"NO DAY"

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Trieste, 20 maggio 2003Su referendum art. 18

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20 maggio 2003
Intervento di Sergio Billè su referendum

Devo dire che ho  dell’ammirazione per Bertinotti non fosse altro che per la coerenza con cui egli porta avanti le sue idee.

Difatti, egli non ha mai creduto nel libero mercato e nel modello di sviluppo dell’occidentale. In fondo, neanche nella libertà di impresa.

Non si comprende, per la verità,  dove porti e quali obiettivi abbia il  modello alternativo di società che egli intende proporre e, infatti, non c’è paese  proiettato verso lo sviluppo che  oggi intenda attuare un modello del genere, retaggio di sistemi economici finiti in cenere. Forse  è ancora legata a questi vecchi sistemi la Cuba di Fidel Castro ma non più - e da tempo - la Russia o tutti i paesi dell’Est. Forse la Corea del Nord ma non più la grande Cina. Ma è un mondo ormai destinato alla retroguardia.

 La sua è coerenza e, per questo, non mi sorprende che egli abbia proposto questo referendum sull’articolo 18 sul quale l’elettorato andrà a votare il 15 giugno. Come non mi sorprende che, invece, tutta la sinistra moderna, anch’essa  impegnata, da noi come in tutta l’Europa, nella creazione di un moderno e libero mercato gli abbia voltato le spalle prendendo le debite  distanze da un progetto di riforma che, se trovasse attuazione, farebbe fare al nostro mercato e alla nostra economia un salto anni luce più indietro.

Per ritornare dove proprio non si sa. Certo alla Mosca di Breznev, ma non a quella di Putin.

Bertinotti sostiene che la sua proposta, estendendo l’area dei diritti e delle garanzie dei lavoratori, è la giusta leva per creare sviluppo e nuova occupazione.

E’ vero proprio il contrario perché centinaia di migliaia di piccole aziende, la parte più libera e oggi anche più propulsiva della nostra economia, se venisse applicata una norma così vessatoria, così retrò, come appunto è quella prevista da questo referendum, si vedrebbero costrette a rivedere, al ribasso, i loro piani di sviluppo, i loro investimenti e anche - ed è la cosa più importante- a ridurre, anziché aumentare, il numero dei posti di lavoro.

E così, paradosso dei paradossi, l’unico settore di impresa che oggi riesce ancora a produrre nuovi occupati - il 67% di quelli creati nel 2002 sono stati appunto realizzati da questo tipo di aziende - sarebbe costretto a gettare la spugna, a chiudere i boccaporti, insomma a fare quel che la Fiat è costretta a fare da qualche tempo: non assumere più nessuno, anzi, cercare di mandare a casa più gente possibile. Pensionati anzitempo.

Ecco perché questo referendum va decisamente respinto: Bertinotti resti pure con le sue idee, noi con le nostre. E noi, cioè coloro che credono nel libero mercato, siamo davvero tanti di più.

E, altro paradosso della nostra politica, è davvero curioso vedere perché e per quali motivi si sia arrivati a questa proposta di riforma pur giudicata per ben tre volte inattuabile dalla Corte Costituzionale e, poi, per decine di volte, da quella di  Cassazione.

L’antefatto è noto: Governo e Confindustria vogliono riformare l’articolo 18 per le grandi imprese  limitando, sia pure per un periodo temporaneo, il reintegro di chi è stato licenziato anche senza giusta causa. Ne nasce un grande polverone che dura dei mesi con i sindacati che accendono le polveri e parte della maggioranza che tenta un’opera di mediazione. Alla fine la norma viene stralciata dalla legge delega e messa temporaneamente nel freezer. E lì ancora si trova. Ma Bertinotti ha l’occhio lungo e capisce che può approfittare di questa infausta vicenda per allargare i propri spazi elettorali. Come? Prendendo di mira proprio quella parte dello Statuto dei lavoratori che nessuno, nemmeno a sinistra, aveva, invece, ritenuto di dover toccare considerandola, viste le condizioni del nostro mercato, più che legittima. La sinistra politica comprendendo che appoggiare un simile referendum avrebbe voluto dire darsi la zappa sui piedi si oppone e si oppone persino Cofferati che pure, sull’altra riforma dell’articolo 18, aveva fatto le barricate. La sola Cgil, temendo di regalare spazi, tessere e voti al partito di Bertinotti, finisce, a denti stretti, con l’appoggiarla con la segreta speranza però di vedere la proposta naufragare nelle urne. Noi tutti ci auguriamo che lo sia, ma il comportamento del tutto strumentale assunto, in questa occasione, dalla Cgil, ci lascia davvero stupefatti.

Sono gli assurdi e bizantini giochi anche di chi fa sindacato in Italia che spesso fa non quel che ritiene giusto fare ma quel che, in quel momento, le sembra più conveniente. In Francia, la sinistra ha commesso un simile errore e ha così consegnato a Chirac l’Eliseo su un piatto d’argento.

A noi questi giochi del tutto strumentali interessano assai poco. Ci interessa, invece assai di più, difendere, con tutte le nostre forze, un mercato che oggi, per andare avanti, per svilupparsi, di tutto ha bisogno meno che di regole e di norme che forse avevano qualche valore ai tempi della repubblica dei soviet - che poi sappiamo però quale fine abbia fatto - ma che fanno proprio a pugni con i principi di una moderna democrazia e con le regole di un libero mercato.

A Bertinotti interessa raccogliere, sotto la sua bandiera rossa ma sempre più opaca, qualche voto in più.

Che poi le piccole aziende, strette in quella specie di garrotta quale è la riforma proposta da questo referendum, possano essere costrette - questa è purtroppo la previsione- a mettere il blocco alle nuove assunzioni e a mandare, anzi, a casa, nel prossimo biennio, dai 100 ai 150 mila lavoratori, non sembra toccarlo più di tanto. In fondo, anche i neo licenziati potrebbero correre sotto la sua bandiera.

Quindi il nostro no a questo referendum è chiaro e tondo perché esso blocca lo sviluppo, contrae l’occupazione, impedisce a tutte le piccole aziende di restare competitive sul mercato e quindi di produrre nuova ricchezza per il paese.

Chi la pensa come noi - e siamo, per fortuna, in grande compagnia - faccia in modo che Bertinotti, per quel che conta, questo referendum se lo voti da solo.

Meglio contarci restando a casa.

Ma chi, invece, pensa che l’esercizio del voto, anche in questo caso, sia più utile dell’astensione, allora vada a votare e faccia contare il suo no.

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