"NO DAY"
"NO DAY"
Intervento di Sergio Billè
Brescia , 10 marzo
Mi sembra che il tema che abbiamo deciso di mettere al centro di questo convegno non avrebbe potuto essere più importante. Primo, perché alcuni significativi aspetti di questo caldo, anzi direi caldissimo problema sono, in questi giorni, oggetto a Bruxelles di un braccio di ferro che l’Italia ha deciso di fare con altri paesi europei e che il nostro paese deve assolutamente vincere. Secondo, perché mette sul tappeto questioni che, se non verranno opportunamente affrontate e risolte, rischiano di lasciare l’Italia ai margini, anzi oltre ai margini di quello sviluppo economico e commerciale che l’allargamento dell’Ue ai paesi dell’Est verosimilmente potrà produrre nel medio periodo.
Ed è indubbio che su queste due questioni oggi l’Italia si gioca il presente e il futuro.
Vediamo la prima, quella di cui si discute in queste ore. Ha fatto bene il nostro governo a puntare i piedi - e pare che questa volta li abbia puntati sul serio- sulle direttive fiscali che l’Ue intenderebbe emanare, a breve, per quanto riguarda la tassazione dei prodotti energetici. Il punto chiave è questo: le particolari e assai difficili condizioni in cui è costretto ad operare il nostro settore dell’autotrasporto, a causa della grave carenza di infrastrutture e di una situazione che, nel suo complesso, è tuttora per noi assai penalizzante, impongono non solo una proroga degli sgravi fiscali per il gasolio da autotrasporto ma anche un intervento sempre dell’Ue perché vengano ridotte le multe da fare pagare agli allevatori per il cosiddetto sfondamento delle quote latte.
Altri paesi sembra che non ne vogliamo sapere di accettare queste due indispensabili deroghe. Ma la carta vincente del nostro governo è che le direttive fiscali o vengono prese, in sede Ue, ad unanimità, 15 voti favorevoli su 15 votanti o non possono avere alcun vigore.
Una ragione di più per restare fermi, irremovibili sulle nostre richieste che, del resto, appaiono più che legittime.
Del resto, nel consiglio dell’Ue, è prassi concedere delle deroghe. E non si vede il motivo per cui, su altre questioni,ne siano state concesse ad altri paesi- Francia e Germania in primo luogo- e ora non debbano essere, invece, concesse a noi. Non voglio nemmeno pensare alla possibilità che il nostro governo non riesca ad ottenere queste deroghe che, per il nostro settore dell’autotrasporto, sono indispensabili.
Ma passiamo ora all’altra questione,assai più importante perché, una sua mancata soluzione, come ho detto all’inizio, taglierebbe, di fatto, fuori la nostra economia dal quel processo di sviluppo che sicuramente l’allargamento dell’Europa ai paesi dell’est comporterà.
E almeno tre sono gli obbiettivi da raggiungere per evitare un simile disastro.
1-Evitare, in primo luogo, che l’Italia venga direttamente danneggiata da politiche di trasporto europee che non abbiano, anche nello sviluppo del mediterraneo, un reale, concreto centro di interesse. Un prolungamento del corridoio Kiev-Trieste a Nord delle Alpi lungo l’asse Vienna-Linz-Stoccarda-Parigi relegherebbe l’Italia ad un ruolo di assoluta marginalità negli scambi europei, situazione resa ancora più grave dalla barriera naturale delle Alpi e dalla quasi saturazione dei principali valichi alpini. E’ evidente che, se questo scenario si realizzasse, si consoliderebbe un asse politico-economico preferenziale dell’Europa continentale, con Francia e Germania come attori principali. E’ un’ipotesi che, allo stato delle cose, appare più che realistica e che, quindi, bisogna contrastare in ogni modo. Non mi pare che si stia facendo abbastanza, invece, per contrastarla.
2- Uno scenario completamente diverso potrebbe configurarsi nel caso di passaggio di questo importante corridoio al Sud delle Alpi. Potenziamenti infrastrutturali lungo la dorsale appenninica e sulle vie adriatica e tirrenica, con un’efficiente integrazione del sistema portuale e, tramite questa struttura, della rete di autostrade del mare, vorrebbero a qualificare l’Italia come una vera e propria piattaforma logistica dell’Europa protesa nel Mediterraneo. I valichi alpini potenziati con i collegamenti ad alta velocità sia verso la Germania, dal Brennero, sia verso la Francia, dal Frejus, garantirebbero un efficace ancoraggio dell'Italia all’area economicamente più attiva dell’Europa continentale. I collegamenti paneuropei Trieste-Kiev e Durazzo-Skopje- Verna, interconnessi alla via adriatica, assicurerebbero poi i collegamenti con l’Est. E, infine, il sistema dei porti e delle autostrade del mare assicurerebbero, infine, i collegamenti con il Sud e con le economie emergenti del Far East. Insomma l’integrazione funzionale delle diverse modalità di trasporto e la piena partecipazione dell’Italia al sistema degli scambi internazionali consentirebbero non solo un sensibile miglioramento e potenziamento di tutta la filiera del nostro trasporto ma anche un rilancio dell’intero sistema produttivo italiano.
3- E per arrivare a questo risultato è indispensabile l’ampliamento della lista dei progetti infrastrutturali che l’Ue considera prioritari non solo con il collegamento ad alta velocità fino a Napoli, già accolto, del resto, dal vertice europeo di Barcellona, ma anche con potenziamenti infrastrutturali sulle entrambe le linee costiere e la piena integrazione, in questo programma, delle autostrade del mare.
3-Qual è il vero problema da risolvere per attuare questo piano? Beh, credo che tutti lo conoscano fin troppo bene: il pesante gap che l’Italia continua ad avere con gli altri paesi europei per quanto riguarda la dotazione di infrastrutture. Siamo, purtroppo, anni luce indietro. Nella classifica dei paesi del mondo redatta dall’International Istitute of Mangement Development, IMD, per valori decrescenti della densità di rete ferroviaria e stradale, l’Italia figura rispettivamente al 16° e al 15° posto e sempre alle spalle dei nostri più importanti partner europei.
Sono carenze fin troppo note perché sia necessario qui elencarle: non solo disponiamo di una rete ferroviaria del tutto insufficiente e che ci creare sostanziali svantaggi nel trasporto di merci e di persone, ma anche la rete stradale dispone di strutture che, se al Nord, appaiono solo insufficienti, al sud sono ancora da terzo mondo.
Se, quindi, non si affrontano con grande decisione questi problemi, tutti i progetti di interconnessione del nostro sistema con la grande europa che si va prefigurando rischiano di restare solo sogni, pezzi di carta, esercitazioni accademiche.
E’ vero che questo governo sta cercando di accelerare al massimo i suoi interventi per il potenziamento delle nostre infrastrutture- potenziamento dell’asse tirrenico-Brennero, valichi Brennero e Frejus,degli assi ferroviari e stradali di attraversamento della Pianura Padana, snodo di Mestre, sdoppiamento dell’autostrada nel tratto Bologna-Firenze, nuovi fondi- il 45% del totale programmato- per lo sviluppo delle infrastrutture meridonali.
Ma vi sono elementi di criticità, per l’attuazione di questo programma, che non ci sembrano ancora risolti.
La prima è quella dei tempi: se tutto andrà a buon fine, i progetti principali non potranno essere realizzati prima del 2007 cioè un anno dopo l’allargamento dell’Ue ai paesi dell’Est.
La seconda è di carattere finanziario dato che circa il 70% del programma è attualmente privo di copertura finanziaria. E se non si troveranno le risorse nei tempi programmati?
La terza è la persistente conflittualità esistente, per la realizzazione di queste opere, fra Stato ed enti locali. Alcune Regioni, ad esempio, hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale ritenendo che la legge obbiettivo del governo contrasti con la riforma federalista e il decentramento di poteri e di funzioni anche su questa materia.
Sono criticità che bisogna superare, ma la storia di tutti questi anni- basti pensare a quel che ha comportato il conflitto tra Stato ed enti Locali per lo snodo di Mestre o per il raddoppio della Firenze-Bologna-non ci consente , almeno per ora, molto ottimismo.
Anni fa, quando i progetti dell’Europa erano ancora solo allo stato embrionale e l’allargamento all’Est, data l’esistenza del muro di Berlino, appariva come un’ipotesi impraticabile, le nostre politiche finalizzate al potenziamento delle infrastrutture seguivano percorsi strani, ondivaghi, frammentari, quasi sempre legati ad esigenze di carattere elettorale o addirittura clientelare. Procedere con questa ottica e su questo binario ha comportato ritardi non solo nella programmazione ma anche nell’esecuzione delle opere. Ora, per fortuna, con la creazione dell’Europa, molte cose, anche per noi, sono, da questo punti di vista, cambiate. Ma è anche vero che questi ritardi , la prassi di sprogrammare ogni volta che cambiava governo quel che il precedente governo aveva tentato di programmare, hanno provocato al sistema danni ai quali oggi è difficile porre in rimedio. Ma, siccome risolvere questi problemi è diventato un vero problema di sopravvivenza del nostro sistema economico, mi auguro che, nelle istituzioni, vi siano lo scatto di orgoglio e le energie necessarie per correre ai ripari. Per non finire fuori gioco, occorre fare, in poco tempo, quel che non si è fatto in trent’anni. Un vero salto con l’asta. Speriamo che ne siano capaci.