CONVEGNO ""MILANO PER LO SVILUPPO""

CONVEGNO ""MILANO PER LO SVILUPPO""

MILANO, 19 MAGGIO 2000 (testo integrale)

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19 maggio 2000
Mi piacerebbe fare un ragionamento compiuto

Mi piacerebbe fare un ragionamento compiuto. Ma il poco tempo a disposizione mi induce a rispondere in modo diretto alla domanda che il titolo della sezione contiene: chi fa gli interessi di Milano. Articolerò la risposta in quattro punti.

1.       Fa anzitutto gli interessi di Milano chi coglie e valorizza la nuova frontiera dello sviluppo.

Per molti anni ci siamo sentiti ripetere che il cuore della economia era rappresentato dalla produzione di cose, oggetti, meglio se sofisticati, tecnologicamente avanzati, ma pur sempre merci. La cultura, i servizi, la proposta di stili di vita, di modelli di socialità diversi, l'area dei servizi destinati al benessere individuale, ci hanno ripetuto, appartenevano all'effimero, si potevano ammettere, ma come forma residuale di un sistema produttivo.

Ecco, una lezione che viene dallo straordinario sviluppo dell'economia americana è il ribaltamento della gerarchia tradizionale. Non più il primato del produrre, ma del fruire: di valori, servizi, qualità, modelli di comportamento, accedendo ai  circuiti che li veicolano e rendono disponibili.

Questa non è, si badi bene, una caratterizzazione americana della new economy. E' invece un dato di fondo di questa nuova fase, che le interconnessioni di internet rendono universale. Basti pensare a quanta parte della qualità della vita quotidiana di ciascuno di noi  sempre più dipende dalla possibilità di acquisire divertimento, assistenza, cura. Non a caso alcune tra le operazioni societarie più rilevanti, in Europa e non solo in America,  hanno avuto protagoniste imprese che dispongono di contenuti culturali e imprese che mettono a disposizione le reti di accesso ai clienti.

Nella ricerca che fa da corredo alla documentazione che ci è stata consegnata, vi sono due risposte - tra le altre - che mi hanno colpito. Quella con cui gli intervistati individuano, a stragrande maggioranza,  nella moda il comparto-modello dell'economia milanese; e l'ultima, in cui il campione interpellato caratterizza la Milano del prossimo futuro come città "di negozi e di consumo".

Milano e il suo futuro visti in una logica di capitalismo culturale, più che di capitalismo industriale; di fruizione, più che di produzione; di qualità, più che di quantità.

Ne deriva che se l'asse dello sviluppo si sposta, anche le politiche, gli investimenti pubblici, le priorità vanno riordinati: investire in infrastrutture, reti, servizi, tutte quelle piattaforme, cioè, che servono a sostenere le possibilità di accesso di cittadini e imprese, ovunque si trovino, a Milano, ma non solo.

2.       Fa gli interessi di Milano, è la seconda provocazione, chi non vuol che Milano si rinchiuda nella reggia dorata del suo sviluppo.

Questa è  certamente una delle aree a più alto sviluppo d'Europa e del mondo,  una delle metropoli più ricche, uno dei cinque motori d'Europa. Ma Milano può svolgere un ruolo più importante, che non quello di far crescere il suo benessere all'infinito. Può svolgere una funzione di traino, se accetta di fare un gioco di squadra con quelle componenti della società e dell'imprenditoria italiana che oggi, più che nel passato, sono disponibili a riconoscere a Milano e alla Lombardia, più in generale, un ruolo protagonistico.

Il decentramento sta dotando le istituzioni locali di quote più alte di capacità decisionali e di poteri. Ai lavori di questi giorni, organizzati da una Camera di commercio democratizzata e rafforzata dalla nuova legge, sono intervenuti il Sindaco e il presidente della Regione legittimati direttamente dagli elettori e dotati di poteri sensibilmente più ampi di quelli del passato.

Milano e la Lombardia nel passato hanno spesso preferito concentrarsi sull'economia e la buona amministrazione, lasciando ad altri di svolgere ruoli politici. Ora che sono meno legati dai vincoli dello Stato nazionale, con istituzioni territoriali più forti, si trovano di fronte ad un bivio cruciale.

Possono chiudersi e autogovernare in solitudine, anche se splendida,  la propria crescita. Oppure possono provarsi nel costruire la trama di un raccordo nazionale fondato sulle autonomie delle imprese, della società e delle istituzioni del territorio.

La prima via è il modello svizzero, ma porta con sé il rischio di un incistamento. La seconda ha il rischio dell' inedito: quello di partecipare alla costruzione in tutto il Paese delle condizioni sufficienti perché ciascuna area  possa giocarsi la partita del mercato nel modo migliore.

Servono dei presupposti, ne sono consapevole. Per questo insistiamo da tempo con forza perché si cambino le regole della previdenza, che drena e brucia risorse sottraendole allo sviluppo. Serve un regime fiscale compatibile con la competizione globale. Serve una politica economica più attenta ai settori che, come il commercio, il turismo, i servizi, continuano a produrre occupazione. Serve una pubblica amministrazione capace di interloquire anche con la piccola impresa, i lavoratori autonomi, gli artigiani.

Milano è abituata a svolgere questo ruolo nazionale già in tanti settori: cultura, formazione, media. Leggevo tempo fa che nelle cinque università milanesi più del 40% degli studenti non è lombardo. E' sicuramente polo di attrazione, il più importante del Paese, in tante attività economiche, della new come della old economy. Serve forse che metta in gioco un po’ più di consapevolezza e eserciti ruolo e responsabilità connessi.

3.   In questo contesto, fa gli interessi di Milano, ed è il terzo passaggio, chi nel Paese incarna e esprime gli interessi della modernizzazione, con cui Milano non può non fare alleanze.

I settori più innovativi, quelli legati  allo sviluppo delle reti, il turismo, le piccole e medie imprese, l'area di chi è abituato a rischiare senza paracaduti statali, di chi vuol rendere le nostre città più vivibili e attrattive sono coloro che si ritrovano in un impegno per modernizzare il Paese.

E' nell'interesse di tutti questi avere in Milano un portale di accesso ai flussi e alle reti europee - pensiamo ad esempio all'importanza  che la linea orizzontale di collegamento europeo passi al di sotto delle Alpi, un asse mediterraneo, rispetto a quello carolingio. Milano e, ripeto, la Lombardia, come le altre aree del Nord, possono facilitare la saldatura di esigenze e interessi  territorialmente diversificati solo se fanno proprio un disegno di integrazione ampio e condiviso.

E ci sono segnali positivi da cogliere.

E' di oggi la notizia che la Lombardia è la locomotiva dell'azienda Italia - contribuendo col 21% alla crescita del PIL-. Ma anche alcune regioni del mezzogiorno vedono crescere in misura rilevante il loro contributo: la Sicilia è terza e sesta la Campania.

4.                        Il quarto tema è quello europeo. Ma non aggiungo altri cenni ai pochi che ho già fatto, perché mi preme di più mettere in luce due incognite che gravano sullo scenario che ho delineato.

La prima è sul processo di decentramento.

C'è il rischio che resti a metà, che a poteri non corrispondano risorse, che si risolva in un'autonomia formale ma non di meno fortemente impegnativa  e vincolante per i responsabili  delle istituzioni nei confronti dei territori.  Anche la tempistica non è indifferente in questo processo: il 2003, data entro la quale il Governo si è impegnato a realizzare la connessione delle reti informatiche delle amministrazioni pubbliche, dista da noi nell'epoca di internet, tanto da poter vedere in mezzo due o tre complete rivoluzioni tecnologiche.

La seconda incognita è più di fondo: un decentramento senza vera autonomia politica, senza una sostanziale devolution di carattere costituzionale sarebbe monco. Per questo ritengo urgente riprendere il tracciato, che in qualche modo il Parlamento con la Bicamerale aveva voluto anch'essa percorrere. Ma, questa volta,  portarlo a termine.

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