Sergio Billè al convegno Nomisma sul credito al consumo

Sergio Billè al convegno Nomisma sul credito al consumo

Roma, 11 novembre 2003

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11 novembre 2003
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Questo rapporto di Nomisma sulla positiva evoluzione del credito al consumo mi sembra importante per vari motivi. Primo perché dimostra come anche le nostre strutture di mercato si stiano attivando per realizzare una politica del credito che possa maggiormente soddisfare le nuove e più pressanti esigenze di consumo delle famiglie. Fino a qualche tempo fa, rispetto ai modelli di credito al consumo praticati da altri mercati come, ad esempio, quello degli Stati Uniti e di molti paesi europei, eravamo ancora in una situazione da alto medioevo e averne preso finalmente coscienza non può che farci piacere. Secondo, perché il riposizionamento e il rafforzamento di buona parte del nostro sistema distributivo hanno sicuramente, anche da questo punto di vista, prodotto e continuano a produrre risultati tangibili.

Devo anche dire però che si sarebbero potuti raggiungere risultati di maggiore spessore e latitudine se, parallelamente alla crescita del mercato e alla continua e pressante lievitazione delle sue esigenze - fra le quali certamente vi era quella di una nuova e diversa politica del credito al consumo - fosse, nel frattempo, cambiata e nella giusta direzione anche la politica del credito nei confronti delle piccole e medie imprese. Ciò, invece, non è avvenuto se non in minima parte e questa carenza, certamente di carattere strutturale, ha fatto sicuramente da freno allo sviluppo e alla modernizzazione dell’intero nostro sistema economico. Una diversa politica del credito nei confronti delle Pmi avrebbe consentito a questo settore di imprese, asse portante della nostra economia, di liberare maggiori energie, di attuare una più efficace politica di investimenti e quindi anche di realizzare, nei confronti dei consumatori, una diversa e più efficace politica come è appunto quella della rateizzazione di tutti o di gran parte dei beni durevoli offerti dal mercati.

Invece per anni, anzi per decenni, le imprese che potevano permettersi forme efficaci di credito al consumo sono state le grandi aziende automobilistiche e poche altre, aziende che, a differenza delle piccole e medie, potevano contare sul forte, costante, largo, fin troppo, supporto del credito bancario.

Ora sta cambiando qualcosa? Pare di sì anche perché, per come stanno andando le cose nella nostra economia, mi sembra che quel genere di imprese non abbiano più, nella produzione di ricchezza di questo paese, quel ruolo e quel peso che, invece, era loro riconosciuto ed assegnato fino agli anni novanta.

Negli Stati Uniti la politica del credito al consumo è da tempo vangelo per l’economia. Non c’è prodotto, infatti, che non possa venire acquistato a rate e a condizioni di massimo favore. Ma alle spalle delle imprese americane, dalle più grandi fino alla più piccola struttura di distribuzione, opera un sistema del credito pronto a sostenere qualsiasi tipo di iniziativa, qualsiasi progetto che possa ovviamente avere ragionevoli basi di fattibilità e di realizzabilità.

Da noi questo non è mai accaduto e continua, in gran parte, a non accadere: chiedete ad una piccola impresa commerciale quali inauditi e talvolta vani sforzi debba oggi sostenere per aprire una linea di credito presso le banche e avrete una chiara e documentata risposta.

Se c’era una fase della nostra economia che avrebbe dovuto rilanciare, a dosi massicce, il credito al consumo, questa era senz’altro quella che prese forma, nel nostro mercato come in altri, con lo sconquasso che è seguito agli attentati alle Torri gemelle.

Il vero e proprio crollo dei risparmi delle famiglie provocato dalla negativa turbolenza dei mercati finanziari, la caduta altrettanto rovinosa delle esportazioni, la graduale ma sempre crescente erosione del potere di acquisto delle famiglie determinata dalla coincidenza e dall’assemblaggio di molti e diversi fattori di tipo economico avrebbero dovuto essere affrontati con misure e terapie d’emergenza rivolte ad almeno frenare la rovinosa caduta dei consumi di beni durevoli.

Non si è fatto, invece, nulla e per più di due anni le famiglie, falcidiate nei risparmi e schiacciate dal sempre maggior costo dei servizi, hanno cominciato a chiudere i boccaporti consumando solo quel che era loro necessario, in campo alimentare, per la sopravvivenza.

Sarebbe stato, invece, il momento per intervenire con strumenti che incentivassero al massimo il credito al consumo ricorrendo anche a provvedimenti straordinari come, ad esempio, la detassazione delle spese per interessi sugli acquisti di beni durevoli.

Tutte cose da noi ripetutamente chieste, tutte cose messe allo studio più volte dal governo, ma poi mai realizzate.

E così i magazzini delle imprese hanno cominciato a riempirsi di merce invenduta.

E ancora oggi ci chiediamo perché certe soluzioni pur messe allo studio dal governo sono rimaste allo stadio di progetto.

Il mercato avrebbe dovuto fare tutto da solo? Ma, mi chiedo, con quali mezzi, con quali sostegni da parte del mondo del credito, con quali agevolazioni avrebbe potuto da solo contrastare questa crisi?

Quando si farà la vera storia di questi anni di crisi, saranno in molti, credo, a dover fare un esame di coscienza per quel che si poteva fare e, invece, non è stato fatto.

Ma, guardando avanti anziché indietro, credo che, proprio sfruttando i primi sia pur labili segnali di ripresa dell’economia che si cominciano qua e là ad avvertire, si dovrebbe lavorare almeno su due obiettivi. Il primo è quello di operare per ridare al consumatore un po’ di fiducia sulle possibilità di ripresa e poi di sviluppo del mercato. In questi giorni, in sede politica, si parla di tutto, ma non di questo vitale problema e credo che questo comportamento sia un grave errore. Prima si cercherà di porvi rimedio e meglio sarà per tutti. Il secondo è quello di sederci tutti intorno ad un tavolo - governo, imprese, sindacati ma anche responsabili del credito e delle strutture finanziarie - e vedere che cosa, in concreto, si può fare per rilanciare, da una parte, gli investimenti e, dall’altra, i consumi. E perché questa politica possa avere successo è indispensabile una politica del credito più aperta e flessibile nei confronti delle piccole e medie imprese e poi anche, in parallelo, sull’altro versante, un rilancio, a dosi massicce, del credito al consumo.

L’economia, per quanto riguarda i consumi, non si può più permettere un 2004 che consegua risultati simili a quelli dell’anno che ora si sta concludendo.

Se così fosse, la nostra economia, invece di godere dei benefici di una possibile ripresa, si avvierebbe verso il collasso.

Un’ultima riflessione, sulla privacy, cioè sull’indice di riservatezza di tutte le informazioni che, in caso di accensione di crediti anche al consumo, confluiscono nelle banche dati.

La mia opinioni è che ormai questa privacy, nonostante esistano precise normative in materia, sia ormai per tutti, per le imprese come per le famiglie, solo una pia illusione e credo che Rodotà abbia oggi piena coscienza di una realtà che, da questo punto di vista, sta diventando ormai irreversibile. Non c’è, del resto, scheda telefonica di cellulare che non finisca in una memoria che le strutture si guardano bene dal distruggere. Non sarebbe stato possibile, del resto, rintracciare, fin nei minimi dettagli, tutte le operazioni compiute dalle br che avevano deciso di preparare e poi compiere l’assassinio del Prof. Biagi, se le schede telefoniche utilizzate nei loro cellulari fossero state distrutte.

Nulla va più perduto, tutto viene registrato e codificato all’infinito come dimostra lo straordinario successo conseguito, negli Stati Uniti, dal programma “Google”.

Ma il nostro problema oggi non è quello di opporsi alla rintracciabilità dei nostri dati messi in memoria, ma piuttosto quello di finire sulle banche dati perché quella è la testimonianza certa, inequivocabile di un credito che finalmente, per imprese e famiglie, è stato erogato.

Ecco oggi il principale, più urgente problema di questo paese. Del resto si comincerà a discutere semmai dopo, quando cioè saremo usciti dalla palude di questa crisi che sembra non aver mai fine.

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