Intervento del Presidente Sangalli sull'Outlook Censis-Confcommercio sui consumi delle famiglie (2006)

Intervento del Presidente Sangalli sull'Outlook Censis-Confcommercio sui consumi delle famiglie (2006)

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2 agosto 2006

Mi voglio limitare ad evidenziare alcuni dati di sintesi complessiva, a partire dai quali cercherò di svolgere qualche considerazione relativa allo scenario economico del Paese. Facendo particolare riferimento, poi, all'impianto dell'azione di politica economica del Governo per come esso emerge, in particolare, dal Dpef.

Il dato fondamentale è che resta confermata la crescita lenta delle spese familiari: i consumi delle famiglie, infatti, sono rimasti stabili per il 60% del campione; si sono ridotti per il 15%, e una parte di quelli che si sono incrementati, il 20%, si sono incrementati per un aumento delle spese cosiddette incomprimibili.

Nel complesso, resta confermato un comportamento "riflessivo" dell'insieme delle famiglie, quale che sia il loro livello di reddito.

Cosa c'è dietro questo comportamento "riflessivo" con cui la distribuzione commerciale si confronta ormai da diversi anni e che resterà il tratto distintivo dei consumi delle famiglie italiane anche nei prossimi anni?

Sostanzialmente – a mio avviso – la consapevolezza del fatto che l'economia italiana, nel suo insieme, cresce poco, troppo poco e che questa è la realtà con cui tutti, anche nei prossimi anni, dovremo fare i conti.

Certo, c'è anche la preoccupazione per l'inflazione. Ma essa, oggi, è sostanzialmente riferita all'andamento di prezzi e tariffe in settori dei servizi non ancora compiutamente liberalizzati, a partire dai servizi pubblici locali, e in parte alle conseguenze del continuo galoppo del prezzo del petrolio.

Del resto, come non essere "riflessivi", se – stando alle stesse previsioni del Dpef – il Pil del nostro Paese crescerà, nel 2006, dell'1,2%, mentre – giusto per fare un paragone estremo – la crescita dell'economia cinese viene ora stimata intorno all'11%?

Come non essere "riflessivi" – ancora – se si considera che anche la stima di crescita dell'1,2% potrebbe rivelarsi generosa?

E ciò sia per l'incremento dei prezzi petroliferi che prima richiamavo, sia per l'incidenza sulla spesa delle famiglie degli effetti restrittivi della manovra da 20 miliardi di euro, che verrà realizzata con la Finanziaria per il 2007 e che è finalizzata a migliorare l'andamento dei conti dello Stato.

Anche qui, basta leggere con attenzione il Dpef. Lì sta scritto, nero su bianco, che i consumi delle famiglie passeranno da una crescita tendenziale, a politiche invariate, dell'1,3% ad una crescita programmatica dello 0,8%: una riduzione, in valore assoluto, di oltre 5 miliardi di euro.

Intendiamoci. Non dico che il Dpef faccia male a presentare previsioni realistiche. Dico, però, che il realismo non può divenire rassegnazione. E che, dunque, occorre fare tutto il possibile, affinché le prospettive di crescita stabile tra il 2% e il 3%, auspicate tanto dal Ministro Padoa-Schioppa quanto dal Presidente Prodi, non restino, appunto, auspici, ma si facciano realtà.

Anche perché, se il Paese non cresce di più e più velocemente, lo stesso cammino del risanamento della finanza pubblica diviene francamente impervio.

Sul versante del risanamento, il Dpef è davvero ambizioso. E, giustamente, non esita a sottolineare la necessità di "misure strutturali dirette a piegare la dinamica della spesa pubblica": nel pubblico impiego, nel sistema pensionistico, nella spesa sanitaria, nella finanza degli Enti locali.

Vedremo poi, con la Finanziaria, come verranno concretamente declinati questi buoni principi.

Nei quali, intanto, ci riconosciamo, perché – a nostro avviso – la strada maestra, per mettere in ordine i conti dello Stato e per rilanciare la crescita e lo sviluppo, resta quella del controllo, della riqualificazione e della riduzione della spesa pubblica corrente e non quella dell'aumento di vecchie e nuove tasse.

Certo, l'evasione e l'elusione fiscale e contributiva vanno combattute, ovunque esse si annidino. Ma contemporaneamente va tenuto fermo l'impegno alla riduzione delle aliquote. Insomma, facendo sì che tutti paghino, affinché ciascuno – cittadino od impresa – paghi un po' di meno e possa, così, liberare risorse per i consumi e per gli investimenti.

Per rimettere a posto i conti dello Stato, c'è necessità di "lacrime e sangue"? Io non penso. Perché quei 700 miliardi di euro circa che rappresentano il totale della spesa pubblica sono assorbiti, per circa 600 miliardi, dalla spesa corrente, mentre sono destinati alla spesa in conto capitale, e dunque agli investimenti che servono a costruire il futuro del Paese, non più di 60 miliardi di euro circa.

Invece, per crescere di più, dobbiamo appunto tutti investire di più, sul versante pubblico come su quello privato, nel futuro del Paese.

Con questa considerazione, vengo, naturalmente, all'altra faccia della manovra per il 2007, per come essa è anticipata nel Dpef.

Si dice – infatti – che ci saranno 15 miliardi di euro destinati a sostenere la crescita e lo sviluppo, a partire dalla riduzione di cinque punti del cuneo fiscale e contributivo.

Bene. Bisogna farlo e in maniera generalizzata, a vantaggio di tutte le imprese e di tutti i lavoratori. Il Dpef chiarisce che si intende concentrare l'attenzione sui rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Nulla in contrario, a condizione però che si riconosca anche che, in particolare nel commercio e nel turismo, c'è una quota importante di flessibilità strutturale, cioè dovuta all'andamento tipico – per picchi di attività e per cicli stagionali – di questi settori.

Ma la riduzione del cuneo avrà effetti, soprattutto, sull'incremento dell'occupazione. Non agisce, invece, sul problema dell'incremento della produttività.

Su cui, però, occorre intervenire, in particolare nel sistema dei servizi, sostenendo l'innovazione tecnologica ed organizzativa. Quell'innovazione che, nel nostro Paese, sostiene con un modesto 20% l'incremento della crescita potenziale, mentre – in Germania, ad esempio – la sostiene per l'80%.

E, per incrementare la produttività, bisogna anche costruire più concorrenza. Nel commercio, ad esempio, ne abbiamo tanta e fin dalla riforma Bersani del '98.

Mi ha fatto dunque piacere che lo stesso Ministro Bersani lo abbia riconosciuto, intervenendo alla nostra Assemblea.

Meno piacere mi ha fatto, invece, che magari non si sia voluto discutere prima anche dei suoi nuovi interventi in materia di concorrenza.

Gli avremmo proposto, ad esempio, di valorizzare di più il tema della formazione professionale nel commercio, in particolare nel settore dei pubblici esercizi e della panificazione.

Lo abbiamo fatto, comunque, dopo e continueremo a farlo anche dopo la recente approvazione del decreto.

Perché siamo convinti del fatto che la professionalità di chi opera nel commercio è un valore anzitutto per i cittadini-consumatori.

Così come – discutendo prima e, cioè, praticando le regole di una corretta concertazione – avremmo per tempo ricordato al Vice-Ministro Visco che le modifiche al sistema degli studi di settore vanno preventivamente discusse e concordate con le categorie.

E che non possono essere accettate modifiche in corso d'opera e retroattive alle regole fiscali. Del resto, basta pensare a quanto è accaduto per il settore immobiliare.

E, ancora, avremmo ricordato a Visco che il rafforzamento dell'azione dell'amministrazione finanziaria non può tradursi in un indiscriminato aggravamento di adempimenti burocratici ed oneri a carico delle imprese.

Sono ormai solito ripetere che, se davvero si crede nella concertazione, allora bisogna anche riconoscere che essa necessita oggi di una profonda rivitalizzazione, di una vera e propria manutenzione straordinaria.

La concertazione non può essere intermittente o unilaterale, così come accade quando si discute soltanto con il sindacato la definizione del tasso d'inflazione programmata.

La concertazione buona e corretta è, invece, quella in cui ciascuna parte sociale contribuisce e assume impegni in ragione di ciò che rappresenta nell'economia reale del Paese.

E questa Confederazione rappresenta oggi un'economia dei servizi, che contribuisce per circa il 65% alla formazione del Pil e dell'occupazione.

Per questo – per quel che ci riguarda – questo Dpef è rimandato a settembre. Perché vedremo da qui ad allora, cioè da qui alla definizione della Legge finanziaria, se concertazione sarà e in che modo.

Se davvero si lavorerà per l'incremento di produttività del sistema dei servizi: sostenendo crescita dimensionale, aggregazioni di rete, di gruppo e di filiera delle imprese commerciali; dando seguito agli impegni per la riduzione delle aliquote IVA nel turismo; affrontando il nodo dei valichi alpini e degli investimenti nel sistema portuale; confermando e qualificando la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno e rilanciando il confronto con la Commissione europea per la fiscalità di vantaggio al Sud.

Molti interrogativi, dunque, devono essere ancora lasciati. Noi siamo pronti a fare la nostra parte. Dialogando sempre e comunque; giudicando senza alcun pregiudizio.

A condizione che, naturalmente, il dialogo non sia mai un dialogo tra sordi.

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