Agenda delle Riforme

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19 marzo 2011

Cari Amici,
da un quindicennio, la crescita annua dell’Italia è inferiore di circa un punto alla media dell’area euro. E le previsioni di crescita – tanto per il 2011, quanto per il 2012 – si collocano intorno ad un modesto 1%, o poco più.

Sono dati – è vero – la cui lettura deve tenere conto di quanto, anche in importanti Paesi europei e a differenza dell’Italia, abbia inciso sulla crescita l’effetto doping dell’indebitamento dei privati, nonché del profondo divario di crescita e di sviluppo del Mezzogiorno rispetto alle altre aree del Paese.

Ma - nel complesso e come, ancora di recente, ha sottolineato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – è indubbio che occorra “forzare la crescita oltre queste previsioni che sono troppo inferiori alle nostre esigenze…”. 

Esigenze di benessere dei cittadini, esigenze di riassorbimento della disoccupazione e di costruzione di nuova occupazione, esigenze di coesione sociale e territoriale in un’Italia preoccupantemente segnata dal tasso di disoccupazione giovanile.

Ma di più crescita l’Italia ha necessità anche per proseguire l’opera di risanamento della finanza pubblica e, particolarmente, per alleggerire il fardello storico del debito pubblico, senza cedere alla tentazione iniqua ed inefficace di “patrimoniali” vecchie e nuove.

Più crescita, dunque.

Il Piano per la crescita, recentemente varato dal Consiglio dei Ministri, persegue questo fine facendo leva su giusti principi: il ruolo propulsivo dell’edilizia, tra l’altro, ed il riordino del sistema degli incentivi alle imprese, semplificandone l’accesso e prevedendo un’adeguata riserva di risorse per le piccole e medie imprese.

E’ necessario risolvere il nodo della complessità del sistema delle competenze istituzionali ed amministrative nel campo dell’edilizia e delle infrastrutture in genere.

Troppe competenze si traducono infatti, troppo spesso, in troppi rimpalli e in troppi conflitti.

Con il risultato di rendere il processo decisionale pericolosamente simile ad una “tela di Penelope”.

Così pure, in riferimento al riordino degli incentivi, occorrerà procedere rapidamente, nonostante sia purtroppo giunta a scadenza la delega in materia rilasciata al Governo.

Il Piano per la crescita fa però particolarmente leva sulla “liberazione” delle energie dell’attività d’impresa, anche attraverso interventi di modifica del dettato costituzionale e, in specie, dell’art. 41 della Costituzione.

Ogni riduzione e semplificazione di regole ed adempimenti è benvenuta. Le regole occorrono, ma esse sono giuste se ed in quanto effettivamente necessarie.

Per il resto, si proceda. Perché la “tassa della burocrazia” continua a gravare sulle imprese italiane per circa un punto di Pil.

Si proceda. Anche per via di modifiche costituzionali, se può essere utile.

Ma, soprattutto, si proceda facendo avanzare il processo di riforma delle pubbliche amministrazioni e facendo vivere i principi dello Small Business Act.

Ancora, il Piano varato dal Consiglio dei Ministri giustamente insiste sull’accelerazione della crescita e dello sviluppo del Mezzogiorno come occasione di maggiore crescita e di maggiore sviluppo dell’intero Paese.

E’ una questione chiave. Va affrontata e risolta.

Rafforzando - nel nostro Mezzogiorno, ma certo non solo nel Mezzogiorno - il circuito tra sicurezza, legalità, qualità dell’azione delle pubbliche amministrazioni, qualità e produttività della spesa pubblica, selezione degli investimenti prioritari.

Ho fin qui detto di buoni principi.

Occorre, però, che principi, disegni di legge, decreti e regolamenti si traducano, con urgenza, in fatti concreti, consentendo, ad esempio, lo sblocco operativo di investimenti infrastrutturali pubblici e privati ed una reale velocizzazione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni.

Non c’è davvero tempo da perdere. Ad aprile, peraltro, l’Italia presenterà, in sede europea, l’aggiornamento del Programma nazionale per le riforme.

Ecco, sarebbe davvero il caso che – sul Piano per la crescita, sul Programma nazionale per le riforme – Governo e parti sociali si incontrassero.

Cerchiamo di capire insieme e di agire insieme per assicurare al nostro Paese una crescita più vigorosa.

L’importante è non rassegnarsi a previsioni di crescita dell’1%.

Perché possiamo e dobbiamo crescere di più e meglio.

Recentemente, lo ha segnalato anche il Presidente della Banca Centrale Europea, Jean-Claude Trichet, ricordando che la competitività dell’Italia richiede “decisi progressi nella produttività del lavoro e nella produttività complessiva dei fattori”.

Io lo dico così: più cooperazione tra impresa e lavoro; più cooperazione tra pubblico e privato. Per fare crescere innovazione e premio del merito. Anche attraverso l’innovazione dei modelli contrattuali, opportunamente sostenuta dalle misure di detassazione del salario di risultato.

Più produttività e più competitività per generare più crescita.

La strada maestra resta quella dell’avanzamento del cantiere delle riforme.

A partire dalla “madre” di tutte le riforme, la costruzione, cioè, del federalismo fiscale ed il suo incrocio con la riforma fiscale.

Incrocio che rappresenta un’occasione – non scontata, ma possibile – per rafforzare, ad ogni livello istituzionale ed amministrativo, il principio di responsabilità: responsabilità nella quantità e nella qualità della spesa pubblica; responsabilità nel ricorso alla leva della tassazione.

Ristrutturare, riqualificare ed anche ridurre la spesa pubblica; contrastare e recuperare un imponibile evaso nell’ordine di 270 miliardi di euro: sono queste le condizioni di fondo per un progressivo e significativo alleggerimento della pressione fiscale complessiva.

E pensiamo che un buon federalismo fiscale – cioè necessariamente pro-competitivo e giustamente solidale – possa portare un decisivo contributo all’avanzamento di questi processi.

Proprio per questo, però, non ci convincono alcune scelte recate dal recente decreto in materia di federalismo municipale, tra cui l’ampia facoltà riconosciuta ai Comuni di procedere all’attivazione della tassa di soggiorno e ancora l’impatto dell’IMU sugli immobili commerciali.

Nell’un caso come nell’altro, si pongono, infatti, i presupposti per un appesantimento del prelievo fiscale sulle attività produttive, contraddicendo la necessità di una responsabile cooperazione tra sistema pubblico ed iniziativa privata per il rafforzamento della crescita.

Così come non ci convince, sul terreno dei principi per la riforma fiscale, l’idea di uno scambio tra meno Irpef e più Iva.

Dobbiamo, piuttosto, recuperare evasione Iva, e certo l’inasprimento delle aliquote Iva non gioverebbe.

Dobbiamo, piuttosto, sostenere la domanda interna, e certo l’inasprimento delle aliquote Iva non gioverebbe.

Riformare il sistema fiscale e ridurre la pressione fiscale non è certo un processo semplice, anzitutto per gli oggettivi vincoli di finanza pubblica.

Ma è importante che il processo avanzi. E’ importante che se ne chiariscano tempi e modi, tappe e stadi di avanzamento.

E’ una chiarezza, infatti, che davvero contribuirebbe alla fiducia del mondo delle imprese e del lavoro e, in questo modo, al rafforzamento del ritorno alla crescita.

E’ tempo di riforme e di più crescita. In ogni campo.

Riducendo il costo dell’approvvigionamento energetico del Paese e costruendo “l’Italia digitale”.

Assicurando l’efficienza della giustizia civile.

Procedendo sul terreno delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni ancora possibili, a partire dai servizi pubblici locali.

Facendo avanzare la cultura del merito e della responsabilità nella scuola e nell’Università.

Mettendo in campo un grande progetto per l’occupazione dei giovani, che potrebbe particolarmente fare leva sul rinnovato istituto dell’apprendistato, sul miglioramento dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, sull’efficacia e sull’efficienza del sistema della formazione professionale e della formazione continua.

Inoltre, l’economia dei servizi di mercato potrà assicurare, nei prossimi anni, un rilevante contributo alla crescita ed all’occupazione.

Se ne sostenga, allora, l’impegno al perseguimento di maggiore produttività.

Noi riconosciamo al Governo di avere praticato, per virtù e di necessità, una politica di bilancio sobria, doverosamente attenta all’andamento dei conti pubblici e prioritariamente rivolta alla protezione del capitale umano ed alla facilitazione dell’accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese.

Noi siamo consapevoli della necessità di perseverare nell’esercizio della disciplina di bilancio.

Noi chiediamo però ora uno sforzo straordinario per l’avanzamento del progetto riformatore di questa legislatura.

Ecco, chiediamo di investire in riforme, e certo anche di investire ogni risorsa compatibile ed utile per una crescita più vigorosa.

Una crescita più vigorosa: sappiamo bene che si tratta di una responsabilità condivisa.

Responsabilità di chi governa e della politica tutta, ma anche responsabilità del mondo delle imprese e del lavoro.

Un mondo che non ha tirato i remi in barca e che, quotidianamente, si gioca la partita della competività, nel mercato interno e nel mondo.

Un mondo che, ostinatamente, chiede a chi governa ed alla politica tutta di confrontarsi sul merito delle scelte necessarie per la costruzione di un’Italia più ambiziosa.

Di confrontarsi e di decidere, sapendo che il tempo stringe.

Questa è, per noi, la governabilità di cui il Paese ha assoluta necessità.

Essa richiede rinnovamento profondo dell’etica pubblica, solida cooperazione tra le istituzioni, confronto repubblicano tra le forze politiche e con le forze sociali.

Insomma – come qualche volta abbiamo detto – vorremmo un Paese normale, ma anche capace di essere più ambizioso.

Centocinquant’anni di storia dell’Italia unita lo meriterebbero.

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