Sergio Billè alla conferenza stampa su "Previsioni economiche e inflazione"

Sergio Billè alla conferenza stampa su "Previsioni economiche e inflazione"

Roma, 19 settembre 2003

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19 settembre 2003
Intervento di Sergio Billè

Credo che, all’argomento che è al centro di questo incontro, va fatta una più che doverosa premessa sullo stato della nostra economia e sulla legge finanziaria che il governo si sta apprestando a varare.

L’ulteriore e assai più grave del previsto caduta delle entrate – come sapete, mancano all’appello altri 10 miliardi di euro- pone il governo in condizioni di obbiettive difficoltà e , anche da parte nostra, non avrebbe senso nascondere la testa sotto il cuscino e far finta che la realtà sia diversa da quella che purtroppo è.

E questo mi porta a fare due considerazioni. La prima di carattere generale, la seconda attinente al tema di questa conferenza stampa cioè prezzi ed inflazione.

La prima. Continuare a rinviare, in questo contesto, anche il problema della riforma delle pensioni ci sembra una follia, un ingiustificato ed  ingiustificabile rinculo verso quel tipo di politica e di gestione pubblica che hanno fortemente contribuito, negli scorsi anni, a creare quell’enormità di debito che oggi ci portiamo sulle spalle.

Quindi è augurabile che trovino attuazione subito almeno le norme che, attraverso incentivi, stimolino la permanenza al lavoro per qualche altro anno del maggior numero possibile di lavoratori perché solo con atti concreti e non facendo solo chiacchiere possiamo cominciare a raffreddare quella spesa pensionabile che sta purtroppo sfuggendo ad ogni controllo.

Come ci sembra opportuno aver fissato una scadenza che imponga, nel tempo, requisiti più rigidi per il pensionamento perché solo così cioè garantendo un periodo di contribuzione più lungo di quello attuale si può sostenere un sistema previdenziale che, a causa dell’allungamento della vita media, dovrà  pagare le pensioni per un periodo assai più lungo di quello attuale.

La seconda considerazione riguarda il nuovo buco registrato sul versante delle entrate. E permettetemi, in proposito, di fare una riflessione direttamente attinente al tema di oggi. Questa: se l’aumento dei prezzi e quindi dell’inflazione fosse stato, nell’arco di quest’anno, assai più alto di quello indicato dall’Istat, sicuramente anche le casse dell’Erario ne avrebbero ricavato, dai consumi dipende, infatti, almeno il 70% del PIL. Invece, le casse dell’erario continuano ad essere vuote. Il che significa solo una cosa: recessione a 360 gradi.

Il problema numero uno da affrontare è quello di rilanciare i consumi perché solo così si creerà una maggiore produzione di ricchezza e quindi maggiori risorse dello Stato.

Ed è quello - lasciatemi dire - che, purtroppo inascoltati, chiediamo da quasi due anni.

Credo che sia arrivato il momento - e oggi siamo qui proprio per questo - di mettere, sul problema prezzi ma anche su tutto ciò che c’è dietro ed intorno ad esso, tutte le carte sul tavolo.

E questo perché tutto il settore del terziario, da quello della grande distribuzione fino al più piccolo dettagliante, a quello dei servizi è veramente stufo, arcistufo di essere messo quotidianamente alla berlina e di essere spinto sul banco degli accusati come se fosse l’unico, vero colpevole di una situazione che ha, invece, ben altre cause, ben altre radici e ben altri padrini.

Cause, radici e padrini di cui intendiamo, d’ora in poi, visto che la polemica sui prezzi sta assumendo latitudini e dimensioni che hanno ormai del grottesco, fare nomi, cognomi ed indirizzi. E, come lo abbiamo fatto oggi a Roma, lo faremo, nelle prossime settimane, dati locali alla mano, in moltissime città italiane.

Non abbiamo bisogno di difensori di ufficio perché siamo in grado di documentare, davanti a qualsiasi tipo di giuria, la veridicità dei dati che oggi andiamo ad esporre, ma credo che sia arrivato anche il momento di mandare al governo un messaggio forte e chiaro.

Questo: il governo la deve smettere una buona volta di comportarsi come Ponzio Pilato tentando di scaricare sui protagonisti del mercato colpe e responsabilità che, invece, sono, in buona parte, proprio di chi esercita oggi, ad ogni livello, centrale come periferico, funzioni pubbliche.

Nessun altro governo, in Europa, in questi frangenti di grave crisi economica, ha fatto lo “gnorri” in questo modo sui problemi riguardanti il mercato e non so proprio - sono reduce da un consiglio nazionale della confederazione di grande turbolenza al riguardo - come andrebbe a finire se andassimo oggi alle urne.

Siamo ben coscienti - e lo siamo stati fin dall’inizio mantenendo sempre un atteggiamento più che responsabile - che le cause di questa crisi vengono da lontano e che, in ragione di esse, il governo si è visto costretto prima a rinviare e poi forse ad accantonare sine die quasi tutte le promesse che aveva fatto per quanto riguarda soprattutto la riduzione delle tasse.

Forse non si poteva fare altrimenti, ma qui, in più di due anni, non si è visto nemmeno uno straccio di provvedimento che tendesse soprattutto a tamponare l’erosione del potere di acquisto delle famiglie e arginare l’aumento dei costi delle aziende commerciali.

E aziende e famiglie cominciano a mettere nel conto anche questo e state pur certi che se il conto arrivasse a noi non ci metteremmo nemmeno un secondo a girarlo al suo vero destinatario.

E non si è visto nemmeno uno straccio di riforma - e anche questa era stata non promessa, ma arcipromessa - che consentisse di cominciare a liberare il mercato dei tanti cartelli che, di fatto, non solo ne impediscono la trasparenza ma condizionano pesantemente molte delle filiere che concorrono oggi alla formazione dei prezzi dei prodotti.

E poi ci era stato anche detto: “state tranquilli, cancelleremo l’Irap, consideratela cosa fatta”, una tassa questa semplicemente grottesca perché colpisce proprio le imprese che, nel mercato, stanno in prima linea.

Non è stato cancellato un bel nulla. Anzi, all’Irap, si sono aggiunti aumenti terrificanti di quasi tutti i servizi di pubblica utilità. Dopo di me ci sarà chi vi darà cifre e dati di questi aumenti con il massimo dettaglio.

Mi si dirà che il governo non ha colpa di questo perché la maggior parte dei servizi e delle tariffe sono gestite, in proprio, da enti locali o da società su cui l’esecutivo ha scarso potere di intervento.

Due gli esempi più vistosi: 1- il vertiginoso aumento dei costi di tutti i servizi finanziari, a cominciare da quelli bancari, e il davvero inaudito aumento - a dirlo non sono io ma è stato, nei giorni scorsi, il Presidente dell'antitrust Tesauro - delle polizze Rc auto.

Mi spiace dover polemizzare con il mio amico Presidente dell’Abi il quale, ieri, ha detto - e penso che sia giusto virgolettare questa dichiarazione - “che i costi delle banche, negli ultimi sette anni, sono cresciuti meno dell’inflazione per la totalità dei clienti”.

Ma vogliamo davvero scherzare?

Due esempi ai quali seguiranno maggiori dettagli che vi fornirà il responsabile del nostro Centro Studi: 1- solo i costi dei servizi bancari, dal 1996 ad oggi - e sono dati ufficiali - sono aumentati mediamente del 61% contro un aumento dell’inflazione, nello stesso arco di tempo, del 22%. Oggi anche chi deposita in banca una cifra elevata - diciamo 50 mila euro - ha costi di giacenza superiori agli interessi percepiti. Per arrivare poi ad interessi sui piccoli prestiti che sono obiettivamente eccessivi. 2- Sugli aumenti dell’Rc auto non credo che sia nemmeno di fare esempi perché la loro esosità è di dominio pubblico. Chi di voi è venuto qui con un motorino sa di che cosa parlo. Ma, su questo versante, Ponzio Pilato ha fatto di peggio. Primo, cancellando con un colpo di spugna le sanzioni che, per decine di miliardi, erano state comminate alle principali compagnie assicuratrici perché avevano fatto cartello. Secondo, dopo aver steso un velo pietoso sulla raffica di aumenti registrati nell’ultimo anno, ha fatto un accordo per una moratoria dei prezzi per almeno un anno. Accordo che fa per lo meno sorridere perché, dopo tutto quel che era stato aumentato, un po’ di digiuno, magari per pagare meno tasse, alle compagnie poteva anche far comodo.

Il ministro per le attività produttive, Antonio Marzano, ha lanciato, in queste ore, la proposta di un protocollo di intesa che possa portare ad un calmieramento dei prezzi.

E, io rispondo, perché no, basta che non sia il solito specchietto per le allodole, basta che finalmente, sopra questo tavolo, mettiamo tutti, ma dico tutti i fattori che hanno contribuito a creare questa situazione.

E allora sì che ci divertiremo perché, su questo tavolo, voce per voce, dovranno prima di tutto, comparire tutti gli aumenti registrati, nel corso degli ultimi due anni, nelle imposte locali, nei servizi di pubblica utilità e nelle tariffe. Anche qui - cito, ad esempio, le nuove tariffe sulla raccolta dei rifiuti - siamo a forme di vero e proprio strozzinaggio. E poi è giusto che una piccola impresa commerciale debba pagare oggi una bolletta della luce del 24,5% superiore a quella che oggi paga un’impresa similare di altri paesi europei? Insomma o, a questo tavolo, si fa finalmente anche questo puntuale, capillare rendiconto o di protocolli non è nemmeno il caso di parlare perché produrranno altro fumo e nient’altro.

E non ho certo finito. Vogliamo finalmente e seriamente parlare di prezzi intorno ad un tavolo? E allora ci dovrà essere quello che fino ad oggi è stato una specie di convitato di pietra fantasma cioè il settore della produzione.

Ed è stata proprio la grande distribuzione a fornirci, in questi giorni l’elenco di questi aumenti.

E sarà il dottor Cobolli Gigli ad illustrarvi questo problema.

Con una riflessione aggiuntiva: mentre la grande distribuzione ha potuto, operando su una più larga economia di scala e avendo alle spalle maggiori risorse finanziarie, non scaricare ancora sui prezzi finali buona parte di questi aumenti, il piccolo dettagliante si è trovato con il cappio al collo, anche perché continua ad essere l’ultimo anello di una lunga catena nella quale i servizi utili - grossisti e trasporti - si intrecciano purtroppo con strutture che fanno pagare pedaggi costosi ma superflui e che, in altri paesi, sono stati da tempo aboliti.

E’ più che logico che una parte del mondo industriale cerchi disperatamente, per timore anche di rivendicazioni di tipo salariale, di scaricare su altri le cause che stanno producendo questa erosione del potere di acquisto.

Troppo facile e noi a questo gioco non ci stiamo. Cominci l’industria a fare la propria parte non solo calmierando i prezzi ma fornendo anche prodotti più competitivi e si potrà cominciare a ragionare. E, invece, di pensare a distribuire dividendi ai suoi azionisti, cominci a pensare a migliorare i redditi dei suoi dipendenti che sono oggi a livello cinese. Se no, fra poco, ci converrà comprare tutto, anche i frigoriferi, dai cinesi, spendendo molto meno e avendo prodotti anche migliori.

E, se si vuole ragionare di protocollo, vanno messi sul tavolo anche i problemi che oggi presenta la produzione ortofrutticola. Io vorrei che qualcuno di voi andasse, nei prossimi giorni, a bussare alla porta dell’Ismea, un istituto che tutto fa meno che difendere gli interessi dei commercianti.

E saranno quelli dell’Ismea a ripetervi cose che, del resto, sono già di pubblico dominio ma che poi, non si sa perché, non vengono tenute nel debito conto. I dati ve li daremo fra poco. Ecco, intanto, qualche esempio dei prezzi registrati all’origine: agosto 2003, albicocche +71,9% rispetto allo stesso mese dello scorso anno, pere +43%, pomodori +28,9%, patate +23,6%.

Insomma siamo pronti a confrontarci su tutto ma solo a condizione che, ancora una volta, non si faccia solo shopping di demagogia: ladri i commercianti, santi tutti gli altri.

E a proposito di ladri non posso non fare un accenno ad un’iniziativa assunta, proprio in questi giorni, dal procuratore dell’antimafia, Vigna il quale ha istituito, con apposito decreto, una struttura che sarà incaricata di indagare sulle molte ombre che circondano almeno una parte del settore ortofrutticolo. Nel mirino di questa indagine non ci sono gli agricoltori ma una serie di misteriose ma, sembra, ingombranti strutture che, prelevando la merce, poi impongono con la forza a catene di negozi e di ristoranti le loro forniture facendo pagare ad essi un pesante pedaggio. E anche questa è una pista da seguire perché si parla troppo poco e con scarsa cognizione di causa della massiccia e sempre crescente infiltrazione delle organizzazioni criminali in ogni filiera e struttura del nostro mercato.

O vogliamo fare come Ponzio Pilato anche su questo problema?

 

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