Un paese immobile: i ritardi infrastrutturali

Un paese immobile: i ritardi infrastrutturali

Dossier su Infrastrutture

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7 dicembre 2000

Il trasporto merci su strada

Il trasporto di merci su tutto il territorio italiano rappresenta un fenomeno di grande rilevanza, ma la loro movimentazione fa emergere attualmente un problema di compatibilità tra i diversi sistemi di comunicazione presenti nel nostro paese, spesso arretrati, e l’esigenza di governare il flusso sempre più ampio di prodotti secondo tempi e costi che non gravino eccessivamente sulle imprese.

Come per il resto dell’Europa, l’Italia si caratterizza per una prevalenza della modalità stradale nel trasporto merci (65%) rispetto alle vie d’acqua (19%), alle ferrovie e oleodotti (16%) e alla navigazione aerea (che non raggiunge l’1%), in quanto diversi sono i vantaggi che ne derivano per gli utenti: maggior tempestività, maggior adattamento delle quantità da trasportare, tempi di consegna minimi che evitano trasbordi, consegne dirette.

Le modalità di trasporto merci in Italia
composizione percentuale, 1999


(*)Autotrasporto non inferiore a 50 km
Fonte: Ministero dei Trasporti e della Navigazione

Le imprese di autotrasporto

Un quadro complessivo delle attività legate al processo di movimentazione delle merci per conto terzi registra, in base ai dati dell’ultimo censimento dell’industria e dei servizi dell’ISTAT (1996), oltre 120 mila imprese, che operano nei diversi segmenti del settore. Nello specifico, il trasporto merci su strada è il comparto che raccoglie la maggioranza delle imprese (93% del totale), seguito dagli spedizionieri e intermediari dei trasporti (3,7%) (cfr. tab.1).

Altre fonti statistiche (indagine conoscitiva sugli autostrasportatori eseguita a cura del Comitato Centrale dell’Albo dei Ministero dei Trasporti), che citiamo per completezza di informazione, stimano che le imprese operanti nel settore del trasporto merci su strada siano 187 mila.

A livello di addetti, l’attività di trasporto su strada è quella che vanta il maggior numero di occupati, oltre 270mila, pari al 72% del totale addetti di questo comparto. Segue con molto distacco il settore che si occupa del carico, scarico e movimentazione merci con 56 mila addetti (15%), il comparto degli spedizionieri e intermediari dei trasporti con 33 mila (8,8%).

Tabella 1 - IMPRESE ED ADDETTI AL TRASPORTO E MOVIMENTAZIONE DELLE MERCI PER CONTO TERZI 

 

Imprese

 

Composizione %

 

Addetti

 

Composizione %

 

Trasporto merci su strada

111.421

92,7

270.492

71,6

Trasporti mediante condotte

18

0,0

516

0,1

Movimentazione merci

1.920

1,6

56.491

15,0

Magazzinaggio e custodia

1.276

1,1

11.459

3,0

Spedizionieri e intermediari dei trasporti 

4,421

3,7

33.317

8,8

Corrieri

1.138

0,9

5.309

1,4

Totale

120.194

100,0

377.584

100,0

Fonte: Elaborazione Centro Studi Confcommercio su dati Censimento intermedio industria e servizi

Considerando solo l'autotrasporto oltre 91 mila aziende sono imprese individuali, con una media di 1,4 addetti per azienda; soltanto 4 imprese hanno forma giuridica di società di capitale, con circa 13,3 addetti medi per impresa. Più numerose sono le società di persone (14 mila) che chiaramente risultano essere di dimensioni minori con 4 addetti medi per impresa, mentre la cooperazione è contenuta: 1.078 cooperative, con 21 addetti in media (soci più dipendenti), che danno lavoro a 22.800 persone, l’8,4% degli occupati nell'autotrasporto. (cfr. tab. 2 allegata).

Dal punto di vista dimensionale, il 69% delle aziende di autotrasporto hanno un solo addetto mentre quelle con il numero di addetti compreso tra 2 e 5 rappresentano il 24% del totale: in pratica il 93% delle imprese sono di piccole dimensioni. (Cfr. tab.3 allegata).

I dati sulla movimentazione delle merci

Nel corso del 1999 il trasporto di merci su strada, secondo i dati Istat, ha movimentato circa 1.232 milioni di tonnellate di prodotti, per un totale di 210.460 milioni di tonnellate-chilometro; nel complesso gli automezzi in conto terzi, rispetto a quelli in conto proprio, hanno movimentato il 64% delle tonnellate di merci, quota che sale all’83,6% se si considerano le tonnellate-chilometro.

Anche se nel 1999 le tonnellate di merci movimentate hanno segnalato un lieve aumento rispetto all’anno precedente (+0,1%), il trasporto in conto terzi ha ridotto del 6,4% il volume di queste, ma ha registrato un incremento delle tonnellate-chilometro (+7,3%) dovuto all’aumento della percorrenza media passata da 194 km a 222,4 km.


Fonte Elaborazione Centro Studi Confcommercio su dati ISTAT

Questo comparto se da un lato non ha beneficiato di un incremento di domanda verso i mercati esteri, dall’altro ha risentito fortemente della concorrenza esercita da operatori stranieri, soprattutto grandi imprese tedesche ed olandesi, che hanno potuto svolgere attività anche nel nostro paese, grazie alla completa liberalizzazione del mercato dell’autotrasporto nell’Unione Europea a partire dal luglio ’98.

Un paese immobile: i ritardi infrastrutturali

E’ chiaro che un sistema di trasporto merci deve poter contare su una rete infrastrutturale adeguata ed efficiente per poter svolgere la funzione di cinghia di trasmissione che è strategica per lo sviluppo di ogni paese.

Da più parti si va ripetendo, ormai con annosa monotonia, come le nostre infrastrutture per i trasporti, sia quelle primarie che quelle di supporto, soffrano di una inadeguatezza quantitativa e qualitativa che interessa, seppur in modo ineguale, tutte le regioni, ma soprattutto il Mezzogiorno, denunciando ritardi e carenze che si configurano come "colli di bottiglia" capaci di frenare l’espansione delle aree più dinamiche e di ostacolare la crescita produttiva delle aree svantaggiate.

È un ritardo che coinvolge tutte le modalità (ferrovie, strade, scali aerei e marittimi), tutte le tipologie, da quelle moderne a quelle tradizionali e che rischia di spingere l’Italia ai margini delle principali direttrici di comunicazione e quindi ai margini di quell’Europa intesa come grande area omogenea ed integrata sotto il profilo sociale, economico e monetario.

Basti pensare, ad esempio, al grande flusso di merci e di persone che interessa tutto l’arco alpino che costituisce un nodo fondamentale nelle comunicazioni con il resto dell’Europa. Attualmente i flussi commerciali che transitano in questa area evidenziano diversi problemi legati sia ad una rete di comunicazioni (ad esempio i trafori) ancora insufficienti a sopportare volumi di traffico sempre in crescita, sia ad una rete limitata di infrastrutture logistiche di smistamento delle merci. Invece, l’arco alpino renderebbe necessaria una particolare attenzione alla logistica e alle infrastrutture per far recuperare l’oggettivo svantaggio competitivo derivante dal fatto che il suo valico ha un costo: si calcola che l’attraversamento delle Alpi porti a una maggiorazione di viaggio di 300 mila lire, dovuta ai pedaggi e alle "deviazioni" per i carichi superiori alle 28 tonnellate.

Conseguenza di ritardi e inefficienze infrastrutturali è che l’Italia sia posizionata piuttosto male nelle graduatorie europee di efficienza dell’autotrasporto: è al primo posto per costo operativo di esercizio per chilometro; il tempo medio di carico e scarico merci è tre ore, rispetto alle due dell’Europa; la velocità media commerciale è 50 Km/ora, a fronte dei 55 di Germania, Olanda e Francia; in Italia, per percorrere lo stesso numero di chilometri occorrono 2000 ore lavoro, a fronte delle 1818 ancora di Germania, Francia e Olanda: abbiamo dunque uno svantaggio di competitività di circa il 10%. Se si calcola in 300 mila miliardi l’insieme dei prezzi pagati da famiglie e imprese per tutte le operazioni di trasporto, immagazzinamento e movimentazione delle merci prodotte e consumate sul mercato domestico, importate e esportate, si può quindi calcolare in 30 mila miliardi la penalizzazione per il Paese per il mancato effetto sistema.

Infine, al di là dei problemi di quadro, pesa anche sul settore il fatto che in Italia il carico sociale sul costo del lavoro del mondo dei trasporti sia in assoluto il più alto d’Europa.

La rete stradale

Nel periodo 1990-98 la lunghezza complessiva della rete stradale italiana è cresciuta di appena il 3,4%, ad un tasso medio annuo dello 0,4%, incompatibile con il sistema produttivo di un Paese economicamente avanzato.

La rete stradale italiana - Anni 1990-1998 (dati in km)

Tipologia

1990

1995

1996

1997

1998

Autostrade

6.185

6.435

6.465

6.496

6.478

Strade Statali

44.742

45.130

46.043

45.819

46.009

Strade Provinciali

111.011 

114.442

113.924

(*) 113.835

114.909

Totale

161.938

166.007

166.432

166.123

167.396

 

Variazioni percentuali 

Tipologia

1995/90

1998/90

1996/95

1997/96

1998/97

Autostrade

4,0

4,7

0,5

0,1

0,1

Strade Statali

0,9

2,8

2,0

-0,5

0,4

Strade Provinciali

3,1

3,5

-0,5

-0,1

0,9

Totale

2,5

3,4

0,3

-0,2

0,8

 (*) Stima Ufficio di Statistica - Ministero dei Trasporti e della Navigazione.
Fonte: Aiscat, Anas ed indagine diretta presso le province a cura del Ministero dei Trasporti e della Navigazione.

Va notato, inoltre, che il maggior incremento nell’estensione della rete si rileva nel quinquennio 1990/1995 (+2,5%), e ha interessato principalmente il sistema autostradale (+4%), mentre una sostanziale immobilità su tutto il sistema stradale caratterizza la seconda metà degli anni novanta (+0,8%).

A livello territoriale emerge con particolare rilievo il divario tra il Nord ed il Sud per quanto riguarda la dotazione di autostrade che per il 70% si sviluppano nelle aree del Centro Nord. Viceversa il Sud si distingue per una notevole presenza di strade statali e provinciali.

Prendendo in esame il rapporto tra chilometri di strade statali e provinciali e superficie territoriale il sud del paese risulta avere una dotazione addirittura superiore alle altre regioni, ma questo elemento spesso non costituisce un vantaggio in quanto il problema di tali infrastrutture è dato da una loro insufficiente qualità.

Da queste sommarie indicazioni scaturiscono alcune riflessioni:

  • Paesi europei più sviluppati la dotazione di strade in rapporto alla superficie territoriale o alla popolazione è nettamente superiore alla media italiana, con una accentuazione del divario nei prossimi anni in considerazione della mancanza di sviluppo della rete viaria nazionale;
  • regioni economicamente evolute, come l’Emilia-Romagna o la Lombardia, presentano un rapporto tra sistema viario e superficie che è inferiore del 50% a quello di regioni di analogo livello di sviluppo e reddito dell’Europa centro-settentrionale;
  • nel Mezzogiorno il sistema viario è caratterizzato da una prevalenza di collegamenti che privilegiano la mobilità di tipo regionale (cioè sulla lunga o medio-lunga distanza) e da una sostanziale carenza di forme di collegamento interno più capillare, che servono ad accrescere il grado di efficienza interna di una regione. Una anomalia spiegabile con l’assenza di un progetto strategico di sviluppo infrastrutturale che ha contribuito all’ulteriore indebolimento di certe aree territoriali;
  • la rete stradale italiana risulta la più congestionata d’Europa, con un rapporto veicoli circolanti per chilometro che supera da due a tre volte quello dei Paesi più sviluppati, presentando, dal punto di vista del servizio, considerevoli problemi di funzionalità.

Diversi sono gli interventi che il settore stradale ormai richiede e che il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica quantifica in oltre 74.000 miliardi di lire interessando dalla messa in sicurezza degli assi autostradali e statali secondo le norme del Codice della Strada, al potenziamento dei corridoi lungo l’Adriatico e il Tirreno , alla creazione di strade di alleggerimento dei grandi nodi metropolitani e di decongestionamento delle conurbazione territoriali (Asti-Cuneo, Pedemontana lombarda e veneta, Napoli-Salerno, Salerno-Avellino, Raccordo anulare di Roma), al potenziamento di assi trasversali in quasi tutte le regioni, all’ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, al potenziamento degli assi insulari Messina-Palermo, Messina-Siracusa-Gela, Cagliari-Sassari.

La rete ferroviaria

Tra il 1981 ed il 1998 il trasporto su rotaia non ha subito, in termini di miglioramento qualitativo, trasformazioni tali da consentirgli di recuperare i pesanti ritardi nei confronti dei principali Paesi europei. In questo periodo la lunghezza complessiva della rete italiana si è addirittura ridotta, anche se in misura trascurabile (–0,5%).

Dal 1990 al 1998 l’estensione della rete è rimasta pressoché stazionaria, ma alcuni cambiamenti sono avvenuti sotto il profilo tecnologico, aumentando, ad esempio, le linee elettrificate che sono cresciute nel periodo in questione del 10,3% e quelle a doppio binario cresciute del 6,2%.

Estensione della rete ferroviaria - Anni 1990-1998
(km e composizione percentuale rispetto al totale della rete)
 

Tipologia rete

1990

1995

1996

1997

1998

Totale rete

16.066,0

16.005,1

16.013,6

16.030,3

16.079,9

 

100%

100%

100%

100%

100%

Elettrificata

9.511,6

10.204,7

10.318,5

10.358,3

10.487,7

 

59,2%

63,8%

64,4%

64,6%

65,2%

Non

6.554,4

5.800,4

5.695,1

5.672,1

5.592,2

elettrificata

40,8%

36,2%

35,6%

35,4%

34,8%

Linea a semplice

10.294,8

9.982,2

9.969,2

9.924,3

9.913,5

binario

64,1%

62,4%

62,3%

61,9%

61,7%

Linea a doppio

5.771,2

6.022,8

6.044,4

6.106,0

6.127,7

binario

35,9%

37,6%

37,7%

38,1%

38,1%

Fonte: Ferrovie dello Stato

Analizzando l’estensione della rete ferroviaria per area geografica si evidenzia la posizione del Mezzogiorno penalizzato rispetto al resto del paese. Se nel Nord si sviluppa quasi il 44% delle ferrovie nazionali, di cui il 49% elettrificate, nel Sud si rileva soltanto il 28% del totale di rete elettrificata, ed il 21% del totale delle linee a doppio binario; addirittura in Sardegna non c’è rete elettrificata.

Anche considerando la distribuzione di tali infrastrutture rispetto alla superficie del territorio si evidenzia un divario Nord – Sud: per ogni 1000 ettari nel meridione sono presenti 0,46 km di rete ferroviaria, contro lo 0,58 km del nord e lo 0,56 km del centro.

Rispetto all’Europa, l’Italia appare in forte ritardo nei confronti di Germania, Belgio e Paesi Bassi, che presentano una dotazione media di linee elettrificate quasi doppia di quella italiana.

Estensione della rete ferroviaria per area geografica (al 31 dicembre 1997)
(km e composizione percentuale rispetto al totale della rete)
 

Area geografica

Totale

Elettrificata

Non elettrificata

Lenea a semplice binario

Linea a doppio binario

 

 

 

 

 

 

Totale

16.030,3

10.358,3

5.672,1

9.924,3

6.106,0

 

100,0%

100,0%

100,0%

100,0%

100,0%

Nord

6.996,8

5.042,5

1.954,3

3.971,3

3.025,5

 

43,6%

48,7%

34,5%

40,0%

49,5%

Centro

3.281,1

2.363,0

918,1

1.495,2

1.785,9

 

20,5%

22,8%

16,2%

15,1%

29,2%

Sud e isole

5.705,4

2.952,7

2.752,7

4.410,9

1.294,5

 

35,6%

28,5%

48,5%

44,4%

21,2%

N.R.(*)

47

0

47

47

0

 

0,3%

0,0%

0,8%

0,5%

0,0%

(*) La quantità di 47 km è dovuta ad una tratta della linea Cuneo-Ventimiglia che ricade in territorio francese.
Fonte: Ferrovie dello Stato
 

Se si sposta il confronto sul piano delle reti a doppio binario, il divario si presenta ancor più elevato, con una dotazione media italiana inferiore di circa il 20% a quella dell’UE. Il gap assume proporzioni allarmanti se si considera che la dotazione di linee a doppio binario nei principali Paesi europei è da due a quattro volte più estesa di quella italiana.

L’utilizzo della rete ferroviaria per il trasporto di merci indubbiamente risente di tali carenze infrastrutturali e ciò spiega anche il peso ancora modesto di tale modalità per lo spostamento delle merci, pur rimanendo l’Italia in linea con la media europea.

L’ammodernamento della rete richiede diversi interventi che il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica quantifica, almeno per quelli ritenuti prioritari, in oltre 114.000 miliardi e riguardano, tra l’altro, il raddoppio delle capacità di trasporto sugli assi fondamentali del sistema (ad esempio, Alta Velocità Torino-Venezia, Milano-Napoli, quadruplicamento Napoli-Battipaglia, raddoppio Napoli-Bari), il raddoppio delle capacità di trasporto su tutto l’arco alpino con particolare attenzione al valico del Brennero e del Frejus, potenziamento dei collegamenti con in porti dell’alto Tirreno, completamento del corridoio trasversale Roma-Ancona e di quello adriatico (raddoppio Bologna-Bari-Lecce). 

Conclusioni

Il quadro che emerge dall’analisi della rete infrastrutturale dei trasporti nel nostro Paese appare decisamente sconfortante, soprattutto se si considera il ruolo di proprietario e gestore che lo Stato ha avuto e continua in parte a svolgere in questo segmento strategico del sistema produttivo nazionale.

Dal 1980 al 1996 la spesa pubblica in conto capitale, cioè in investimenti e contributi agli investimenti, è stata colossale, pari a quasi 900 mila miliardi che, pur ridimensionata per la perdita di potere d’acquisto intervenuta nel periodo di oltre il 330%, rappresenta un volume di investimenti ragguardevole, prossimo ai 300 mila miliardi.

Eppure, a distanza di anni, l’Italia ha una rete infrastrutturale che nonostante le risorse profuse ha fatto pochi passi in avanti rimanendo pressoché identica a quella del 1980.

I risultati di questa immobilità si leggono nelle strozzature dei mercati che costringono le imprese a pagare i costi di servizi inefficienti, come anche nel divario sempre più profondo che separa il Mezzogiorno dal resto del Paese, quanto a dotazione di infrastrutture efficienti.

Per quanto riguarda la movimentazione delle merci oltre a colmare le gravi carenze infrastrutturali occorre lavorare in una logica di integrazione delle reti, risposta moderna all’esigenza di rafforzare la posizione dell’Italia negli scambi con l’Europa e il Mediterraneo, nonché di venire incontro ai fabbisogni delle imprese, primo fra tutti quello logistico, fattore ormai ritenuto strategico per recuperare competitività ed efficienza.

Un’opera di ammodernamento complessivo sarà possibile se lo Stato ridurrà il suo ruolo gestionale dominante in ossequio a politiche economiche superate che preferiscono l’intervento massiccio dello Stato al rischio di un fallimento del mercato.

Certamente, nel settore dei servizi di rete gestiti da soggetti privati esiste il rischio di un market failure, ma tale rischio non può e non deve avere un effetto paralizzante sul sistema produttivo di un Paese moderno, costringendolo a subire supinamente i fallimenti, non probabili bensì certi e dimostrati, della mano pubblica nella gestione dell’economia.

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