"No day"
"No day"
Lecce, 5 marzo 2003
Il tema che abbiamo scelto per questo convegno non potrebbe essere, in questa Regione come, del resto, anche altrove, più attuale e scottante. Provo ad esemplificare al massimo questo problema: le probabilità che ha oggi una piccola impresa, sottocapitalizzata e nell’impossibilità di offrire solide garanzie, di ottenere un prestito o l’apertura di un credito da parte di una banca sono quasi le stesse che ha un cammello di passare attraverso la cruna di un ago. E, difatti, buona parte di esse, dopo una serie di frustranti ma inutili tentativi, sono costrette, per poter in qualche modo sopravvivere, a rivolgersi, obtorto collo, a quella selva piuttosto oscura in cui operano oggi certe anonime finanziarie. Col risultato che queste imprese o sono costrette a pagare interessi assai alti e quindi non sopportabili per il loro esiguo bilancio o finiscono nelle reti di un mercato finanziario che di legale ha spesso solo la vernice. E’ senz’altro vero che le strutture bancarie, in questi ultimi anni, anche su pressione della Banca d’Italia, hanno cercato di adottare, per quanto riguarda la concessione dei crediti, norme un po’ più duttili ma esse non sono certo sufficienti a soddisfare le esigenze reali di questo sistema di imprese. La verità è che poco o niente è fino ad ora cambiato: il 75% dei crediti continua, imperterrito, ad essere erogato solo a grandi e medie imprese cioè a società di capitale in grado di fornire un plafond di sufficienti garanzie. E poi qualcuno ancora si meraviglia del persistente “nanismo” che caratterizza il nostro sistema imprenditoriale. Ma come possono crescere le piccole imprese - il 94,9% di quelle che oggi operano in Italia ha meno di 10 dipendenti - se sono costrette a convivere con un sistema bancario che continua a volgere loro le spalle?
Vorrei darvi qualche dato di confronto. In Germania le piccole imprese - l’81,4% del totale - assorbono circa il 35%% del credito erogato. In Francia e in Olanda dove le piccole imprese sono più del 90% l’erogazione è più elevata.
C’è chi sosterrà che le piccole imprese di questi altri paesi hanno impianti più solidi dei nostri anche perché sono collocate all’interno di un sistema più efficiente e più trasparente del nostro. E può darsi che ciò sia anche vero. Ma allora non ci resta che mettere una pietra sopra le possibilità di crescita delle nostre strutture imprenditoriali e dedicarsi ad altro.
Ma le sorprese non sono finite perché vale la pena di mettere il dito su un’altra piaga, quella dei tassi attivi sui finanziamenti oggi praticati dalle banche. Mentre le amministrazioni pubbliche pagano un tasso, per un credito a breve, del 4,01%, le società finanziarie del 3,90%, l’industria del 5,79%, i servizi del 6,58%, le piccole imprese, quelle a conduzione semifamiliare che sono poi la maggioranza, pagano il 9,42%, un tasso che si avvicina a quello fissato per l'usura. E le piccole imprese del Centro-Nord usufruiscono di un tasso minore di quello praticato per le piccole imprese del Mezzogiorno (il 9,30% contro il 9,83%). E questo è un paradosso nel paradosso.
E c’è un altro aspetto da non trascurare. Il costo dei normali servizi bancari è lievitato, tra il gennaio 2002 e il gennaio 2003, dell’11,9%, quello dei servizi finanziari del 14,8% mentre, nello stesso periodo, i servizi di bancoposta sono aumentati del 26,7%. E' così che le strutture di base del nostro sistema economico rispettano il tasso di inflazione? Vogliamo andare oltre? Sommando gli aumenti dell’ultimo anno a quelli registrati nel periodo 1995-2001 si arriva ad un aumento dei costi del 44,6% per i servizi bancari, addirittura del 74,5% per quelli finanziari e del 120,5% per quelli di bancoposta.
Ma l’analisi dei servizi bancari non deve limitarsi esclusivamente alle condizioni di accesso al credito delle imprese. Essa deve riguardare anche le effettive condizioni di erogazione e trasparenza di altri servizi bancari.
Proprio in queste settimane, la ridefinizione della metodologia di calcolo della commissione interbancaria sta determinando nei fatti un aumento del costo del servizio Pagobancomat che riteniamo assolutamente ingiustificato.
Dal 2000 al 2002 il numero delle operazioni di pagamento con carta Pagobancomat è cresciuto di oltre il 70% con oltre 200 milioni di operazioni in più.
In base ad elementari principi di economie di scala, sarebbe stato legittimo attendersi una diminuzione dei costi unitari per operazione, invece, la ridefinizione della commissione interbancaria comporterà nei fatti per il 2003 un maggior onere che si stima addirittura superiore al 20 per cento.
Abbiamo immediatamente sollecitato l’attenzione di Banca d’Italia e Autorità Antitrust su questa decisione del sistema bancario che, anziché favorire un processo di crescita e di trasparenza del sistema italiano dei pagamenti, tende nuovamente a trasferire su aziende commerciali e consumatori oneri derivanti da inefficienze che permangono in alcune parti del sistema bancario.
Le aziende commerciali sono favorevoli ad una modernizzazione del sistema dei pagamenti del nostro Paese, a patto però che questa modernizzazione avvenga nel pieno rispetto dei principi della libera concorrenza e delle regole di trasparenza.
Vado verso la conclusione con alcune, spero altrettanto utili, riflessioni.
- Bisogna rivedere il sistema di garanzie per l’accesso al credito. Le PMI, infatti, non solo sono, come ho già detto, in gran parte sottocapitalizzate e non dispongono di quelle immobilizzazioni materiali che quasi sempre sono richieste a titolo di garanzia ma fondano la propria attività economica sulla capacità imprenditoriale del titolare, sulla qualità del portafoglio clienti e su un’efficace gestione delle scorte. E’ questo il metro di misura sul quale le banche dovrebbero calcolare le garanzie del credito. Ma le banche non sembrano ritenere valido questo tipo di garanzia e, nei pochi casi che lo adottano, seguono procedure esecutive che richiedono un tempo cinque volte più lungo di quello necessario negli altri paesi europei. Insomma, per favorire l’accesso al credito delle piccole e medie imprese, nell’ambito degli accordi di Basilea, le nostre strutture di credito devono non solo realizzare ristrutturazioni che consentano la riduzione dei costi, costi che, come abbiamo visto, si riversano tutti sulla clientela, ma anche cominciare a programmare strategie che, diversamente da quanto accade oggi, siano indirizzate prevalentemente a quel tipo di imprese che, a differenza delle altre - i dati parlano chiaro- stanno producendo più valore aggiunto e più posti di lavoro.
- È vero che a queste carenze suppliscono i cosiddetti confidi che, tra l’altro, avendo un forte radicamento sul territorio, hanno la possibilità di valutare il merito del credito sulla base di una diretta conoscenza dei mercati locali. Ma è anche vero che, per l’assenza di una specifica regolamentazione, il settore dei confidi è cresciuto in modo spontaneo realizzando una disordinata proliferazione di questi enti di garanzia.