Le riforme
Le riforme
Nella giornata di ieri, abbiamo segnalato la necessità e l’urgenza di fare tutto il possibile per rafforzare ed accelerare la crescita del nostro Paese. E di farlo puntando su risorse come le piccole e medie imprese, l’economia dei servizi, il turismo.
Risorse che – insieme ad un rigoroso impegno per la tutela della sicurezza e della legalità e contro la zavorra della criminalità – possono particolarmente contribuire al rilancio della crescita e dello sviluppo del Mezzogiorno come condizione di maggiore crescita e di maggiore sviluppo dell’intero Paese.
Sono – le piccole e medie imprese, l’economia dei servizi ed il turismo – risorse che vanno coltivate.
Con una politica per i servizi che integri la più consolidata politica industriale. E appunto – per venire al tema specifico di questo confronto – con buone riforme.
Perché – certo – il Paese ha mostrato, alla prova della crisi, di avere qualche buon fondamentale: il risparmio delle famiglie; la prudenza tradizionale di un sistema bancario a cui chiediamo di essere anche più lungimirante; il sistema di sicurezza sociale.
Ma – tanto per irrobustire buoni fondamentali, quanto per affrontare e risolvere fragilità e ritardi di lungo periodo – la strada maestra resta quella delle riforme necessarie per rafforzare produttività e competitività.
Bisogna, dunque, perseverare ed avanzare rapidamente nei cantieri di lavoro delle riforme già avviate:
- nella promozione del merito e della responsabilità in ogni ambito e, particolarmente, nella funzione pubblica, nella scuola e nell’università;
- nelle semplificazioni utili a ridurre quegli oneri burocratici che gravano sulle imprese con un costo pari ad almeno un punto di Pil;
- nel perseguimento di una maggiore efficienza della giustizia civile;
- nel decollo della nuova architettura della contrattazione;
- nella costruzione di una sicurezza sociale sempre più solidamente fondata sul lavoro, anche attraverso il nesso stretto tra ammortizzatori sociali ed efficienti processi di formazione continua;
- nelle liberalizzazioni ancora necessarie in tanti settori, ove non ha operato – per dirla con Mario Monti – l’aureo principio del “disarmo bilanciato dei privilegi di tutte le corporazioni”.
Sono, ovviamente, soltanto alcuni esempi di quella più complessiva agenda delle riforme i cui capitoli sono, peraltro, notissimi.
Un’agenda in cui assume poi particolare rilievo la questione della riforma del sistema fiscale.
Una riforma che – incrociandosi con il processo di costruzione del federalismo fiscale – deve avere tanto l’obiettivo di un fisco più semplice, quanto l’obiettivo della riduzione della pressione fiscale complessiva.
Certo, non è un obiettivo facile per un’Italia gravata dal macigno storico del debito pubblico e che davvero non può permettersi di scassare i conti pubblici.
Ed è giusto dire, allora, che non sono possibili né sconti, né scorciatoie.
Perché, invece e realisticamente, la riduzione della pressione fiscale può essere colta soltanto come il risultato del contestuale e progressivo avanzamento della ristrutturazione e della riqualificazione della spesa pubblica, del contrasto e recupero di evasione ed elusione, della diminuzione delle aliquote.
Da questo punto di vista, l’avvio della costruzione del federalismo fiscale è un’occasione non scontata, ma possibile.
Un’occasione per rafforzare – ad ogni livello istituzionale ed amministrativo – responsabilità nelle scelte di spesa e nel ricorso alla tassazione.
Una responsabilità condivisa: tra Stato, Regioni ed Enti locali; tra politica e forze sociali; tra Governo e Parlamento.
Ed è, anzitutto, la responsabilità di un confronto di merito e senza pregiudizi come metodo per l’avanzamento dell’agenda delle riforme.
Il Paese ne avrebbe tutto da guadagnare.