Intervento del Presidente Sangalli alla Conferenza stampa di apertura della XII edizione del Forum Confcommercio

Intervento del Presidente Sangalli alla Conferenza stampa di apertura della XII edizione del Forum Confcommercio

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18 marzo 2011

Anzitutto, benvenuti e grazie per avere accolto in così tanti il nostro invito a seguire i lavori della dodicesima edizione del Forum Confcommercio-Ambrosetti di Cernobbio.

Questo Forum è, ormai, un appuntamento tradizionale e riconosciuto. Ma, quest’anno, assume un particolare significato, perché si sviluppa in concomitanza con le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia.

Discuteremo così, tra oggi e domani, di quanto occorre, nello scenario internazionale e particolarmente nel nostro Paese, per rafforzare il ritorno alla crescita, il riassorbimento della disoccupazione e la costruzione di nuova occupazione.

E, come di consueto, lo faremo con il contributo di esponenti di primo piano della cultura economica, delle istituzioni e della politica, delle forze sociali.

Questo confronto, questa discussione sarà però anche il modo con cui noi vogliamo festeggiare la storia dell’Unità d’Italia.

Vivendo, insomma, questa festa come l’occasione “per trarre motivi di ispirazione e di fiducia – cito il Presidente della Repubblica – dai filoni vitali della nostra tradizione storica, e per ricordarci che abbiamo un ruolo da salvaguardare, un ruolo da riaffermare, rinnovare nell’Europa e nel mondo”.

Riaffermare e rinnovare il ruolo dell’Italia, dunque. Nel mondo ed in Europa, a partire da quanto sta accadendo lungo la sponda Sud del Mediterraneo.

Particolarmente per l’Unione europea e per l’Italia, vi è il dovere e l’interesse a tessere le fila di un dialogo operoso che accompagni e sostenga, in un’area strategica di primario interesse per le sorti della pace e dello sviluppo, l’affermazione della democrazia, contrastando estremismi e fondamentalismi.

Peraltro, i rialzi dei corsi delle materie prime e dei prodotti petroliferi innescano tensioni inflazionistiche che vanno tenute sotto stretto controllo, e che sono particolarmente pericolose in uno scenario di crescita ancora debole e fragile.

Questo è, infatti ed ancora una volta, il punto.

Nel tempo della crisi, l’Italia ha mostrato di avere qualche buon fondamentale: il risparmio delle famiglie e la tradizionale prudenza del suo sistema bancario, la rete della sicurezza sociale e la flessibilità delle piccole e medie imprese.

Nel tempo della crisi, l’Italia non ha pigiato il pedale degli interventi a carico della finanza pubblica.

La crisi ha comunque colpito duro, molto duro. Nel 2009, ad esempio, il Pil pro-capite italiano è risultato inferiore, in termini reali, a quello del 1999.

Usciti dalla recessione, i nodi irrisolti dell’agenda della produttività stagnante e della competitività difficile continuano fortemente a pesare sulle prospettive di crescita del Paese.

Da un quindicennio, la crescita annua dell’Italia è inferiore di circa un punto alla media dell’area euro.

E le previsioni segnalano - tanto per il 2011, quanto per il 2012 – una crescita del Pil intorno all’1% o poco più.

Sono dati – è vero – la cui lettura deve tenere conto di quanto, anche in importanti Paesi europei e a differenza dell’Italia, abbia inciso sulla crescita l’effetto doping dell’indebitamento dei privati, nonché del profondo divario di crescita e di sviluppo del Mezzogiorno rispetto alle altre aree del Paese.

Ma - nel complesso e come, ancora di recente, ha sottolineato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – è indubbio che occorra “forzare la crescita oltre queste previsioni che sono troppo inferiori alle nostre esigenze…”.

Esigenze di benessere dei cittadini, esigenze di riassorbimento della disoccupazione e di costruzione di nuova occupazione, esigenze di coesione sociale e territoriale in un’Italia preoccupantemente segnata dal tasso di disoccupazione giovanile.

Ma di più crescita l’Italia ha necessità anche per proseguire l’opera di risanamento della finanza pubblica e, particolarmente, per alleggerire il fardello storico del debito pubblico, senza cedere alla tentazione iniqua ed inefficace di “patrimoniali” vecchie e nuove.

Più crescita, dunque. Perché “senza crescita – come ha osservato il Governatore Draghi – non si consolida la stabilità finanziaria nel mondo, in Europa, nel nostro Paese”.

Il Piano recentemente varato dal Consiglio dei Ministri, persegue l’obiettivo della crescita facendo particolarmente leva sulla “liberazione” delle energie dell’attività d’impresa, anche attraverso interventi di modifica del dettato costituzionale e, in specie, dell’art. 41 della Costituzione.

Ogni riduzione e semplificazione di regole ed adempimenti è benvenuta. Le regole occorrono, ma esse sono giuste se ed in quanto effettivamente necessarie.

Per il resto, si proceda. Perché la “tassa della burocrazia” continua a gravare sulle imprese italiane per circa un punto di Pil.

Si proceda. Anche per via di modifiche costituzionali, se può essere utile.

Ma, soprattutto, si proceda facendo avanzare il processo di riforma delle pubbliche amministrazioni e facendo vivere i principi dello Small Business Act.

Ancora, il Piano varato dal Consiglio dei Ministri giustamente insiste sull’accelerazione della crescita e dello sviluppo del Mezzogiorno come occasione di maggiore crescita e di maggiore sviluppo dell’intero Paese.

E’ una questione chiave. Va affrontata e risolta.

Rafforzando - nel nostro Mezzogiorno, ma certo non solo nel Mezzogiorno - il circuito tra sicurezza, legalità, qualità dell’azione delle pubbliche amministrazioni, qualità e produttività della spesa pubblica, selezione degli investimenti prioritari.

Ho fin qui detto di buoni principi.

Occorre, però, che principi, disegni di legge, decreti e regolamenti si traducano, con urgenza, in fatti concreti, consentendo, ad esempio, lo sblocco operativo di investimenti infrastrutturali pubblici e privati ed una reale velocizzazione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni.

Non c’è davvero tempo da perdere. Ad aprile, peraltro, l’Italia presenterà, in sede europea, l’aggiornamento del Programma nazionale per le riforme.

Ecco, sarebbe davvero il caso che – sul Piano per la crescita, sul Programma nazionale per le riforme – Governo e parti sociali si incontrassero.

Per questo pensiamo che l’idea degli “Stati generali dell’economia” possa essere utile. Sarebbe il segnale del cambio di marcia di un’Italia che sceglie di progettare e costruire un futuro più ambizioso.

Cerchiamo di capire insieme e di agire insieme per assicurare al nostro Paese una crescita più vigorosa.

L’importante è non rassegnarsi a previsioni di crescita dell’1%. Perché possiamo e dobbiamo crescere di più e meglio.

Quanto è stato illustrato da Mariano Bella – responsabile del nostro Ufficio Studi – risponde fondamentalmente a questa esigenza.

Certo, l’export manifatturiero svolge un ruolo importante. Ma non basta.

Se vogliamo costruire più crescita e più occupazione, dobbiamo fare maggiormente leva sulla domanda interna – per investimenti e per consumi delle famiglie – che contribuisce alla formazione del Pil per circa l’80%.

Se vogliamo costruire più crescita e più occupazione, dobbiamo fare maggiormente leva sull’economia dei servizi di mercato, che contribuisce alla formazione del valore aggiunto per circa il 58% e dell’occupazione per circa il 53%.

Insomma – come avete sentito nell’illustrazione di Mariano Bella – non bastano i fax con gli ordini dalla Cina, anche se, ovviamente, più ne arrivano e meglio è.

Per riposizionare piani di investimento e di occupazione, ci vuole la spinta dei consumi interni. Consumi che, per l’80% , si rivolgono alla produzione nazionale.

E’ questo il circuito virtuoso che serve al Paese: produttività, crescita, occupazione e consumi.

Più occupazione e meno disoccupazione – soprattutto nel Mezzogiorno e tra i giovani, come ha ricordato Mariano Bella – sono la base per la ripartenza dei consumi delle famiglie.

E, accanto a questo, ci vuole una politica per i servizi che si integri con la più consolidata e riconosciuta politica industriale.

Una politica fatta di scelte coraggiose per l’incremento della produttività dei servizi, del loro contributo all’occupazione ed alla crescita.

Noi indichiamo sette scelte coraggiose.

Scelte coerenti con il quadro di “Europa 2020” – cioè con la strategia per la crescita europea in questo decennio – che, nel loro complesso, ci sembra possano utilmente contribuire al Programma nazionale per le riforme.

Concorrenza a parità di regole; sostegno all’innovazione del sistema dei servizi; valorizzazione del nesso vitale tra città e commercio; valorizzazione della risorsa straordinaria del turismo; un Piano ed un Patto nazionale per la mobilità urbana; un progetto strategico per la promozione congiunta dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e della cogenerazione; la costruzione delle reti per la crescita delle piccole e medie imprese.

E, ancora, più produttività significa più cooperazione.

Tra impresa e lavoro per fare crescere innovazione e premio del merito. Anche attraverso l’innovazione dei modelli contrattuali, opportunamente sostenuta dalle misure di detassazione del salario di risultato.

Ne parleremo nel modulo sulle politiche per il lavoro, che spero sia anche l’occasione per condividere l’esigenza di uno straordinario impegno sul tema dell’occupazione giovanile.

Più produttività: anche con più cooperazione tra pubblico e privato nell’ambito della riforma della pubblica amministrazione.

In breve, la strada maestra resta quella dell’avanzamento del cantiere delle riforme.

A partire dalla “madre” di tutte le riforme, la costruzione, cioè, del federalismo fiscale ed il suo incrocio con la riforma fiscale.

Incrocio che rappresenta un’occasione – non scontata, ma possibile – per rafforzare, ad ogni livello istituzionale ed amministrativo, il principio di responsabilità: responsabilità nella quantità e nella qualità della spesa pubblica; responsabilità nel ricorso alla leva della tassazione.

E pensiamo che un buon federalismo fiscale – cioè necessariamente pro-competitivo e giustamente solidale – possa portare un decisivo contributo all’avanzamento di questi processi.

Proprio per questo, però, non ci convincono alcune scelte recate dal recente decreto in materia di federalismo municipale, tra cui l’ampia facoltà riconosciuta ai Comuni di procedere all’attivazione della tassa di soggiorno e ancora l’impatto dell’IMU sugli immobili commerciali.

Nell’un caso come nell’altro, si pongono, infatti, i presupposti per un appesantimento del prelievo fiscale sulle attività produttive, contraddicendo la necessità di una responsabile cooperazione tra sistema pubblico ed iniziativa privata per il rafforzamento della crescita.

Così come non ci convince, sul terreno dei principi per la riforma fiscale, l’idea di uno scambio tra meno Irpef e più Iva.

Dobbiamo, piuttosto, recuperare evasione Iva, e certo l’inasprimento delle aliquote Iva non gioverebbe.

Dobbiamo, piuttosto, sostenere la domanda interna, e certo l’inasprimento delle aliquote Iva non gioverebbe.

Riformare il sistema fiscale e ridurre la pressione fiscale non è certo un processo semplice, anzitutto per gli oggettivi vincoli di finanza pubblica.

Ma è importante che il processo avanzi. E’ importante che se ne chiariscano tempi e modi, tappe e stadi di avanzamento.

E’ una chiarezza, infatti, che davvero contribuirebbe alla fiducia del mondo delle imprese e del lavoro e, in questo modo, al rafforzamento del ritorno alla crescita.

Insomma, è tempo di riforme e di più crescita.

Questa è la governabilità di cui il Paese ha necessità.

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