Commercio, Turismo e Servizi nel quadro di Europa 2020

Commercio, Turismo e Servizi nel quadro di Europa 2020

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19 marzo 2011

Cari Amici,
in una fase di ancora difficile e debole ritorno alla crescita, la Commissione europea ha delineato, con il pacchetto di proposte di “Europa 2020”, una strategia di realistico perseguimento dell’obiettivo di una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva.

Cercando, peraltro, di fare tesoro dei limiti della Strategia di Lisbona, varata nel 2000 e che, entro il 2010, avrebbe dovuto fare dell’Europa l’economia più dinamica del mondo, fondata sulla conoscenza.

Troviamo importante che “Europa 2020” si fondi sul concetto di una “politica industriale moderna”: una politica, cioè, che promuova la competitività di tutti i settori produttivi, aiutandoli a cogliere, soprattutto attraverso l’innovazione, “le opportunità offerte dalla globalizzazione e dall’economia verde”.

Dinamicità del terziario, competitività del turismo, agenda del digitale, progetti strategici per le infrastrutture transfrontaliere ed i nodi intermodali delle città, dei porti e delle piattaforme logistiche delineano così, nello scenario di “Europa 2020”, l’apporto dell’economia dei servizi alla crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva.

Insisto su questo apporto.

Perché è stato giustamente osservato che la lezione fondamentale della crisi sta in una necessaria rivalutazione delle ragioni dell’economia reale e del lavoro. Ma questa notazione si accompagna, troppo spesso, ad un’integrale assimilazione di quelle ragioni alle ragioni ed alle sorti del sistema manifatturiero.

Sistema indispensabile, certo. Per il presente e per il futuro. Per la competitività e per l’export.

Ma, oggi, il settore manifatturiero contribuisce, in Italia, alla formazione della ricchezza nazionale per circa il 20%.

I servizi di mercato vi contribuiscono per circa il 58%, e concorrono per circa il 53% alla formazione dell’occupazione.

Ne deriviamo, dunque, che manifattura ed export non bastano a garantire la ripresa. E che, allora, occorre fare maggiormente leva sulle imprese dei servizi e sulla domanda interna.

Da qui, la nostra richiesta fondamentale e di lungo corso: una politica per i servizi che si integri con la più consolidata e riconosciuta politica industriale.

Una politica per i servizi – cioè un sistema di regole, di strumenti e di ragionevoli risorse – che supporti, nel settore, i processi di rafforzamento della produttività.

Ad aprile, peraltro, l’Italia presenterà, in sede europea, l’aggiornamento del Programma nazionale per le riforme.

E chiediamo, dunque, che questo circuito virtuoso – il circuito tra politica per i servizi, rafforzamento della loro produttività e spinta alla crescita complessiva del Paese – sia aspetto integrante e qualificante del Programma, anche in coerenza con la strategia di “Europa 2020”.

In questo quadro, sono necessarie scelte coraggiose per l’economia dei servizi, che riassumiamo in sette punti di proposta.

Primo punto: non occorre meno concorrenza. La concorrenza fa bene alla produttività ed ai consumatori. Ma la concorrenza deve essere sempre a parità di regole e meno sbilanciata. Deve, cioè, operare più universalmente, tenendo obiettivamente conto di quanto è stato fatto nei diversi settori. E, ad esempio, nel commercio, molto è stato fatto.

Secondo punto: non solo “Industria 2015”, ma anche “Servizi 2020”. Attraverso la rimodulazione di risorse nazionali e comunitarie già disponibili, si definisca, cioè, e si realizzi un piano straordinario per l’innovazione del sistema dei servizi, posto che l’innovazione – tecnologica, ma anche organizzativa – è un formidabile propellente di produttività aggiuntiva.

Terzo punto: il commercio e le città. Dai primi anni 2000, si sono innescati, nel nostro sistema dei servizi, profondi processi di ristrutturazione, silenziosi e talora anche dolorosi, come nel caso del commercio.

Il biennio della crisi ha ovviamente forzato questi processi di ristrutturazione ed ha messo in critica tensione tutto il sistema della distribuzione commerciale. Nel triennio 2008-2010, lo stock di imprese commerciali si è ridotto di circa 90 mila unità.

Lo ripeto: la risposta non sta nell’arretramento delle ragioni della concorrenza, ma nell’avanzamento di una politica per il commercio italiano, che declini il riconoscimento del valore del pluralismo distributivo attraverso impegni concreti per il rafforzamento della sua produttività.

Per via di innovazione, come prima dicevo. Ma anche lavorando sul nesso tra commercio ed identità e vivibilità delle nostre città, reagendo così a rischi ormai evidenti di desertificazione commerciale.

Lo si può fare promuovendo un migliore raccordo delle competenze in materia di concorrenza e di commercio, ed una maggiore integrazione tra urbanistica ed urbanistica commerciale; con la riforma delle locazioni commerciali e con crediti d’imposta per la ristrutturazione edilizia della rete commerciale; con la costruzione di distretti urbani e diffusi del commercio, che agiscano come tessuto connettivo del pluralismo distributivo.

Quarto punto: si rilanci l’impegno per raddoppiare, nell’arco dei prossimi anni, il contributo del turismo alla formazione del Pil del Paese, attestandolo così intorno al 20% del totale.

Disponiamo, infatti, del primo patrimonio storico-culturale del mondo, e possiamo e dobbiamo tornare ad essere il primo Paese turistico del mondo.

Per questo, occorre, tra l’altro, garantire la governance unitaria del settore, adeguare le dotazioni infrastrutturali, migliorare qualità e fruibilità del patrimonio ambientale e culturale, ottimizzare e rafforzare l’attività promozionale del marchio Italia, promuovere il turismo in Italia degli italiani, risolvere l’annosa questione dei canoni demaniali, ridurre Iva ed Irap.

Altro che tassa di soggiorno, brutta smentita delle ragioni di un federalismo pro-competitivo!

Quinto punto: un Piano ed un Patto nazionale per la mobilità urbana per ridurre il costo della congestione valutato in circa 9 miliardi di euro all’anno.

Accrescere l’affidabilità logistica del nostro Paese significa, anzitutto, intervenire sui nodi urbani e sulla crisi strutturale della dimensione urbana della mobilità. Nella dimensione urbana, si concentra, infatti, oltre il 70% della domanda complessiva di mobilità del Paese e si addensano oltre il 70% delle attività dei servizi.

Sesto punto: un progetto strategico italiano per la promozione congiunta dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e della cogenerazione.

Settimo punto: costruire le “reti” per la crescita delle piccole e medie imprese dei servizi.

Lo Small Business Act è stato fatto proprio dal nostro Paese. L’obiettivo deve essere quello di consentire a tutte le imprese, quale ne sia la dimensione, di ricercare maggiore efficienza e di meglio competere.

L’obiettivo è, insomma, la crescita delle imprese. Crescita anche attraverso le aggregazioni di gruppo e di distretto, di filiera e di rete.

Sette punti, dunque. Per valorizzare il potenziale di crescita dei servizi come concorso alla crescita aggiuntiva del Paese.

Perché l’importante è non rassegnarsi a previsioni di crescita dell’1%, o poco più.

E noi – noi che rappresentiamo l’economia dei servizi – siamo convinti che si possa fare di più e meglio.

Con una buona politica per i servizi, appunto.

Ma certo anche – per dirla con il linguaggio di “Europa 2020” – intervenendo sui colli di bottiglia dell’economia italiana, attraverso l’avanzamento dell’agenda delle riforme.

 “Più che in passato – ha recentemente osservato il Governatore Draghi – le scelte strategiche che sono oggi dinanzi a noi italiani e a noi europei coincidono. Saperle tramutare in azione condivisa dalla generalità dei cittadini è, sarà, il compito alto della politica in Europa”.

Se così sarà – soggiungo – “Europa 2020” avanzerà ed il disegno di un’Europa e di un’Italia più ambiziose prenderà corpo.

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