CONFERENZA NAZIONALE: ""IL LAVORO CHE SARA""

CONFERENZA NAZIONALE: ""IL LAVORO CHE SARA""

1 febbraio 2001 - Testo integrale

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1 febbraio 2001
Intervento di Sergio Billè

IL LAVORO CHE SARA'

Conferenza Nazionale del Lavoro

Roma, 1 febbraio 2001

 

 

Non vorrei entrare in polemica con  nessuno ma l’affermazione fatta, proprio nel corso di questo interessante convegno, dal sottosegretario al lavoro, Morese secondo il quale  il nostro sistema pensionistico va bene così com’è, necessitando, al massimo, di una buona e continua manutenzione, mi ha colpito.

Colpito ma non sorpreso perché è sulla linea di chi ritiene che il nostro sistema, compreso quello delle pensioni  e della previdenza sociale, regge bene all’urto di quel che di nuovo ha prodotto e sempre di più produrrà la globalizzazione dell’economia e tutti i suoi effetti derivati.

Io , da tempo, sostengo il contrario: al motore del nostro sistema, per andare avanti e tornare ad essere realmente competitivo, non basta  qualche tagliando in più di manutenzione. E’ lo stesso motore che va cambiato perché quello attuale, per come è strutturato, non è più compatibile né con le esigenze della nostra società né con quelle espresse dal mondo dell’economia.

Prendo, comunque, a prestito il termine di “manutenzione” usato dal sottosegretario Morese  perché  mi serve anche ad un altro scopo, quello di definire cosa è stata , in gran parte, la politica di concertazione in questi ultimi anni, politica che talvolta ha prodotto positivi risultati ma che, in generale, non è servita ad avviare, in un confronto-dialogo anche con le parti sociali, un processo di vera innovazione del sistema-paese.

Si è appunto cercato di fare, fin dove era possibile, buona manutenzione, ma niente di più.

Non solo essa, infatti, ha proceduto a corrente alternata, ora in funzione ora del tutto bloccata, a secondo del clima politico, ma  ha cercato per lo più di  mettere qualche nuovo paletto di sostegno al vecchio sistema: ritocchi qua e là, piccole aperture ma anche salti di ostacolo ogni volta che tornava ad essere predominante – e lo è stato quasi sempre- il gioco dei veti incrociati.

Infatti, per quelli che avrebbero dovuto essere i suoi obbiettivi primari, la concertazione ha fatto ben poco:

-non è riuscita a condurre a buon fine e nemmeno ad accelerare  il processo di privatizzazione dell’impresa pubblica, eternamente nel guado

-non è riuscita a fissare una linea chiara, strategica, definitiva per quanto riguarda il processo di liberalizzazione e di democratizzazione del mercato dove, difatti, continuano ad operare cartelli e poteri forti che fanno il buono e il cattivo tempo

-non è stata di nessun aiuto per l’accelerazione di quella politica delle riforme- e metterei quella delle pensioni ai primi posti - che pure , a detta di molti esperti e di tutti gli organismi internazionali che contano qualcosa, sembravano e sono tuttora indispensabili per portare il nostro paese ad un grado di soddisfacente competitività

-né la concertazione è servita ad approfondire, fino a portarlo all’osso, il problema delle infrastrutture , della mobilità .

Non mi soffermo sulle infrastrutture  sulla cui carenza è stato già, in tutte le sedi, detto tutto, ma sul problema della mobilità.

Vi sembra che tale questione, vitale  ormai per una moderna economia,  sia stata affrontata seriamente in sede di concertazione?

Non è forse vero che si è preferito prendere atto delle difficoltà che si frapponevano ad una sua attuazione piuttosto che fare qualcosa di serio e di nuovo per cercare di rimuoverle?

Qualcosa si è fatto, invece, obtorto collo, perché non c’erano altre soluzioni possibili, per quanto riguarda la flessibilità.

Difatti, tra il ’96 e il 2000, il 57% dell’aumento dell’occupazione dipendente è imputabile a contratti di occupazione temporanea soprattutto nell’area dei servizi. Ma è  un dato che va esaminato contro luce : primo, perché  esso si accompagna ad un sostanziale ristagno , anzi ad una graduale flessione dell’occupazione in tutto il settore industriale, secondo, perché la quota degli occupati a termine ha colpito prevalentemente il Sud dove l’occupazione imputabile a lavori temporanei era già elevata, circa il 74%.

E’ molto spesso, quasi sempre  l’occupazione temporanea, in quest’area, è stato un obbligo non una libera scelta perché il mercato, come ben sapete, non offriva proprio altro.

Ma  affrontare e risolvere, in chiave moderna, il problema della flessibilità non significa offrire solo lavori a strozzo, o questo o niente, ma fare in modo che la domanda e l’offerta di lavoro si incrocino in un’economia proiettata verso gli investimenti e lo sviluppo, cosa che, nel nostro Sud invece, non accade.

E c’è un  dato aggiuntivo che preoccupa: l’aumento della flessibilità non ha portato, in particolare nel Mezzogiorno, ad una riduzione sensibile del lavoro sommerso, a conferma di politiche non adeguate ed efficaci in quanto non si è agito in termini di riduzione sostanziale tra costo del lavoro per l’impresa e salario realmente percepito dal lavoratore.

La cultura della “manutenzione” ha colpito un po’ dovunque:

- è rimasto un “ibrido” il federalismo con poteri e competenze delle Regioni che non si sa ancora quali potranno essere e soprattutto come potranno essere esercitati

- è rimasto quasi “integro” il potere di aziende di Stato che, invece di marciare rapidamente verso la privatizzazione, investono, spendono e aumentano le tariffe.

Anche sul problema tariffario  la concertazione ha potuto fare ben poco. Non solo, in questa sede, non è stato mai affrontato il problema alla radice, ma si è fatto in modo che il fiume degli aumenti tariffari- acqua, gas, nettezza urbana, servizi di trasporto, ecc- riprendesse a scorrere quando la concertazione aveva esaurito – non si sa perché - una sua fase di confronto.

Ed è grave che ciò sia accaduto perché sicuramente le tariffe hanno avuto un peso rilevante nella nuova impennata dell’inflazione, cosa che non è avvenuta negli altri paesi europei dove lo shock petrolifero e la svalutazione sono stati riassorbiti più celermente e senza un impatto diretto sui prezzi al consumo.

Come rendere competitivo un sistema che  ha perso e continua a perdere colpi. Questo dovrebbe essere il piatto centrale di una concertazione  con le parti sociali che ubbidisca al suo vero ruolo.

Ma poco o niente si è fatto su questo versante.

E vale la pena di porsi una domanda: come mai gli indici di competitività delle merci italiane sui mercati internazionali, misurati sulla base dei prezzi di produzione, continuano a registrare un aumento inferiore a quello registrato dai prodotti tedeschi e francesi?

Eppure la dinamica del costo del lavoro italiano, in termini nominali, calcolata dall’Eurostat, è stata tra le più contenute della zona dell’euro. E lo shock petrolifero ha colpito tutti.

Allora? Allora è evidente, fin troppo evidente, che esistono, nel nostro sistema, elementi diversi dal costo del lavoro che determinano aggravi consistenti per le imprese impedendo loro di essere competitive.

E ritorniamo all’assunto iniziale. Altro che manutenzione! Pesano e pesano sempre di più sul nostro sistema le mancate riforme per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico-problema su cui non si è fatto nulla mentre , come sapete, diventa sempre più attendibile l’ipotesi di un nuovo rialzo dei prezzi -l’ammodernamento del sistema dei trasporti, l’eccessivo peso della burocrazia, la riforma del Welfare e della attuazione della previdenza integrativa, le privatizzazioni, ecc.

La concertazione è servita a mettere a fuoco questi problemi? Certo che no.

Mi si dirà che il processo di integrazione europea  sottrarrà, nel futuro, un numero crescente di competenze ai governi nazionali togliendo quindi valore anche  a questo tipo di concertazione.

Non sono d’accordo per due motivi. Primo, perché , da questo punto di vista, siamo ancora nel futuribile in quanto veri organi politici europei che  prendano decisioni in materia, ad esempio, in tema di mercato del lavoro, ancora non sono stati creati e chissà quando e come potranno essere operativi.

Secondo, perché l’Italia deve arrivare a questo traguardo europeo avendo prima superato il “gap” che, come sistema, ancora lo divide dai patners amici ma anche concorrenti. 

Insomma il nostro sistema, se vogliamo entrare a testa alta nel mercato globale, ce lo dobbiamo rifare - e insisto sul rifare - da soli, in casa nostra, perché nessuno ci darà, su questo, una mano. Anzi.

Pensate all’ipotesi - qualcosa di più ormai che una semplice ipotesi - dell’allargamento dell’Ue ai paesi dell’est europeo. La Germania si sta attrezzando mettendo mano ad una serie di riforme. E noi?

Quale sarà il nostro grado di competitività in quest’area?

O pensiamo seriamente che l’Europa ci voglia e ci possa aiutare a rilanciare il nostro mercato interno che continua ad avere consumi asfittici, consumi  che, dopo la fiammata del bonus di fine d’anno, sono ritornati  a soglia zero?

Permettetemi di toccare, prima di concludere, un altro tema che, nella concertazione, è stato fino ad ora solo un invitato fantasma.

Parlo  del problema della formazione, anch’esso vitale per il futuro del nostro paese.

Credo che abbia ragione Bill Gates quando sostiene che la cosiddetta “new economy” è solo un etichetta di facciata o, in certi casi, addirittura un falso problema.

Quello reale, rivoluzionario è la messa in rete di tutto il sistema economico, vecchio e nuovo, sistema che porterà a cambiamenti tecnologici  di eccezionale portata  e quindi ad una profonda revisione di tutte le strutture imprenditoriali, di ogni tipo e di ogni grandezza.

 E noi cosa stiamo programmando nel settore della formazione? Cosa sta cambiando veramente nelle nostre strutture formative per rispondere alle esigenze di  un sistema economico che, entro pochi anni, sarà completamente rivoluzionato?

E’ un tema tutt’altro che marginale, eppure continua ad esserlo.

La nuova concertazione, se mai ci sarà, dovrebbe metterlo, nella sua agenda , al primo posto. Con assoluta priorità. O  pensiamo che l’information tecnology  sia soddisfatta dotando tutti i ragazzi maggiori di 14 anni di semplici cellulari?

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