un’ottima calamita.

2-                 Con un deprezzamento del dollaro, sui mercati, che sta mettendo in ginocchio l’export europeo, è proprio giunto il momento di ripensare la politica economica dell’Ue perché, se perdura questa situazione, le imprese francesi o tedesche o italiane rischiano di vedersi scippare, sotto il naso, e proprio dal dollaro, anche quel mercato dell’est europeo che sembrava essere fino ad ieri il loro principale destinatario. La verità è che l’Europa, con la nuova situazione che si è venuta a creare nell’economia internazionale, non può più andare avanti con una politica di stampo squisitamente monetarista. Essa, anzi, si sta trasformando in un pericoloso boomerang. Quindi occorre una sostanziale correzione di tiro: occorre affiancare a quella perseguita dalla Banca Centrale Europea una vera  politica economica che rilanci i consumi e da essi tragga le risorse necessarie per rilanciare l’occupazione e per realizzare quelle riforme che oggi, per la vecchia Europa, sono ormai diventate indispensabili. Il che vuol dire rimettere finalmente mano ad un Patto di stabilità che forse poteva essere considerato valido prima di Bin Laden ma che ora sta diventando uno strumento arrugginito, una moneta fuori corso. E, senza una revisione del patto di stabilità che consenta una politica più espansionista della spesa, a rimetterci per primo le penne sarà proprio il nostro Mezzogiorno.

3-                 Smetterla una buona volta - e l’appello è soprattutto rivolto a tutti gli operatori della politica, a qualsiasi schieramento essi appartengano - con questo assordante e continuo frastuono di polemiche che, sommate a quel che già producono, per loro conto, le guerre e le sempre nuove minacce del terrorismo, stanno facendo perdere la trebisonda alla famiglia media italiana la quale  apre la tv e sente parlare di tutto, di tutto e di più, meno che dei suoi problemi quotidiani. Che poi, qui nel Mezzogiorno, pesano davvero come pietre.

 L’economia torni ad essere il problema centrale di ogni tipo di confronto e quella dell’economia meridionale il centro del centro. Perché il Nord forse- ma è solo un eufemismo - si può permettere il lusso  di vivere, anzi di subire, per qualche tempo, anche una fase di stagnazione, ma il Mezzogiorno - e questo dovrebbe essere ben chiaro a tutti -  una cosa del genere non può oggi proprio permettersela. Significherebbe ritornare, dopo sforzi inauditi per salire di qualche piano, ripiombare di nuovo in un’economia da sottosuolo cioè da sottosviluppo. Evitiamolo, per carità.

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