Sergio Billè alla conferenza stampa su previsioni economiche e consumi di Natale

Sergio Billè alla conferenza stampa su previsioni economiche e consumi di Natale

Roma, 2 dicembre 2004

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2 dicembre 2004
Sono almeno tre i segnali preoccupanti, da febbre alta, che questo 2004 che sta per concludersi mette in assoluta evidenza

 

 

Sono almeno tre i segnali preoccupanti, da febbre alta, che questo 2004 che sta per concludersi mette in assoluta evidenza.

1- La caduta verticale, negli ultimi mesi in progressiva accelerazione, dei consumi delle famiglie, da un lato, e la crescente perdita di competitività del nostro sistema imprenditoriale con forte contrazione anche del volume delle esportazioni, dall'altro, mostrano un motore dell'economia sostanzialmente "imballato".

Chi tenta di accreditare oggi un'immagine diversa da questa o racconta balle o vive fra le nuvole.

2- L'acuirsi di questa crisi sta creando, nelle famiglie come nelle imprese,anche in quelle che noi rappresentiamo, un diffuso, senso di disagio, di precarietà ed anche di sfiducia sulle possibilità di ripresa, almeno nel breve periodo, del sistema economica.

Ed è uno stato di più che palpabile malessere che i correttivi introdotti dalla legge finanziaria per il risanamento dei nostri conti pubblici non sono riusciti sostanzialmente ad attenuare.

Giusto fare ogni sforzo per cercare - ma è un ritornello che sentiamo ormai da molti anni - di ridurre l'impressionante carico dei nostri debiti, ma poi cosa si sta imbastendo di nuovo, di serio e di innovativo per rilanciare e restituire competitività al nostro sistema economico?

3- Difatti molti italiani non riescono a scrollarsi di dosso la sensazione che le strategie fino ad ora proposte sia dai partiti di governo che da quelli dell'opposizione per uscire davvero da questa crisi siano ancora poco credibili e, per alcuni versi, addirittura velleitarie. Bolle di sapone.

La percezione è insomma che si stia continuando a girare in tondo: un taglio qui, un sostegno là, per poi, al massimo, tornare alle posizioni di partenza che sono quelle di una struttura pubblica che nel suo insieme, pur mantenendo alti costi di esercizio e soverchianti spese di mantenimento, non riesce ad essere funzionale ad una strategia di sviluppo, di ammodernamento e di effettiva liberalizzazione dell'economia e di tutto il sistema di mercato.

E sono almeno tre le parti della legge finanziaria che, da questo punto di vista, lasciano più amaro in bocca.

1-     Sono incerti, esigui e marginali i tagli di quella parte della spesa pubblica che, nonostante sia manifestamente improduttiva ai fini di uno sviluppo del sistema, continua ad ingoiare una grossa fetta delle risorse disponibili. Si è tagliato qualche rametto secco ma niente di più. Ed è questo il motivo per cui questa manovra dà l'impressione di avere il fiato corto e di non aiutare le prospettive di crescita.

2-     Non vi è traccia di interventi di carattere strutturale che possano favorire una maggiore trasparenza di un sistema economico che continua ad essere stretto, soffocato nel cappio di una consolidata e quasi inossidabile struttura di cartelli e di oligopoli pubblici e privati che, in un libero mercato, non dovrebbero avere più ragione di esistere. Siamo in presenza di un sistema che favorisce le rendite ma non certo gli interessi del libero mercato. Basta ricordare l'energia, il settore assicurativo, quello bancario, quello della viabilità su gomma e su rotaia.

Risaniamo i conti a spese dei cittadini per lasciare tutto il sistema com'era prima?

3-     C'è, infine, il fondato sospetto che questa forzata, quasi affannosa corsa al rientro del deficit e del rapporto debito/Pil possa aprire nuove e più larghe crepe nelle amministrazioni locali che, per il ripianamento dei loro debiti di bilancio, saranno probabilmente costrette a rivalersi sull'utenza. E, se così fosse, per quanto riguarda pressione fiscale effettiva e liberalizzazione di risorse a favore del sistema delle imprese, saremmo proprio da capo a dodici.

 

Tempo fa, analizzando in controluce la crisi che sta caratterizzando il rapporto fra Istituzioni e paese reale, adombrammo il rischio di una deriva di tipo argentino del nostro sistema.

Non mi pare che questo rischio, visto il sempre più precario stato di salute della nostra economia e la crescente fibrillazione che esso provoca in molti settori della società, possa oggi considerarsi del tutto fugato.

Sarebbe necessario agire per tempo ma chi oggi sta davvero pensando ad affrontare questo problema?

E qui, finiti i necessari e spero più che motivati preamboli, vengo al vero succo di questa conferenza stampa.

E' certo che la decisione presa dal governo, proprio in extremis, quasi sul filo di lana, di ridurre, in qualche modo, la pressione fiscale sulle famiglie è da considerarsi positiva. Anche se devo aggiungere che sarebbe stato meglio prendere questa decisione, magari con gli stessi soldi, molto tempo prima quando la crisi non era arrivata a raschiare il fondo del barile.

Quel che si è ora deciso, anche se per molte categorie di reddito la riduzione è solo nell'ordine dei decimali, è comunque un segnale almeno di tendenza che va nella giusta direzione perché – ed è da tempo che lo andiamo sostenendo - è andando prima di tutto incontro alle esigenze e alle aspettative delle famiglie che si può stimolare una maggiore domanda di consumo e far quindi ripartire, in qualche modo, il motore dell'economia.

Anche dai settori industriali sono alla fine venuti consensi a questa linea.

Certo sarebbe stato meglio trovare risorse anche per il sostegno delle imprese, per un robusto rilancio di un settore della ricerca ormai ridotto al lumicino e per tante altre cose, ma quando si hanno solo quattro soldi da spendere nel portafoglio, due più due, bisogna pur decidere se, per il rilancio dell'economia, viene prima l'uovo o la gallina.

Il problema resta però quello di vedere se questo leggero "spolverino" fiscale ora donato dal governo possa essere sufficiente alle famiglie per difendersi dalle temperature quasi polari di una crisi che non solo ha falcidiato il loro potere di acquisto in questi ultimi due anni ma rischia di durare ancora per un pezzo.

E' un provvedimento che certo va nella giusta direzione, ma non è il caso di farsi soverchie illusioni su quelli che potranno essere i suoi possibili effetti.

In realtà, questo "spolverino" non basta, infatti, nemmeno a compensare un decimo delle maggiori spese che ogni famiglia, di qualsiasi fascia di reddito e qualunque sia il suo tipo di lavoro e di impiego, deve oggi sostenere per il riscaldamento, per un pieno di benzina, per l'affitto o per l'acquisto di una nuova casa - i cui prezzi, su entrambi i versanti, si sono praticamente raddoppiati nel giro di due anni - o per la più semplice delle operazioni bancarie.

La verità è che le famiglie sono veramente oggi al collo di bottiglia e bisognerebbe fare ben altro per restituire loro una condizione di vita "normale".

Meno pressione fiscale certo, ma non è il caso di prendere lucciole per lanterne.

Ed è questo il motivo che ci spinge oggi a mettere sul piatto un'iniziativa che mi auguro possa avere al più presto un positivo riscontro in tutti i settori della distribuzione.

Perché, visto che la politica continua a glissare e poi a glissare e poi ancora a glissare su questi problemi, credo che sia arrivato il momento anche per noi di prendere l'iniziativa di agire come dire, "in proprio", da soli, cercando di fare tutto quel che sarà ancora possibile per andare maggiormente incontro alle esigenze delle famiglie e per stimolare quindi, di rimbalzo, anche una ripresa dei consumi.

Non è certo un'operazione facile da attuare perché gran parte delle aziende commerciali, comprese quelle della grande distribuzione, hanno ormai, a causa della caduta dei consumi ma anche per le promozioni che hanno già attuato sotto varie forme per il contenimento o addirittura di riduzione dei prezzi, margini operativi che si sono ormai largamente ridotti.

Ciascuno farà quel che potrà.

Quel che sarebbe però sbagliato è starsene con le mani in mano, girandosi i pollici in attesa che qualche santo del paradiso possa, d'incanto, risolvere i problemi delle famiglie e quindi anche i loro.

Non abbiamo né santi in Paradiso né una classe politica che sia veramente in grado di risolvere questi problemi.

Prendere l'iniziativa ed agire da soli resta allora l'unica via di uscita oggi percorribile.

E prima la imbocchiamo e meglio sarà per tutti.

Sarebbe importante che questa operazione volta ad un ulteriore contenimento e, dove e come sarà possibile, ad una vera e propria riduzione dei prezzi specie dei prodotti di più largo consumo, potesse – ed è questo il caldo appello che qui rivolgo alle imprese - prendere forma già nei prossimi giorni in modo non solo da mettere qualcosa di nostro, di solido e di concreto sotto l'albero di Natale delle famiglie ma di dare anche ad esse una prospettiva migliore per il nuovo anno che sta per cominciare.

Cosa diranno le imprese di questa mia balzana idea? Mi fucileranno? Mi manderanno i padrini?

Io penso di no.

Credo, invece, che sia una proposta su cui tutti farebbero bene almeno a riflettere valga la pena di riflettere anche se certo non mi illudo che ad essa tutti alla fine possano davvero aderire.

Ma la cosa importante è dare un segnale e poi, siccome una ciliegia tira l'altra, se qualcuno comincerà a muoversi, dando il buon esempio, in questa direzione, molti altri probabilmente seguiranno.

E' vero che i prezzi di molti prodotti - e non è solo l'Istat a certificare oggi questo dato - o sono da tempo già fermi o, in certi casi, sono già stati, in qualche misura, ridotti e non certo perché altri ci hanno costretto a farlo.

Ma quel che cerco di dire è che quel che fino ad ora è stato fatto ancora non basta.

Dobbiamo fare di più, rilanciare ancora, spremerci le meningi per cercare di fare qualcosa di ancora più visibile e di più stimolante per le famiglie.

Mi fischiano le orecchie quando immagino come potranno reagire al mio appello quei piccoli commercianti che, visti i loro sempre più magri incassi, non sanno più come dividere il pranzo con la cena. Eppure ,anche loro, se non vogliono rinunciare non ad uno ma a tutti e due i loro pasti, devono in qualche modo darsi da fare perché è in gioco ormai la sopravvivenza del mercato e quindi delle loro stesse imprese.

E sarebbe bene che anche gli operatori piccoli, medi e grandi di tutti i comparti, commercio, turismo e servizi riflettessero seriamente su questa proposta e decidessero, nella direzione che ora ho indicato, qualche tipo di efficace iniziativa.

Essi, nel rapporto con la loro sempre più sofferente e disorientata clientela, potrebbero avere tutto da guadagnare: Sarebbe un investimento a buon rendere.

E di più: essi si troverebbero finalmente anche nella condizione di poter andare alle urne per le prossime elezioni a testa alta, senza il piattino in mano e soprattutto senza dover più dire grazie a nessuno.

E' una svolta? Potrebbe esserlo, ma non avendo la palla di vetro, non riesco a fare previsioni su quello che potrà produrre, in concreto, il tipo di iniziativa che ora ho proposto.

Quel che è certo è che, in mancanza di altre per ora improbabili soluzioni, l'unica vera scossa al mercato dovremmo essere in grado di darla noi.

 

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